Torino, 20 settembre 2010 – Splende il sole a Torino sui Murazzi del Po, teatro di un’intervista in diretta intercontinentale con Yoani Sánchez, sempre più isolata nella sua Cuba. Il regime le ha impedito di uscire dal paese, questa volta per andare a Vienna, dove avrebbe ricevuto il Premio “Eroe per la Libertà di Stampa”, e a New York, dove insieme alla rivista Wired avrebbe dovuto perorare la candidatura di Internet al Nobel per la Pace.
– Perché non ti lasciano uscire? Il regime ha paura delle tue parole?
Sono contenta di essere a Torino, anche se solo telefonicamente. Il motivo per cui non posso uscire lo sa soltanto il governo, anche se credo che vogliano impedirmi di partecipare a iniziative dove posso prendere contatto con altri blogger e con persone disposte ad aiutarmi a potenziare la blogosfera cubana. In realtà certe proibizioni ottengono l’effetto opposto e portano maggior solidarietà verso il nostro progetto.
– Il primo agosto, il parlamento cubano ha approvato la costruzione di 16 campi da golf, la riduzione delle ritenute bancarie alle multinazionali e ha annunciato il prossimo licenziamento di un milione di impiegati statali. Sono misure socialiste? Sono misure utili per l’economia?
Questi provvedimenti sono il risultato della disperazione economica. Cuba era arrivata a un punto limite e non era possibile fare diversamente. Le preoccupazioni sono molte, soprattutto in tema di licenziamenti. Non si tratta di un progetto sociale, ma il nostro regime non ha niente a che vedere con il socialismo, è un capitalismo di Stato, dove un grande padrone controlla tutto. Adesso è caduta la maschera. L’inventiva dei miei compatrioti può produrre un risultato diverso da quello che il governo vorrebbe ottenere. Facciano bene attenzione…
– Carlos Alberto Montaner ha scritto: “Siamo di fronte al primo passo della desfidelizzazione di Cuba”. Sei della stessa opinione?
Penso di sì, perché il regime ha preso misure che sono in netto contrasto con l’idea iniziale di mantenere tutto nelle mani del governo e del Partito Comunista. Tutto questo sta uccidendo il mito di Fidel Castro e della sua rivoluzione.
– Fidel Castro ha detto in un’intervista che “il modello cubano non va più bene neppure per noi”, ma dopo si è pentito. Il modello cubano va bene o non va bene e soprattutto esiste un modello cubano?
Non è mai esistito un modello cubano ma un modello fidelista. Quando Fidel Castro ha pronunciato quelle parole probabilmente si è fatto prendere da un attacco di sincerità. In ogni caso il ritorno di Fidel Castro alla vita pubblica è soltanto un modo per distrarre l’attenzione interna ed esterna dai gravi problemi del paese. Serve ad affermare che lui è presente, vivo e vegeto, che ogni cosa deve passare dalla sua approvazione. Per adesso tutto questo serve solo a indebolire l’immagine di Fidel.
– I futuri disoccupati che cosa faranno a Cuba? Ci sono abbastanza lavori privati per coprire i licenziamenti?
Il solo sindacato legittimato a operare sull’isola - la Central de Trabajadores - ha annunciato le misure relative ai licenziamenti. Tutto è un controsenso. Il sindacato dovrebbe tutelare i lavoratori e invece si limita a comunicare i provvedimenti del governo. Non esistono garanzie per la protezione dell’iniziativa privata e per la cooperazione. Le imposte sono molto alte. Chi ci garantisce che l’apertura ai privati sarà effettiva e che non finisca tutto come nei primi anni Novanta?
– Come mai Raúl Castro ha deciso di liberare alcuni prigionieri politici? È stata una vera liberazione o una deportazione verso la Spagna?
Mi piace usare una metafora sportiva: Raúl Castro ha scarcerato parte dei prigionieri politici perché si è visto mettere alle corde dalla pressione esterna e interna. Ha preso una decisione per opportunità politica. Per ottenere questo risultato hanno contribuito molti fattori: l’azione delle Dame in Bianco, il sacrificio di Orlando Zapata Tamayo, la lotta di Guillermo Fariñas, la pressione internazionale e il ruolo della Chiesa Cattolica. Adesso gli ex prigionieri politici non sono a Cuba ma in Spagna. Si tratta di un esilio vero e proprio, di una deportazione. Se a Cuba non verrà depenalizzata la divergenza ideologica e non sarà consentita la libera espressione del pensiero, non cambierà niente. Siamo tutti potenziali prigionieri politici.
– Fidel e Raúl sono uomini del passato. In un prossimo futuro chi potrà impostare un cambiamento effettivo di Cuba?
Non me la sento di fare un nome, ma dico che a Cuba ci sono molte persone che possono fare buone cose per il futuro. Ci sono giovani pieni di energia che hanno un altro modo di fare politica. Mi piace pensare che il futuro Presidente di Cuba in questo momento stia giocando a baseball in una strada dell’Isola.
– Quale tipo di cambiamenti chiede il popolo cubano?
Il popolo cubano chiede cambiamenti in senso libertario. Prima di tutto servono aperture economiche. La crisi materiale ha limitato lo sviluppo della creatività nazionale e cittadina. Deve finire il doppio sistema monetario, i lavoratori devono riscuotere un salario decente e non devono essere costretti a rubare per sopravvivere. I cubani chiedono libertà di movimento. Deve essere consentito entrare e uscire dal paese senza dover sottostare a un permesso. Se Cuba fosse un paese libero, in questo momento sarei a Torino insieme a voi. Il futuro governo dovrà accettare le differenze politiche e culturali. Dovrà garantire la libertà di associazione di ogni tipo, sia politico che culturale, e dovrà rispettare le diversità di opinioni. Una cosa mi preme sottolineare: Raúl Castro ha parlato di cambiamenti economici ma non ha mai pronunciato la parola libertà.
– Mariela Castro ha lavorato molto per i diritti degli omosessuali. Fidel Castro ha detto che le persecuzioni del passato sono state soltanto colpa sua. È vero che nella Cuba contemporanea non ci sono discriminazioni sessuali?
Permangono molti pregiudizi nei confronti degli omosessuali, ma è giusto dire che in questo campo abbiamo fatto molti passi avanti. Non esiste più una persecuzione come negli anni Sessanta - Settanta, quando gli omosessuali venivano discriminati per le loro preferenze sessuali, rinchiusi in galera e nelle UMAP (campi di rieducazione e lavoro). Possiamo dire che abbiamo abbattuto la barriera delle discriminazioni sessuali, ma non ancora quella delle restanti discriminazioni.
– Parliamo di diritti umani. In un recente dibattito alla Radio Svizzera Italiana, Mariela Castro ha affermato in mia presenza che a Cuba tutti possono esprimere liberamente la loro opinione. A Cuba esistono libertà di movimento, di associazione, di pensiero…?
Rispetto il lavoro di Mariela Castro per quel che riguarda i diritti degli omosessuali. Non sono assolutamente d’accordo sulle restanti affermazioni, perché a Cuba è consentito esprimere diversi gusti sessuali e reclamare diritti per gli omosessuali, ma non è consentito eleggere il Presidente della Repubblica, non esiste libertà di stampa, di associazione, di espressione del pensiero. Il nostro è un governo ereditario, in mano a una famiglia reale, non è una democrazia. Mariela è una Castro a tutti gli effetti, perché mi ha attaccata con violenza sulla stampa per averle chiesto spiegazioni sulla mancanza di libertà.
– Il doppio sistema monetario. Puoi spiegare a un italiano questa fantasiosa invenzione del regime cubano?
La dualità monetaria è un assurdità, frutto della schizofrenia economica che si è prodotta nel 1993. I salari mensili dei dipendenti pubblici vengono pagati in moneta nazionale e di solito raggiungono la cifra media di 350 pesos. Il problema è che esiste una seconda moneta, molto più forte, parificata al dollaro, che viene usata nel giro turistico ma che risulta indispensabile per comprare molti generi alimentari (latte, farina, carne…) e di abbigliamento che non sono reperibili nei negozi di Stato. Per ottenere un peso convertibile servono 24 pesos cubani e con 350 pesos nazionali non si arriva neppure alla seconda settimana. Il cubano è costretto a rubare sul posto di lavoro e a vendere prodotti al mercato nero, oppure deve esercitare professioni illegali per recuperare valuta pregiata. Voglio fare un esempio. A Cuba tutti i bambini hanno le scarpe, non per merito del salario di Stato ma per le rimesse degli emigranti, per i mestieri alternativi e illegali, grazie al mercato nero.
– Educazione e salute pubblica. Sono veri successi rivoluzionari?
Sono due settori che vengono portati come esempio del risultato positivo del sistema cubano. Devo dire che quando c’erano i sussidi sovietici l’educazione era a buoni livelli, pur restando fortemente ideologica. La caduta del socialismo in Europa ha portato carenza di strutture e di mezzi, persino penuria di validi maestri, perché non si tratta di una professione ricercata. Un insegnante non può rubare niente sul posto di lavoro e quindi deve sopravvivere con un magro stipendio. Il governo ha dovuto fare ricorso ai maestri emergenti, preparati in maniera inadeguata, e alle lezioni video, a mezzo CD e VHS. Nessuno vuol fare il maestro o il professore, tutti preferiscono lavori legati al turismo perché danno molte opportunità. La scuola è ideologica, basata sul culto della personalità e sul mito della rivoluzione cubana, del tutto priva di libertà e di contenuti pluralisti. Per quel che riguarda la salute pubblica, provate ad andare in un ospedale e guardate la gente che va a far visita ai parenti ricoverati. Si devono portare tutto, dai ventilatori alle lenzuola, per finire con siringhe usa e getta e aspirine.
– Il ruolo di Chávez e del Venezuela nella Cuba attuale.
Chávez ha rappresentato il sostegno fondamentale del sistema cubano, la stampella per andare avanti, perché senza di lui il regime sarebbe crollato prima. L’apporto economico è stato di grande aiuto, soprattutto il petrolio a prezzi politici, in cambio di medici e insegnanti, ha rappresentato la chiave di volta per la sopravvivenza.
– La blogosfera cubana non è soltanto Yoani Sánchez…
Fortunatamente no. Quando ho cominciato, nell’aprile 2007, non avrei mai immaginato che sorgesse una comunità così ricca e variegata. Cito soltanto Claudia Cadelo (Octavo Cerco), Orlando Pardo Lazo (Lunes de Post Revolución), Reinaldo Escobar (Desde Aquí), Lia Villares (Habanemía)… ma l’elenco non è esaustivo. Ogni giorno sorgono nuovi blogger e aprono nuovi spazi di libera espressione che si oppongono all’asfittica informazione di Stato, monodimensionale e parziale. Noi blogger non siamo un partito, né un movimento di opinione, perché ognuno ha la sua idea politica. Per questo è difficile limitare la nostra libertà di espressione e fermare le cose che facciamo.
– Da poco tempo è nata anche una rivista on line intitolata Voices. Ce ne vuoi parlare?
Voices è la prima rivista che inaugura una serie di pubblicazioni che vogliamo far nascere intorno alla nostra attività informativa. Siamo giunti al secondo numero, scaricabile gratuitamente in pdf da Generación Y e da altri siti alternativi, ma anche diffuso stampato e su CD a Cuba. Si tratta di uno spazio importante per dare voce a giornalisti indipendenti, poeti, letterati, narratori, in un’ottica di piena libertà, fuori dalle logiche del regime. La rivista è aperta a tutti coloro che vogliono portare un contributo alternativo. Sono convinta che la transizione arriverà presto e che accadrà anche per merito dei blogger, perché siamo stati segnati da un governo impositivo e autoritario, che ha sempre negato la libertà di parola e la libera informazione. Dobbiamo ripensare Cuba, il suo passato, il suo presente, e tutti insieme programmare il futuro. Vorrei un futuro dinamico e libero, sotto l’insegna di una stampa vitale, non asservita al potere.
Ci parli dell’Accademia Blogger?
L’Accademia Blogger non è un partito politico, ma un’aggregazione orizzontale di persone che vogliono esprimere la propria opinione. Non ci sono gerarchie, siamo una comunità che si protegge e si unisce attorno a un progetto comune. L’Accademia Blogger si riunisce nella sala di casa mia, tra ottobre e aprile, insegniamo varie materie affinché i cubani conoscano gli strumenti per poter lanciare la loro voce nella rete. Io dico sempre che noi forniamo le ali per spiccare il volo, ma poi sta a ogni partecipante decidere a quale altezza volare. Non imponiamo una certa ideologia e neppure un determinato modo di pensare. Vogliamo contagiare più persone possibile con un’influenza positiva, con il virus della libertà informativa.
Yoani Sánchez termina tra gli applausi e conquista il pubblico torinese che affolla il -2 Living Club, locale notturno nei presi degli imbarchi del Po, nei suggestivi Murazzi. Uno squarcio di sole in una calda giornata settembrina ha illuminato le parole di un’eroina della libertà di stampa. La sua grande semplicità e chiarezza con cui riesce a spiegare argomenti complessi e a renderli fruibili a tutti sconcerta, soprattutto se paragonata alla media intellettuale di un popolo molto logorroico. Yoani è l’esatto contrario di Fidel Castro: poche parole e molti fatti, grande chiarezza e totale libertà di azione. Molti giovani cubani stanno seguendo le sue tracce e si lasciano affascinare dal mistero della semplicità. Vedremo come andrà a finire…
Gordiano Lupi