Il complesso conventuale di Sant'Antonio è senz'altro uno dei monumenti più ragguardevoli dal punto di vista storico-artistico non solo per Morbegno ma per l'intera Valtellina. Con la visita al chiostro di recente restaurato si intende affrontare un tema piuttosto inusuale, come la dimensione universalistica, per lo meno europea, di un convento degli Ordini Mendicanti dal tramonto del Medio Evo alle soglie dell'età contemporanea.
La presenza a Morbegno dei Frati Predicatori o Domenicani in un convento fondato nel 1457 e rimasto attivo fino alla soppressione napoleonica, unico in Valtellina e secondo in Diocesi e in tutta l'area lariana solo al convento di San Giovanni di Como, non ha coinvolto nel corso dei secoli solo la cerchia degli interessi locali (religiosi, culturali, economici, socio-politici), ma ha rappresentato un'eccezionale occasione di apertura verso l'esterno.
A differenza degli ordini monastici di origine alto-medievale, negli Ordini cosiddetti Mendicanti (Domenicani, Francescani, Agostiniani, ecc.) si concilia la vita comunitaria vissuta entro un chiostro con l'“itineranza”, che “obbliga” i singoli religiosi alla predicazione e alla testimonianza cristiana nel "mondo", senza confini.
Così, per esempio, dal convento morbegnese di Sant'Antonio è partito un riformatore ante litteram come fra Matteo Olmo, poi vescovo (+ 1512); sono stati inviati in area germanica per diventare due campioni della riforma cattolica nel secondo Cinquecento fra Antonino Venosta da Grosotto e fra Feliciano Ninguarda da Morbegno, quest'ultimo uomo di fiducia di S. Pio V e di Gregorio XIII, poi vescovo di Como; lo stesso Pio V, da frate domenicano inquisitore era passato nel convento di Morbegno per continuare poi a interessarsi della nostra comunità.
Ma il convento è stato una scuola di “europeismo” e di “universalità” anche con la proposta da parte dei frati, nel corso dei secoli, di figure esemplari di santità (a partire dal “nostro” beato Andrea, proveniente da un ambiente straordinario come la Firenze quattrocentesca dei Medici, dei conventi di Fiesole e di San Marco, del Beato Angelico, del Savonarola) e di devozioni “senza confini”.
Certamente anche il convento morbegnese ha avuto i suoi alti e bassi, e non tutto è stato gloria e splendore. Di tutto questo si tratterà, a due voci percorrendo il chiostro Nord e soffermandosi nella sale restaurate.
Senza dimenticare quanto ebbe ad affermare anni fa l'allora cardinale Joseph Ratzinger: «L'Occidente [...] della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro».
Tuttavia non viene meno quella speranza per cui lo stesso Papa Benedetto affermava lo scorso dicembre: «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l'accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto». Una apertura faticosa, ma senz'altro feconda.
Oros Onlus