Duello di tacchetti spietati,
nerazzurro contro bianconero,
nerazzurro contro rossonero
o contro “lo squadrone che tremare il mondo fa”,
ma, se tentavano di ferirti,
nessuno riusciva a fermarti,
tu correvi come il vento,
l'armonica e dura sfera
ai piedi incollata,
il prato dell’Arena
saturo di umori popolari
e sberleffi di gol
al portiere chiamato fuori:
che tocchi d’artista, Peppin,
ripetuti e tutti unici!
In prima linea o dietro le punte,
quale re che muove torri e alfieri,
nel fango contro le Furie Rosse
e l’abbandono di Zamora,
la tua testa vincente
nel primordiale magma di maglie,
o il rigore contro i gendarmi
e il samba di Leonidas
in terra di Francia
libera e ostile…
Fu apologia di dittatore?
Fu trionfo?
Fu l’uno e fu l’altro,
come buio e luce,
perdizione e salvezza,
torpore e risveglio,
vita e morte, illuminazione.
Lunga corse la tua fama,
non breve il declino,
con reti altrove, mai belle
come quelle dell’Ambrosiana;
e il tramonto sul Bosforo,
forse il frutto sgradito
di un lento oblio.
Infine ammaestrasti
orfani di campioni,
novelli campioni,
ma nessuno avrebbe potuto
superarti e neppure eguagliarti,
Balilla, vecchio ragazzo
di ricordi in dialetto
brillanti e corrosi, figurina
d’album mai sbiadito
nelle care soffitte
della memoria.
Alberto Figliolia