Piero Vivarelli è morto. Il cinema italiano è in lutto.
Noi che lo abbiamo amato per due vecchi film e non abbiamo condiviso la sua scelta politica a fianco del Partito Comunista Cubano (unico italiano tesserato e aveva vissuto a lungo all’Avana), oggi lo vogliamo ricordare rivedendo quelle mitiche pellicole.
Addio Piero, il tuo genio ci mancherà.
Il Dio Serpente (1970) e Satanik (1968)
Il Dio Serpente è un film che è rimasto nell’immaginario erotico di molti ragazzi degli anni Settanta e bene ha fatto nel 2005 la Storm Video a rimetterlo in circolazione nella sua versione integrale. La pellicola è distribuita da Mondo Home Entertainment e contiene pure i trailer delle parti che furono censurate.
Il Dio Serpente (1970) è un film scritto e diretto da Piero Vivarelli, che per la sceneggiatura si avvale della preziosa collaborazione di Ottavio Alessi, il montaggio è di Carlo Reali, la stupenda fotografia di Benito Frattari, mentre dirige la produzione Lucio Orlandini per conto di Alfredo Bini. Il film si ricorda anche per l’ottima colonna sonora composta da Augusto Martelli che uscì nel quarantacinque giri Djamballà ed ebbe un clamoroso successo di vendite. Protagonista indiscussa del film è una sensuale Nadia Cassini (Paola), che aveva appena debuttato con una piccola parte ne Il divorzio di Romolo Guerrieri (1970), ma che questa volta ottiene il lancio definitivo. Accanto a lei ci sono Beryl Cunningham (Stella), Sergio Tramonti (il fidanzato Tommy) e Galeazzo Bentivoglio (Benti è il suo vero nome e interpreta il marito). Ricordiamo anche Evaristo Marquez nei panni del Dio Serpente quando assume sembianze umane. Per Mereghetti si tratta di un film modesto, un epigono da dimenticare di un genere inaugurato nel 1968 da Ugo Liberatore con Bora Bora. Non condividiamo la severa impostazione del critico milanese e riteniamo Il Dio Serpente un film importate come atmosfera esotico-erotica, ma soprattutto un buon lavoro che documenta i riti vudù e i culti sincretici dei popoli caraibici. Il film gode di una stupenda ambientazione esotica a Santo Domingo e comincia con una panoramica aerea della città tra baracche, fiumi, mare, miseria e ricordi di un passato sotto i conquistadores spagnoli. Un sottofondo di musica cubana, le note di una rumba sensuale, accompagnano lo spettatore in un’atmosfera tropicale fotografata con grande bravura. Vediamo spiagge bianchissime e un mare stupendo, atolli corallini, indigeni che corrono e fanno l’amore sulla sabbia. La trama si racconta in poche righe. Nadia Cassini (Paola) è in vacanza ai Caraibi con il marito Galeazzo Benti, conosce Beryl Cunningham (Stella) che la mette in contatto con il culto del Dio Serpente (Djamballà), ma la donna se ne invaghisce a tal punto che diventa un’ancella consacrata al suo amore. Beryl Cunningham è perfetta nel ruolo di indigena, soprattutto per i marcati tratti negroidi, ma anche Evaristo Marquez è credibile come forma umana del dio.
La pellicola si inquadra nel genere esotico-erotico, il più tipicamente italiano, legato alla scoperta di lontane culture e conseguenza dei primi viaggi aerei, che portavano a sognare di paradisi tropicali dove regnava una completa libertà sessuale. Sono film che alla base contengono sempre un atteggiamento razzista e paternalista, con il mito del buon selvaggio che vive bene perché non conosce la civiltà. Il contenuto erotico la fa da padrone e di solito c’è un europeo (maschio o femmina non ha importanza) a caccia di sensazioni nuove, che scopre il vero senso della vita tra le braccia di un’indigena. Il Dio Serpente contiene in più l’elemento magico e misterioso, a tratti persino horror, che si amalgama bene con le ottime parti erotiche che al tempo scandalizzarono i solerti censori. Il film entra subito nel vivo della sua parte misteriosa quando Paola e Stella diventano amiche e l’europea vuole conoscere la fortezza spagnola, il regno degli zombi, morti che continuano a vivere senz’anima, schiavi del Dio Serpente chiamato Djamballà. Paola vuole scoprire il mistero e si avventura da sola sulla spiaggia della roccia nera dove vede un enorme serpente che si avvicina minaccioso. Non ci sono serpenti a Santo Domingo, ma è Djamballà che si materializza e si avvicina alla ragazza, lui è il dio dell’amore e pretende obbedienza. Vivarelli ci fa entrare nel vivo delle credenze sincretiche quando presenta la figura del brujo (stregone), che divina il futuro e confeziona amuleti, disegnando cerchi magici sul terreno. La figura del prete cattolico è ancora più emblematica di come le popolazioni caraibiche vivono il cristianesimo. Il parroco porta la statua di Gesù Bambino nelle case del villaggio perché tutti lo possano vedere e poi dice: “Adorano Gesù e fanno i riti magici. Ma sono due cose così diverse?”. In una scena successiva vediamo che durante i festeggiamenti natalizi l’immagine di Gesù Bambino è circondata da simboli vudù. Il prete commenta: “Sono bravi, un po’ rumorosi ma bravi. Dio è con loro, lo amano così. Sono più religiosi di noi perché credono davvero al loro dio. Io devo far dimenticare che dei bianchi li hanno portati qui in catene molti anni fa”. Il regista ci spiega come sono nati i culti sincretici: una fusione di religiosità cattolica importata a forza dagli spagnoli e di culti animisti che venivano dagli schiavi africani. Nei primi tempi dello schiavismo, i santi cattolici rappresentavano un sotterfugio, un modo per nascondere le vere divinità e per scampare alla Santa Inquisizione, successivamente le due religioni si sono fuse sino a formare un culto nuovo. Il film presenta anche interessanti e realistiche cerimonie vudù dove si adora il Dio Serpente tra cerchi di farina bianca, candele votive, canti evocativi, tamburi insistenti e balli sensuali. Si vede anche il sacrificio di un capretto al quale viene mozzata la testa con un colpo di machete per essere sacrificato alla divinità. Il sangue è utilizzato dai credenti per segnarsi sulla fronte e un rituale pagano convive con le immagini dei santi cattolici come San Giorgio e Gesù Bambino. Una vecchia con il sigaro in bocca interpreta bene il ruolo della sacerdotessa del dio, mentre l’importanza di rum e tabacco nei riti viene sottolineata da numerose sequenze. Il Dio Serpente si impossessa delle donne che si denudano, si rotolano in terra come serpenti e si cospargono di polvere. Una bella sequenza erotica mostra Nadia Cassini e Beryl Cunningham possedute dal dio mentre si toccano sotto gli occhi di un negro che è la divinità incarnata in un corpo umano. La parte che mostra il rito è molto lunga, forse eccessivamente lenta per un film moderno ed è vero che il montaggio poteva essere più serrato, ma ne guadagna il realismo documentaristico con cui il regista descrive una cerimonia vudù. Un altro rito interessante vede la presenza anche degli zombi con i volti bianchi che rappresentano assenza di anima e questa volta il Dio Serpente possiede Paola al termine di una danza frenetica e sensuale. Vivarelli descrive bene riti e culture di un popolo che nel 1970 era molto lontano dalla nostra mentalità, soprattutto non inventa quasi niente, a parte una storia fantastica. Quando muore il marito di Paola è ben ricostruito un funerale vudù con balli e canti in onore del morto, mentre vengono offerti cibo e bevande alla salma. La fotografia è stupenda, il colore locale è reso bene con frequenti immagini di spiagge tropicali e di mercati cittadini, ma anche di ruderi precolombiani e di fortezze spagnole. Il rumore del mare, il vento tra le fronde delle palme, i bambini che gridano, il caldo e la sensualità della gente, sono elementi importanti di una pellicola girata con cura e fotografata con bravura. Importante anche il discorso che Vivarelli fa pronunciare a Stella davanti al palazzo dell’Inquisizione, dove i bianchi torturarono in nome di una presunta civiltà che non ammetteva niente di diverso dalle loro credenze. La parte finale del film vede l’arrivo a Santo Domingo dell’ex fidanzato Tony, ma ormai Paola è preda del Dio Serpente che l’ha scelta come sua ancella e non vuole che nessuno le si avvicini. Paola allontana da sé Tony e lo fa innamorare di Stella, mentre lei si abbandona a un lungo amplesso amoroso con il negro che rappresenta la divinità.
Piero Vivarelli utilizza un film per raccontare i misteri dei culti vudù, le possessioni, gli zombi privi di anima e i culti che sono nati dagli schiavi africani a contatto con la repressione dell’Inquisizione spagnola. Un film impedibile per gli amanti del mistero.
Piero Vivarelli si ricorda anche per Satanik, uscito nel 1968 e considerato un film horror, pure se il regista omette molti elementi orrorifici ed erotici presenti nel fumetto edito dalla Corno. Satanik è interpreta dall’affascinante attrice polacca Magda Konopka che ben impersona un’eroina sexy nata dalle ceneri della vecchia Marnie Bannister. Il film di Vivarelli ebbe un successo sbalorditivo di pubblico che fruttò un incasso di centocinquantasei milioni di lire. Il personaggio del fumetto è una creatura di Max Bunker (Luciano Secchi) e Magnus (Roberto Raviola) e rappresenta una variante della storia del dottor Jekyll e Mister Hyde. Marny è una scienziata dal volto sfigurato, trasformata in Satanik, donna bellissima e perfida, grazie a un siero trafugato al professor Gray. Vivarelli descrive le avventure nere della seducente eroina ricorrendo troppo spesso allo zoom, ma lascia il ricordo di uno dei primi film sui fumetti proibiti.
I fumetti italiani dei primi anni Sessanta raccontavano le gesta di criminali sadici e assassini, che spesso erano permeate di torbido erotismo. Se scorriamo i nomi di quei personaggi troviamo una serie interminabile di eroi negativi. Diabolik delle sorelle Giussani fu il primo a conquistare il mercato, ma subito dopo arrivarono: Kriminal, Satanik, Sadik, Demoniak, Mister X, Fantax, Killing e molti altri. Tutti geni del male dispensatori di morte, mascherati di nero, vestiti da scheletro, veri e propri simboli di una diffusa voglia di trasgressione. Erano fumetti in bianco e nero, graficamente poveri, stampati su carta pessima e in un formato che permetteva appena due vignette per pagina. Le storie derivavano dal feuilleton francese e dai gialli di Edgar Wallace come Il teschio di Londra (Kriminal è frutto di quel romanzo). Si trattava di fumetti che facevano infuriare i moralisti e che scatenarono una crociata di benpensanti e di censori contro queste pubblicazioni. I giovani degli anni Sessanta amavano Diabolik, Kriminal e Satanik, almeno quanto i loro genitori li detestavano, perché la lettera kappa era sinonimo di vietato e di fumetto altamente diseducativo. Il film di Vivarelli ha il difetto di banalizzare il fumetto, sfumando gli elementi morbosi.
Gordiano Lupi