Nato e cresciuto nell’ambiente del patriziato laico di Husum, la città dello Schleswig-Holstein vicina al confine danese che un tempo fu fiorente centro di commerci marinari, Theodor Storm, giurista figlio di un giurista, pur avendo vissuto a lungo anche lontano dalla propria città natale, ci ha lasciato una cospicua produzione letteraria (46 novelle e un volume di poesie) profondamente radicata nel territorio frisone. La prosa di Storm è venata da quello spleen che caratterizza anche Husum, la “grigia città sul mare” dove lo scrittore nacque nel 1818 e dove “greve opprime i tetti la nebbia”, come dice una delle sue più note poesie, che è insieme una dichiarazione d’amore per quel luogo che custodisce “l’intero portento” della sua giovinezza.*
Qualche anno fa mi sono recata a Husum proprio per andare sulle tracce di questo uomo di legge che era insieme scrittore, la cui prosa è spesso venata di una cupezza angosciosa. La visita a Husum e ai suoi dintorni mi fatto capire che quell’agglomerato urbano e le lande del circondario che si affacciano sullo specchio livido e infido del Mare del Nord e sembrano immerse in un silenzio lunare, non potevano che ispirare opere intrise di quell’atmosfera di singolare tetraggine, che invita a riflettere sulla forza e il segreto degli elementi e quindi sull’insufficienza delle umane capacità rispetto all’energia selvaggia della natura. Soprattutto induce a pensare allo strapotere distruttivo dell’acqua – tema di tragica attualità –, che, quando esonda, travolge qualsiasi argine, come in toni spettrali racconta la novella Il cavaliere dal cavallo bianco, la più nota e più demonicamente visionaria di Storm, che concluse questo lavoro poco prima di morire nel 1888.
Eppure, anche questo scrittore serio e severo, giudice e poeta a un tempo, partecipe dei moti democratici del 1848, eppure così legato a valori borghesi come quello della famiglia, repubblicano convinto e quindi contrario sia alla corona di Danimarca sia alla monarchia Prussiana in ascesa, campione del Realismo ottocentesco, ma anche già aperto a discutere di temi più moderni, come ereditarietà, eutanasia, condizionamenti del milieux sociale, che sarebbero stati i cavalli di battaglia del Naturalismo, era anche capace d’ironia. Quel legale austero, le cui immagini incutono deferenza per via della lunga barba bianca, della sobria eleganza e della postura compassata, sapeva anche sorridere delle marachelle tipiche dei tempi in cui i ragazzi non erano ancora assorbiti e distratti da schermi, iPod e analoghi aggeggi e, vuoi per fame, vuoi per il gusto del proibito, si divertivano a sottrarre qualche frutto dalle piante di qualche giardino. A loro, in forma di annuncio giornalistico in rima, Storm dedica con indulgente bonomia la sua poesia per il mese d’agosto (qui in un mia traduzione):
Agosto
Inserzione
Ai rispettabili ragazzi che quest’anno
le mie mele e le mie pere di rubare intenzion hanno,
chiedo gentilmente il favore, in questo loro piacere
il loro zelo in maniera tal di limitare,
da non andarmi poi le aiuole a calpestare
dove carote e piselli stann per maturare.
Gabriella Rovagnati
* Th. Storm, La città: Sul lido grigio, sul grigio mare / E in disparte si stende la città; / Greve opprime i tetti la nebbia, / E nel silenzio mugghia il mare / Monotono attorno alla città. // Non c’è fruscio di selva, non uccello / Che in maggio qui voli senza posa; / L’anatra peregrina con dure grida / Sola vola via nella notte d’autunno / Sulla spiaggia si culla l’erba. // Eppur tutto il mio cuore è affezionato / A te, grigia città sul mare; / Di giovinezza l’intero portento / Posa infatti ridente su di te, / Su di te, grigia città sul mare. (trad. G. R.)