Il settore Home Video della Filmauro ha rimesso in circolazione Manolesta (1980) di Pasquale Festa Campanile, una commedia abbastanza prevedibile con qualche risvolto sociale che sfrutta il personaggio del Tomas Milian borgataro. Il film si basa su un soggetto di Ottavio Jemma che lo sceneggia insieme a Enrico Oldoini, la musica (un po’ ripetitiva) è di Detto Mariano, la fotografia è di Giancarlo Ferrando e il montaggio (poco serrato) di Amedeo Salfa. Scenografia di Giantito Burchiellaro e costumi di Nicoletta Ercole, dirige la produzione Felice D’Alisera per conto di Filmauro. I protagonisti sono Tomas Milian, Giovana Ralli, Paco Cardini (per la prima volta sullo schermo interpreta bene il piccolo Bruno), Armando Pugliese e Adriana Russo. La storia vede l’assistente sociale Angela De Maria (Giovanna Ralli) occuparsi della situazione familiare del ladruncolo Gino Quirino (Tomas Milian) che vive con il figlio Bruno in un barcone sul Tevere. Il suo intento iniziale è quello di sottrarre il bambino a un padre che giudica inadatto al ruolo, ma la faccenda prende una piega imprevista. Angela comincia a far da madre al bambino, prepara la cena, rassetta la casa, accudisce il padre e si affeziona alla famiglia. Alla fine sposa Quirino, che è finito in galera a causa di un maldestro furto alla Zecca di Stato, ed evita al piccolo Bruno l’ingresso in un istituto. Una nuova famiglia si forma e finalmente Bruno ha un padre e una madre che gli vogliono bene.
La bellezza del film consiste nel modo in cui il regista racconta la storia di un padre truffatore che prova a educare un bambino abbandonato dalla madre. Milian lo cresce e lo sfama, deve essere per lui sia padre che madre, non ha tempo (e a dire il vero anche poca voglia) di lavorare. L’assistente sociale che si prende cura della casa e del bambino rappresenta una novità che inizialmente non viene accettata, ma poi il borgataro comprende che ha bisogno di lei.
La pellicola è costellata di trovate comiche che si ispirano alla figura del Tomas Milian trucido e sboccato creata da Umberto Lenzi e da Dardano Sacchetti con la maschera del Monnezza. Si sente anche l’influenza dei quasi contemporanei Nico Giraldi movies e delle battutacce in romanesco che sono il sale del personaggio. Ferruccio Amendola dirige il doppiaggio e presta la sua voce alla caratterizzazione del borgataro coatto, che Milian interpreta ricorrendo a una mimica facciale ineguagliabile e a una serie di gesti espressivi. Quinto Giambi fa la controfigura di Milian per alcune scene che lo vedono saltare da un tetto all’altro e gettarsi in modo spericolato dal terrazzo di un palazzo. Le battute di Tomas Milian sono triviali al punto giusto e il nostro borgataro possiede persino un merlo parlante più sboccato di lui che accoglie Giovanna Ralli al grido di: «Brutta stronza!», ma dopo averla vista corregge in: «Bella stronza!» su consiglio del padrone. Il merlo si chiama Nerone ed è un uccello di borgata, per questo parla volgare, mangia spaghetti dal piatto e pronuncia improperi a ripetizione. Tomas Milian ha un look da Nico Giraldi, indossa una papalina a colori sgargianti (rosso o blu), una sciarpa e la tuta da operaio. Il figlio Bruno imita il padre che per lui è un vero modello e per questo veste con papalina e sciarpa colorate. Padre e figlio rubano insieme nei modi più ingegnosi, girano per la città a bordo di un’ape scassata, volano su un deltaplano, si raccontano storie e sono molto uniti. Il padre vive solo per quel bambino e lo fa addormentare intonando vecchi stornelli in romanesco e canzoni come Chitarra romana. Le battute volgari di Gino Quirino non sono memorabili come quelle di Nico Giraldi e del Monnezza, ma spesso divertono. Cito come esempio solo la sequenza dell’interrogatorio davanti a un giudice donna presso il Tribunale dei Minori. Gino pronuncia una parola volgare dietro l’altra, ma quando usa “cazzo” come intercalare, il giudice lo interrompe e intima alla segretaria che verbalizza: «Salta quella parola!». Milian ribatte pronto: «Sei contenta? Poi sartà sur cazzo!». La parte in cui Milian rischia di perdere il figlio e di vederselo affidare a un istituto è molto intensa, soprattutto quando la Ralli si stabilisce nel barcone sul Tevere e si comporta da madre più che da assistente sociale. Gino prova a lavorare ma combina solo guai e il regista può sbizzarrirsi a sfruttare le notevoli doti comiche dell’attore cubano. Si tratta di parti umoristiche di impronta cabarettistica strutturate su gags un po’ risapute, ma efficaci. Basti pensare a un Milian assunto per fare l’idraulico, che si presenta “per una perdita” e si trova davanti un morto nella bara. «No, io sono venuto per l’altra perdita», afferma. Come se non bastasse rompe tutti i tubi del bagno, allaga la casa e se ne va mentre la cassa da morto galleggia. «Io l’acqua ve l’ho fatta veni’. Ora trovate chi ve la ferma», conclude. Gino le prova tutte pur di non perdere il figlio e si vorrebbe persino sposare con una prostituta che potrebbe mantenere il bambino. Non ne fa di niente perché l’assistente sociale lo sconsiglia e gli dice che se lui diventasse marito di una prostituta, il Tribunale gli toglierebbe il figlio. Interessante la filosofia da ladro romantico che caratterizza questo personaggio di coatto romanesco. Gino sostiene che «se uno ruba e s’inventa un inghippo geniale non è un ladro, dipende da come si ruba, ma soprattutto dal perché si ruba, infatti se uno ha fame e prende un pezzo di pane non è un ladro». Gino lo sa di non essere un buon esempio per il figlio e cerca di fargli capire che lui deve fare tutto il contrario, ma purtroppo il bambino lo vede come un modello da imitare.
La parte centrale del film racconta un tentato furto che costa la galera a Gino ed è divertente la complessa fase di progettazione con un amico ladro, quando lui grida: «Me stai a fa’ scoreggia’ er cervello!».
In questa parte assistiamo a scene acrobatiche sui tetti, inseguimenti a ritmo di can can, fughe a bordo di autobus e di mezzi della nettezza urbana, corse nelle fogne e definitiva cattura. Le sequenze sono troppo lente e sarebbe servito un montaggio più curato per rendere meno macchinosa una parte troppo lunga rispetto al resto della pellicola. Il successivo processo ci fa assistere a una divertente arringa di Tomas Milian difensore di se stesso, che si lancia in una divagazione sociale sui motivi profondi del suo essere ladro. La parte migliore della pellicola è però quella che vede protagonisti Tomas Milian, Paco Cardini e Giovanna Ralli al parlatorio del carcere. Una parete di vetro divide padre e figlio che in ogni caso si ritrovano, piangono insieme e fanno commuovere il pubblico. L’assistente sociale decide di fare il grande passo e il matrimonio si celebra in galera, nell’ufficio del direttore del carcere, tra testimoni galeotti e amici furfanti di Gino. Manolesta è un buon film per famiglie, una favola di borgata, un po’ sboccata e trucida secondo i canoni dei Tomas Milian movies, ma risulta lo stesso molto delicata per come imposta il discorso del rapporto padre - figlio e di un affetto profondo che prova un genitore rozzo ma buono di animo. Non è uno dei migliori film di Milian e neppure uno dei capolavori di Pasquale Festa Campanile che lo dirige diligentemente ma senza guizzi d’ingegno. Vale la pena rivederlo per ritrovare il sapore di una comicità d’altri tempi che riesce ancora a divertire e a far pensare.
Gordiano Lupi