Mentre si avvicina la data del 2 ottobre (anniversario della nascita di Gandhi), proclamata dall'Onu giornata internazionale della nonviolenza, l'orizzonte internazionale diventa sempre più cupo e cresce l'oppressione ed il ricatto della violenza sulle società umane.
Anzi c'è un progressivo aggravarsi di fenomeni di intolleranza politica e religiosa che generano esplosioni incontrollabili di violenza, come quella accaduta in questo giorni nel Kashimir indiano, dove il conflitto politico/religioso che alimenta il cosiddetto “scontro di civiltà” ha dato origine all'attacco alla scuole cristiane della zona, provocando disordini e decine di morti. Questo episodio, nella sua banalità distruttiva, potrebbe apparire un fatto secondario, rispetto ad altri ben più pesanti e corposi conflitti che insanguinano altre società. Però diventa estremamente preoccupante se lo si legge come un evento inserito in una trama in cui ci sono le provocazioni delle sette fondamentaliste cristiane in America che minacciano i roghi del Corano, invocando nuove crociate, e l'incancrenirsi di conflitti antichi, come quello dell'Afghanistan, e meno antichi, come quello della Somalia, dove la ragione politica abbraccia quella di un fondamentalismo religioso, sconosciuto nella prima metà del secolo scorso, creando una miscela esplosiva.
Stiamo assistendo ad una rottura della linea di faglia che divide le civilizzazioni umane, di cui il conflitto nella ex Jugoslavia, dove si sono scontrate le civilizzazioni cattoliche, ortodosse e mussulmane, ha rappresentato un prototipo. Il fatto che sia la politica a strumentalizzare il fenomeno religioso ed a soffiare sul fuoco delle divisioni non rende la situazione meno pericolosa.
Quando si soffia sul fuoco delle divisioni etnico-religiose, si accumulano delle contraddizioni che poi sfuggono al controllo degli apprendisti stregoni che le hanno provocate.
Così nella comunità internazionale, oltre la violenza degli Stati, condensata nella corsa agli armamenti e nella sfida nucleare, avanza un nuovo tipo di violenza che mette in discussione il ruolo dello Stato, come costruzione politica che trova la sua ragione di essere nell'esigenza di assicurare la convivenza pacifica al proprio interno. Ed i conflitti interni attraversano le frontiere ed attizzano nuovi conflitti, sia interni (India e Pakistan), sia interstatali (Afghanistan, Somalia, etc.).
Ed allora - dobbiamo domandarci - che senso ha celebrare la giornata della nonviolenza, quando l'orizzonte ci fa assistere al dilagare (e ad una nuova legittimazione) della violenza e di violenze di ogni tipo?
Ebbene, noi sentiamo il bisogno dell'ossigeno, quando ci comincia a mancare l'aria per respirare.
La nonviolenza per le società umane è come l'aria per l'organismo umano.
La nonviolenza è principio ordinatore della Comunità internazionale. La comunità internazionale è uscita dallo stato di natura in cui tutti gli Stati sono “lupi” fra di loro, attraverso il diritto internazionale che, con la Carta della Nazioni Unite, ha fissato il principio che gli Stati devono astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorso all'uso o alla minaccia dell'uso della forza (art. 2, comma 4).
È il ripudio dell'uso della forza la regola che fonda la convivenza pacifica nella Comunità internazionale, garantisce la sicurezza collettiva e rende possibile la collaborazione degli Stati fra di loro attraverso le istituzioni internazionali.
Le numerose ferite che sono state inferte negli ultimi anni al principio della nonviolenza nelle relazioni internazionali, lungi dal determinare il tramonto di questa regola essenziale di convivenza, hanno provocato crescita dell'insicurezza collettiva e della corsa agli armamenti, rendendo ancora più evidente che quando si abbandona il sentiero della nonviolenza si imbocca la via del caos e si provocano sofferenze enormi a tutta l'umanità.
Più controversa è la nonviolenza come principio ordinatore della vita all'interno di comunità erette in Stato. Qui il problema va al di là della pacificazione primaria compiuta attraverso la concentrazione della forza nelle mani dello Stato.
Perché la convivenza civile sia armoniosa ci vuole qualcosa di più. Occorre che sia riconosciuta la dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana (come recita il preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo).
Nel nostro ordinamento costituzionale il principio della nonviolenza è stato riconosciuto, chiamandolo con un altro nome: principio personalista.
Questo principio, fondato sull'art. 2 della Costituzione, ci dice che la persona umana (in carne ed ossa) è il valore supremo dell'ordinamento, rispetto al quale tutto il resto deve girare intorno come i pianeti girano intorno al sole. In ciò c'è il fondamento della laicità: tutti gli altri valori possono esistere, possono essere agiti nei modi consentiti nella società, nello stato, nelle istituzioni ecc., ma non possono mai sopravanzare i diritti della persona, i diritti dell'individuo come singolo e come soggetto inserito nelle comunità.
Noi possiamo avere tutte le concezioni religiose o filosofiche che vogliamo, anche concezioni nobilissime, ma l'ordinamento ci dice che le dobbiamo, le possiamo declinare soltanto nella misura in cui rispettano i diritti inviolabili di ciascun uomo e di ciascuna donna, poiché nessuno persona può essere sormontata o strumentalizzata da un'ideologia, o da una fede religiosa. In altre parole, i diritti delle persone non possono essere sacrificati a un principio. Quand'anche si trattasse di un principio di grande valore culturale, di grande valore filosofico, di grande spessore etico, noi non possiamo, in nome di questo principio, distruggere o coartare quel valore storico naturale che è la persona umana.
Questo riconoscimento della inviolabilità della persona è il canone fondamentale della nonviolenza ed al tempo stesso della laicità. Ciò che rende possibile la convivenza pacifica fra le differenti culture, religioni, etnie, rompendo i muri degli integralismi e disarmando ogni ogni propensione allo scontro di civiltà.
Viviamo in un tempo in cui tutti dobbiamo riscoprire il valore insuperabile della persona se vogliamo coltivare la speranza di liberarci del gioco al massacro prodotto dalla rinascita degli integralismi politici e religiosi.
Domenico Gallo
[Ringraziamo Domenico Gallo (per contatti: domenico.gallo@gmail.com) per questo intervento.
Domenico Gallo, illustre giurista, è nato ad Avellino nel 1952, magistrato ed acuto saggista, già parlamentare, tra gli animatore dell'Associazione nazionale giuristi democratici; tra i suoi scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985; Millenovecentonovantacinque, Edizioni Associate, Roma 1999; (a cura di, con Corrado Veneziano), Se dici guerra umanitaria. Guerra e informazione. Guerra all'informazione, Besa, 2005; (a cura di, con Franco Ippolito), Salviamo la Costituzione, Chimienti, Taranto 2006. Vari suoi scritti sono disponibili nel sito www.domenicogallo.it]
(da Coi piedi per terra,* 15 settembre 2010)
* Coi piedi per terra. La newsletter/agenzia di stampa è uno dei supplementi de La nonviolenza è in cammino, a cura del Centro di ricerca per la pace di Viterbo (nbawac@tin.it)