Mariela Castro è senza ombra di dubbio una persona intelligente e colta, impegnata nel sociale a difendere i diritti dei gay e dei transessuali, promuove film ed eventi su tale tematica, scrive libri sulla pubertà e svolge il suo ruolo di psicologa e sessuologa con eccellenti risultati. Nel recente viaggio che ha compiuto in Svizzera ha parlato anche di politica, ospite dell’Associazione di Aiuto Medico al Centro America (Amca) e dell’Associazione Svizzera - Cuba. I media pretendono che la figlia di Raúl Castro esprima la sua opinione su argomenti di politica interna, diritti umani e libertà civili. Parla a lungo Mariela, al Teatro “Kursaal” di Locarno, dice cose condivisibili sull’embargo, altre meno accettabili in tema di libertà di stampa e di dissidenza. Pare calata nel ruolo di ambasciatrice nel mondo di una nuova Cuba che dovrebbe sorgere dalle ceneri di una gerontocrazia in fase calante.
«A Cuba ci sono problemi, certo, ma non diversamente che nel resto del mondo. Quale paese non ha problemi da risolvere? Stiamo costruendo il nostro socialismo, con fatica e impegno, abbiamo commesso molti errori, ma chi non ne fa? Il popolo cubano vuole il socialismo, la scelta è irreversibile ed è stata inserita nella Costituzione approvata con Referendum nel 2002», afferma.
Lasciamo stare se le percentuali bulgare fanno dubitare sulla spontaneità del referendum, ma seguiamo il ragionamento di Mariela che si difende attaccando le nostre democrazie.
«Voi chiamate democrazia il sistema occidentale, ma anche quello non è esente da pecche perché i poteri economici determinano il consenso e orientano la politica secondo i loro interessi. A noi cubani non interessa una democrazia dove vince il più forte, il più ricco, la persona capace di far valere il proprio interesse come interesse collettivo», aggiunge.
Il ragionamento non fa una piega. Ma a Cuba non esiste libertà di dissenso, non si può criticare il governo, non è possibile scrivere sulla stampa pareri non conformi e partecipare a dibattiti pubblici o televisivi per confutare opinioni e far valere la propria tesi su argomenti politico-economici…
«Non è vero» ribatte Mariela «se a Cuba non ci fosse libertà di opinione sarei la prima a finire in galera. Granma (giornale del partito comunista cubano e di fatto unico foglio informativo dell’isola, nda) ha recentemente aperto una rubrica intitolata “Lettere dei lettori” dove molti cittadini esprimono con passione le loro idee e criticano in maniera decisa le scelte del governo. A Cuba si può parlare, criticare, dissentire. I cubani non fanno altro».
La democrazia affidata alle “Lettere dei Lettori”, dunque. A parte i dubbi sulla veridicità delle lettere pubblicate dal quotidiano Granma, resta il fatto che a Cuba esistono i prigionieri politici, che Orlando Zapata Tamayo è morto dopo uno sciopero della fame e che Guillermo Fariñas ha rischiato di fare la stessa fine…
«Orlando Zapata Tamayo era un prigioniero comune che reclamava soltanto privilegi per se stesso e Guillermo Fariñas è un mitomane, un personaggio inaffidabile che tutti conoscono. Basta leggere la sua scheda medico-psichiatrica per rendersene conto», ribatte Mariela.
Nessuno può convincerla del contrario. I dissidenti sono tutti mercenari al soldo degli Stati Uniti, Cuba è un paese in stato di assedio, l’embargo è il nostro peggior nemico, e via di questo passo. Certe verità da manuale comunista fanno parte del corredo genetico di Mariela, anche se resta una Castro diversa, capace di infiammare le speranze di un futuro migliore per il suo paese.
I limiti alla libertà di stampa sono noti in tutto il mondo, ma Mariela pare non rendersene conto, pure se a Cuba esiste un giornale unico e la televisione ha due canali di Stato che informano giorno dopo giorno leggendo veline di regime.
«In Occidente avete molti giornali e tante emittenti televisive, ma spesso sono nelle mani di poteri economici forti. Peggio ancora, capita che una sola persona possieda molti giornali, case editrici e canali televisivi. Pure la vostra informazione ha dei limiti…», dice.
Non ha tutti i torti. Resta il fatto che in Italia puoi decidere se seguire il TG1 di Minzolini o il TG di Mentana. A Cuba - volente o nolente - c’è soltanto Randy Alonso e la sua “Mesa Redonda”.
Il bloqueo è il piatto forte che Mariela conserva come arma decisiva, l’argomento che da anni rappresenta il collante per unire il popolo cubano contro un presunto nemico yankee.
«Il bloqueo è un’enorme ingiustizia che subiamo da cinquant’anni, si tratta dell’embargo economico più lungo della storia. Non è onesto dire che il governo cubano si nasconda dietro l’embargo, che è il più grande ostacolo allo sviluppo economico e sociale di Cuba».
Barack Obama sta lanciando chiari segnali di distensione e mai come adesso pare vicina la possibilità di una revoca del bloqueo e di un’apertura al turismo statunitense verso l’isola caraibica.
«Obama è una brava persona, ma la carica che ricopre gli impedisce di mostrarlo. In ogni caso Cuba è pronta ad affrontare la revoca dell’embargo e a dimostrare al mondo che non è un problema ideologico», aggiunge Mariela.
Raúl ha preso il posto di Fidel. Sta cambiando qualcosa?
«Assolutamente niente. Non è una rottura, ma piena continuità. Fidel si è ammalato e ha ceduto le redini del potere. I cambiamenti a Cuba stanno avvenendo, ma lentamente, ce ne accorgiamo dalla vita quotidiana, senza leggerlo sui giornali».
Avremo una Cuba nuova dove per uscire ed entrare dal paese non serviranno permessi? Vedremo finalmente una sola moneta con un effettivo potere d’acquisto?
«Sì, presto, molto presto tutto questo sarà realtà».
Mariela Castro pare sincera. Se è riuscita a far accettare all’ICAIC l’idea di girare un film sulla vera storia di un transessuale può essere capace di tutto. Confidiamo nel suo carisma e nella grande voglia di rendersi utile al suo paese verso un moderno sviluppo.
Gordiano Lupi