Marylin Solaya affronta il tema spinoso delle frustrazioni e discriminazioni dei transessuali cubani con il documentario-fiction En el cuerpo equivocado, che il 17 agosto ha debuttato in prima nazionale all’Avana. Il film - che si vedrà in tutta Cuba - cerca di sensibilizzare il pubblico sulla delicata questione dei transessuali, esseri umani da rispettare perché hanno un cuore e dei sentimenti, commenta la regista. Sembra impossibile che in una terra machista e omofoba come Cuba sia stato possibile realizzare un lavoro come questo, rispettoso dei diritti di una minoranza che soffre discriminazioni e frustrazioni. Sembrano lontani anni luce i tempi delle UMAP, campi di lavoro e rieducazione dove il regime rinchiudeva omosessuali, rockettari, preti, santeros, antisociali e molte persone dai comportamenti originali.
En el cuerpo equivocado ha debuttato nella notte di mercoledì 17 agosto nella centralissima sala dello storico cinema “Chaplin” ed è stato interrotto varie volte da lunghi applausi all’indirizzo dell’attrice principale - Mavi Susel, una donna di 49 anni dalle fattezze mascoline - e della regista Marylin Solaya, che è riuscita a narrare una storia complessa in tutta la sua crudezza.
Solaya ha cominciato la sua carriera cinematografica come attrice nel famoso Fresa y chocolate (1993), la prima pellicola cubana capace di affrontare il tema dell’omosessualità - tabù sino a quel momento - ma dopo non ha più interpretato un film.
Vincere pregiudizi e trovare l’appoggio necessario per girare il documentario è stato un compito difficile, costato otto anni di lavoro a Solaya e a Susel, ma alla fine l’Istituto del Cinema Cubano ha approvato il progetto e un’istituzione ispanoamericana l’ha finanziato. Le reticenze provenivano da ogni parte, dalle strutture ufficiali, dalla Chiesa cattolica e persino dalla gente comune.
«Ho lottato per diventare donna, non solo per essere una casalinga, avevo dei sogni, volevo sposarmi e avere una casa mia; ma avrei voluto essere utile alla società, realizzarmi. Non è stato così…», sostiene Mavi, che in ogni caso assicura di aver vissuto momenti felici e di essere stata sempre se stessa.
Il film dura 52 minuti ed è molto crudo. La protagonista evoca le angustie e le incomprensioni vissute durante l’infanzia: scherzi e maltrattamenti a scuola e per strada, un padre che la disprezza e vorrebbe cacciarla di casa, abusi sessuali e molteplici tentativi di suicidio. Il film racconta con tonalità drammatiche tutte le difficoltà superate da Mavi per dare inizio alla storia con il suo compagno ufficiale, con il quale si è sposata nel 1991, tre anni dopo l’operazione chirurgica. “Lui mi disse: ho conosciuto una donna… tu sei una donna, e quello fu per me un grande sollievo”, ricorda con un sorriso.
La pellicola illustra tutti i problemi della vita di Mavi, segnata dall’intolleranza della società. “Avrei voluto fare altro nella vita, magari impiegarmi come infermiera”, dice.
La sua operazione chirurgica, il 22 maggio del 1988, destò forte scandalo e molte polemiche a Cuba, che interruppe subito simili interventi. Le pratiche di cambio sesso sono riprese nel 2008, dopo un paziente e persuasivo lavoro del Centro Nacional de Educación Sexual, diretto dalla sessuologa Mariela Castro, figlia del presidente Raúl Castro. Da allora sono state effettuate una decina di operazioni definitive di cambio di sesso.
Mavi ha spiegato: «Ho interpretato questo film e ho reso pubblica la mia vita, perché la gente deve rispettare i transessuali come persone appartenenti alla società. Ventidue anni fa un’operazione chirurgica mi ha resa donna, regalandomi un sesso che ho sempre sentito mio, visto che non mi sono mai trovata bene nei panni di un maschio. Bisogna aiutare molte persone che si trovano nella stessa situazione, non possiamo lasciarle soffrire ancora».
Mavi, Solaya e altri difensori della diversità sessuale a Cuba sperano in un effetto positivo del film per ampliare i diritti di omosessuali e transessuali. Mariela Castro è da tempo al loro fianco.
Gordiano Lupi
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