“S.P.Q.R. - sono porci questi romani”... chissà quante volte lo abbiamo detto da ragazzini e tutti ridevano. Certo, pronunciato da un ministro della Repubblica durante un'iniziativa pubblica con l'intento di stimolare disprezzo verso la capitale politica e i suoi abitanti, dà fastidio e fa riflettere -anche se si tratta di Umberto Bossi, non certo nuovo a queste espressioni, specialmente quando sente odore di elezioni. Tutti siamo stati costretti al modesto spessore dei nostri amministratori, soprattutto da quando la dialettica politica ha trovato il suo canale privilegiato di espressione nell'insulto e nella delegittimazione dell'altro. Ne prendiamo atto e cerchiamo di impegnarci perché quanto di concreto cerchiamo di proporre e attuare venga ostacolato il meno possibile da questo contesto deprimente.
Ma se sono comprensibili le diverse reazioni politiche, ci preoccupano -e molto- tutti coloro che hanno dichiarato di voler intraprendere azioni giudiziarie contro il ministro Bossi, querelandolo per diffamazione o altro reato d'opinione. Si va da associazioni forensi ai Radicali eletti in Regione Lazio che hanno dato vita ad una raccolta di sottoscrizioni pubbliche da portare poi in Procura. Eppure, se l'obiettivo è vivere in un Paese libero, dovrebbe accadere proprio il contrario: cioè difendere il diritto di ognuno di dire ciò che vuole senza il timore di sanzioni penali. Ci rendiamo conto che quanto ha detto il nostro ministro può costituire reato, ma è proprio qui il problema: vogliamo che nel nostro Paese si continuino a perseguire penalmente le opinioni? Può ritenersi civile un Paese che mette il bavaglio giudiziario alle parole, per quanto dure e offensive? A nostro avviso i reati che puniscono libertà di opinione e espressione:
- presuppongono che esistano una morale e un pensiero pubblico e collettivo da difendere; morale 'comune' che avvalora le diverse e pericolose varianti note come “etica di Stato”, “pudore di Stato”, etc.;
- sono uno dei peggiori retaggi che ci portiamo dietro dal ventennio fascista, ovvero il codice Rocco;
- sono uno dei meccanismi più perversi che impedisce di avere cittadini e mezzi di informazione liberi, sottoposti alla minaccia continua di querele;
- uno dei tanti motivi per cui si intasano le aule di tribunale fino alla Cassazione.
Per questo mettiamo a disposizione di Umberto Bossi la nostra esperienza e i nostri avvocati nel caso in cui da querele annunciate si dovesse passare a quelle depositate.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc