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Sondrio – Pizzo Bernina (m 4049) – Sondrio  
Diario di una giornata eccezionale
Dalla vetta del Pizzo Scalino (3323 m/slm) il gruppo del Bernina appare così
Dalla vetta del Pizzo Scalino (3323 m/slm) il gruppo del Bernina appare così 
08 Giugno 2006
 

Partenza

Sondrio, Piazza Garibaldi (297 m/slm)

 

Via

Il tracciato da noi seguito quell’8 Agosto attraversa tutta la Valmalenco seguendo la strada provinciale Dai m 1000 di Lanzada si sale fino a Franscia lungo il sentiero. Passando per il Rifugio Musella (m 2021) si raggiungono i m 2636 della Carate. Si attraversa la Valle dello Scerscen e, con un breve strappo, si è ai m 2813 della “Marinelli”, quindi all’omonimo passo (3087 m/slm). Attraversato il ghiacciaio dello Scerscen Superiore ci si arrampica su facili roccette. A causa di una frana dal 2004 l'itinerario sulle roccette per la Marco e Rosa è cambiato ed è molto più impegnativo. Si è così ai 3609 m/slm della Capanna “Marco e Rosa”. Ghiaccio, roccette e un’aguzza cresta (SE) conducono prima alla cima italiana del Pizzo Bernina (4021m/slm), poi un sottile collo nevoso porta a quella svizzera (4050m/slm).

 

Dislivello

3752 m alla vetta del Bernina

 

Tempo intero giro

3-4 giorni

 

Nostro tempo intero giro quel giorno

21h43’17” (12h13’ la salita)

 

Attrezzatura richiesta

corda, imbracatura, piccozza, ramponi, abbigliamento pesante, molte provviste

 

Condizioni meteo

caldo e sereno


Difficoltà

Viste le distanze in gioco, circa 90 km, e la preparazione atletica richiesta, se l’itinerario vuol esser compiuto in giornata: 6-


Giudizio di guide serie

PD+ = Scalata con difficoltà alpinistiche fino al III grado, creste e pendii glaciali impegnativi


8 Agosto 2003



DIARIO DI UNA GIORNATA ECCEZIONALE


A maggio, durante un allenamento, io e il mio amico Francesco Marini abbiamo la pazza idea di tentare la vetta del Pizzo Bernina partendo a piedi da Piazza Garibaldi a Sondrio. Vogliamo provare qualcosa di nuovo, di mai portato a termine da nessuno, al limite e forse oltre le nostre capacità. Io ho 24 anni, Francesco 17. Con il preavviso di una sola settimana fissiamo l'impresa per l’8 Agosto 2003, venerdì. Scegliamo, per principi morali, di non utilizzare alcuna forma di assicurazione (eccetto una conveniente polizza vita!?!).

Le nostre condizioni fisiche a pochi giorni dalla partenza sono migliori del previsto. Decidiamo così di puntare alla vetta e di fare ritorno a Sondrio in meno di 24 ore. L'obiettivo è più grande di noi, il doppio della distanza che avevamo ipotizzato a maggio, un fallimento è probabile, così non pubblicizziamo la cosa, se non coi pochi amici che ci serviranno da supporto logistico.

I giorni precedenti alla partenza sono stati pregni di tensione e dubbi… Come sarà il tempo? Come organizziamo i rifornimenti? Come sarà il ghiacciaio? E l’ultima cresta?

Domenica 3 agosto abbiamo fatto un’allegra scampagnata da Campo Moro alla vetta per verificare le condizioni dell’ultimo tratto. Nonostante il caldo avesse reso lo Scerscen Superiore una trappola piena di crepacci, la salita non ci è parsa complicata. La cresta che congiunge la cima italiana e quella svizzera era particolarmente sottile e tendeva già a diventare “a fungo”, un passaggio molto divertente. Abbiamo anche avuto vari battibecchi con gli amici che non volevano partissimo. «È troppo pericoloso», ci continuavano a ripetere. Ciò non ha fatto altro che caricarci.

Finalmente Giovedì 7. Saremmo dovuti andare a letto alle 15 per guadagnare ore di sonno, ma né io né Marini siamo riusciti a chiuder occhio.

Alle 23:45 siamo in Piazza Garibaldi. Abbiamo due occhiaie da paura. Siamo tesi e stanchi, ma è quasi l’ora X.

Giordi, Katia, Roby, Claudio e Gianluca sono saliti alla Capanna “Marinelli” nel pomeriggio. Ci hanno portato lassù gli zaini con l’attrezzatura e il cibo per l’ultimo tratto. Partire il più leggeri possibile è molto importante, sia per esser più veloci nei primi km non tecnici, sia per risparmiare energie preziose.

Mi fa tutto strano, ci sentiamo pieni di responsabilità per quello che stiamo affrontando. Non mi è mai capitato d’avere tutti quegli occhi puntati su di me. Da un lato mi caricano, dall’altro alimentano tutte le mie paure di non farcela. Non so più che pensare, siamo solo all'inizio e non sappiamo cosa ci aspetterà nelle prossime ore. E se andassimo in crisi?

Spegniamo i cervelli e ci tuffiamo nel nostro sogno. Scatta la mezzanotte e ci incamminiamo.

Attraversiamo il ponte del Gombaro e prendiamo il sentiero che sale verso Mossini, quindi iniziamo a correre lungo la provinciale. Ogni tanto ci supera qualche macchina, ma il traffico è scarso.

Il nostro abbigliamento è leggerissimo: pantaloncini, maglietta, giubbetto dell’Anas e faretto da speleologo. La luce artificiale, indispensabile per muoversi di notte, ci affatica gli occhi e ci fa venire un tremendo mal di testa.

Beviamo regolarmente, ogni mezz’ora mezzo litro di varie schifezze comprate al discount. Mangiamo ogni ora. Le barrette banana, cereali e cioccolato sono il nostro principale sostentamento.

I cartelli chilometrici a bordo strada ci permettono di fare strani calcoli e statistiche su velocità e tempi di percorrenza. Nulla di utile, ma ci manteniamo svegli ed attenti.

All’1:15 arriviamo a Lanzada. Piccola deviazione verso la casa di Katia dove ci aspettano un sacchetto di viveri e le nostre racchette da sci. Usarle preserverà dalla distruzione le nostre ginocchia e renderà più muscolose le nostre braccia (!). La sorella di Katia ci fa alcune foto. Ci chiediamo se sono per documentare l’impresa o per il giornale di domani: “Le ultime foto da vivi”. Ridiamo. Spariamo anche molte cazzate...

Beno: «Se cadessimo nell’ultimo tratto sarebbero costretti a chiamare la “Marco e Rosa” come “Francesco ed Enrico”».

Marini: «Per me la chiamerebbero “Marco e Rosa e Francesco ed Enrico”, e se cadiamo in una maniera sfigata ci prenderanno per il culo per l’eternità! Dobbiamo stare attenti!»

Veloci saliamo lungo il sentiero che da Tornadri porta a Franscia. Alle 3:15 siamo lì e rapidi ci incamminiamo verso il Rifugio Musella. Il clima è ideale, le stelle ci tengono compagnia. Parliamo fra di noi per non lasciar parlare la nostra stanchezza.

Ho paura di quello che ci aspetta dalla “Marco e Rosa” in poi. So che senza sicurezze non ci è concesso alcun errore. Sarà molto difficile trovare le energie mentali dopo 11 ore di salita!

Sentiamo tutti i nostri amici lì con noi, non voglio deludere nessuno e so che dovremo perciò metterci anche l’anima. Siamo come Davide contro Golia. Non riesco tuttavia a vedere quella montagna come un nemico. Fin da quando mi ci aveva portato mio papà la prima volta, mi ci ero affezionato. Ho un sacco di ricordi, di immagini. Non mi tradirà nemmeno oggi.

Domenica, durante la ricognizione, ero stato preso per pazzo da molti. La gente guardava me e Marini che correvamo sulle roccette della “Marco e Rosa”, come due maniaci suicidi. Chissà se sapessero quello che stiamo combinando ora!

Dalla Musella ci sono sette colli per arrivare alla Carate. Sono le 4 di mattina. L’aria si fa più pungente, mettiamo i pile perché senza correre non riusciamo a scaldarci. Alle 5:30 arriva il sole a darci il buongiorno. Le nostre pupille si contraggono e riposano dopo il lungo sforzo notturno.

Ore 6:15. Siamo alla “Marinelli”. Nessuno del nostro staff è lì ad attenderci perché la sera prima gli amari alpini sono andati a ruba. Sono tutti a letto ubriachi!

Al rifugio mangiamo banane e beviamo due caffè doppi per aiutare la concentrazione. Le raccomandazioni dell’Enrico, il gestore, ci fanno sentire il calore di un’altra persona vicina a noi.

Mancano solo 1200 metri di dislivello, ma sono i più impegnativi. D’ora in poi non ci si può distrarre più per alcun motivo. Mi bruciano gli occhi. Saliamo fino ai m 3082 del Passo Marinelli. Mettiamo i ramponi, ci guardiamo negli occhi. Si comincia a fare sul serio.

Il ghiacciaio dello Scerscen Superiore è molto più crepacciato di quanto già lo fosse domenica, molti ponti di neve, ormai, non sono più praticabili. Giungere ai piedi delle roccette è una noiosa e faticosa gincana fra tagli di cui non si scorge il fondo. Marini fa pipì dentro un crepaccio in segno d’irriverenza, io lo imito. Così impara a stare lì a bocca aperta e aspettarci noi come pasto!

All’attacco delle roccette 4 alpinisti in difficoltà nel costeggiare il crepaccio di termine ci obbligano a fermarci in calzoncini per oltre 40 minuti. Il freddo s’impossessa dei miei piedi e, una volta liberato il passaggio, sono costretto a salire le roccette correndo per riprendere temperatura. Qualche alpinista-paguro ci intralcia la salita, ma dopo 20 minuti ecco la Marco e Rosa. Tè caldo col vino e ci tornano le forze.

Dentro al rifugio, al caldo, mi sento al sicuro. Siamo silenziosi. Incrociamo di tanto in tanto i nostri sguardi preoccupati. Il tempo sembra essersi fermato per caricarci d’ansia.

Sono quasi le 11. Si riparte. Abbiamo 40km sulle gambe. Durante la lunga sosta abbiamo cercato di raccogliere tutte le forze che ci restano. Ci dirigiamo verso le rocce che conducono alla Punta Parrucchetti. Quanti crepacci fastidiosi! Quasi in cima al crinale ghiacciato, Marini comincia a non sentirsi molto bene e decide saggiamente di tornare in “Marco e Rosa”. Sono ad un passo dal traguardo, le forze scarseggiano, ma la voglia e la determinazione sono ancora vive. Non posso certo tornare indietro! Porto tutti i miei amici nel cuore e li voglio in vetta con me.

Ora che sono solo, la testa e tutte le ossa del mio corpo si fanno più pesanti. Proseguo con andatura turistica fino alla paretina marcia sotto cima italiana. Lì trovo 2 alpinisti cecoslovacchi con cui condivido il resto del cammino fino ai 4050 della punta svizzera. Abbandoniamo gli zaini e tutta l’attrezzatura a m 4021. Camminare in tutta libertà mi fa riacquistare fiducia e alle 12:13 sono in vetta.

Giusto il tempo per qualche foto testimonianza, mangiare un pacchetto di coccodrillini gommosi e scendo. L’ultimo tratto per la vetta mi ha fatto perdere più tempo del previsto. Marini mi sta aspettando in “Marco e Rosa” molto preoccupato.

La discesa sembra più facile della salita, ma so che non devo deconcentrarmi o potrebbe andare a finire male, e non voglio che la “Marco e Rosa” finisca per chiamarsi “Marco e Rosa ed Enrico”. Scendere dalla parete italiana mi mette un nodo in gola. Continuo a comandare alle mie mani di non cedere. Il precipizio là sotto è davvero impressionante, ogni tanto ci cade qualche sasso e lo vedi sparire nel nulla, meglio non fare la stessa fine. Per di più ci si mette una cordata di züchin che lenti, goffi e arroganti non aspettano il loro turno per salire la parete e costringono me, cui un errore potrebbe essere fatale, a districarmi fra la ragnatele delle loro mille corde e sicurezze per poi prendere una via trasversale. Maledetti.

Aggiro le ultime facili rocce e vedo la “Marco e Rosa”. Mi tremano le gambe: devo mangiare e bere qualcosa. A causa del caldo il ripido crinale ghiacciato è pieno di rivoli d’acqua, la mia gola è secca. Il sole “picchia di brutto”. Non ho con me né crema solare, né occhiali da sole. Questa settimana non erano in offerta al LIDL, così non li ho comprati!

Dopo aver fatto due parole col Bianco che sta trascinando in vetta due scarsi alpinisti brianzoli, mi ricongiungo con Marini e alle 14:20, dopo aver telefonato in “Marinelli” per rassicurare gli amici, decidiamo di scendere. Ci ripetiamo che è l’ultimo sforzo, una volta al Passo Marinelli saremo fuori pericolo.

La discesa dalle roccette è molto veloce. Siamo euforici. Qualche momento di panico per i massi che si staccano da sopra, ma per fortuna la montagna non ci ha designato come sue vittime .

Un ultimo brivido lo abbiamo costeggiando il crepaccio di termine. La parete rocciosa sotto la “Marco e Rosa”, infatti, stava continuando a scaricare sfasciumi. Io e Marini decidiamo di andare uno alla volta lungo la passerella ghiacciata, tenendo fra di noi 100 metri di distanza. Ad un certo punto sentiamo alcuni alpinisti urlare: «Attenti! Sassi!». Mi volto e una consistente frana cade dalla parete, rotola giù dal pendio nevoso e viene inghiottita dal crepaccio di termine, passando proprio tra me e Marini. L’abbiamo scampata bella!

Il ghiacciaio sembra non finire più, fa un caldo micidiale, l’andatura è pesante. Mi immagino già i nostri amici che ci aspettano in “Marinelli”. Al Passo Marinelli togliamo i ramponi e iniziamo la discesa lungo il tortuoso sentiero. Qua e là leggiamo le scritte di incitamento. Mi commuovo.

Arriviamo a uno scorcio da cui si vede la Capanna “Marinelli”. Sono tutti là, appostati come marmotte, ad aspettare di veder le nostre sagome all’orizzonte. Sentiamo un boato, ci hanno visti! Acceleriamo il passo per arrivar prima. Veniamo accolti da grande calore e da un litro di birra e gassosa!

Il clima è sempre più torrido man mano che ci si abbassa di quota. Alle 20:20 il termometro a Lanzada segna ancora 34°C, e da lì mancano altri 13 km di corsa. Ci facciamo forza e alle 21:43:17 tagliamo il traguardo (di carta igienica) che i nostri amici ci hanno costruito in Piazza Garibaldi.

Non mi pare vero. È finita, ce l’abbiamo fatta! Veniamo lavati con lo spumante. La gente lì attorno non sa nulla di ciò che abbiamo fatto e ci guarda incuriosita. La felicità mi toglie ogni stanchezza, mi pare di camminare senza toccare terra.

La notizia dell’impresa verrà pubblicata sui quotidiani locali la settimana successiva. C’è chi si complimenta e c'è chi dice che non è nulla di che. Fatto sta che, a tre anni di distanza, nessuno ha ancora abbassato il nostro tempo, né è riuscito a ripetere la Sondrio-Bernina-Sondrio.

 

Enrico Benedetti


Foto allegate

La cartina dell
In vetta in compagnia dei due alpinisti cecoslovacchi
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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