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Félix Luis Viera. La metropolitana di Città del Messico
25 Agosto 2010
 

La Metropolitana fa due giri e mezzo intorno alla Terra ogni mese.

Nelle stazioni di collegamento

ho visto la cifra più vicina possibile al mezzo mondo,

ho visto persone come animali spaventati dagli uomini

camminare con cautela in mezzo a un rumore di cui nessuno sa il motivo.

La maggioranza degli umani che percorre marciapiedi e corridoi

ha il passo di chi si avvicina alla fonte della salvezza.

Il poeta ha percorso le 10 linee della Metropolitana,

oltre 130 stazioni,

alla ricerca di un liquido che affretta le alchimie, o forse

del petrolio bollente che ristagna sotto le gonne delle donne.

Ci sono anche i venditori,

il cui languore si percepisce soprattutto nel lucido delle loro scarpe,

se lo porta via con un peso!”,

o con tre, quattro, dieci pesos, propongono

surrettiziamente a voce spiegata

taccuini penne agende riviste arretrate compact disc

rossetto lampade creme per la pelle libri di grammatica

tisane per ringiovanire.

Con le loro grida

sono i venditori che aumentano il torpore sotterraneo.

Ci sono anche i ciechi

che suonano chitarre, fisarmoniche

cantano,

trascinano uno verso l’altro

un vaso, i ciechi e le cieche

che quasi nessuno vede

che quasi nessuno guarda

che dicono “grazie” come se lo dicessero all’oblio

quando il suono di una moneta cade nel vaso

(non sarà forse il cuore il posto dove risuona?).

Vergine di Guadalupe.

Ci sono i bambini rachitici

                                                     che

a grappoli simili a semi carbonizzati

trascinano i loro strumenti

cantano

con le loro vocine di mais riseccato

una canzone le cui parole non saprebbero tradurre.

I nanetti

con chitarre

maracas

fanno musichette

in cambio di monete

capaci di riempire le loro modeste pance (che

sebbene debbano essere piccole, sapranno

ululare come qualsiasi pancia deserta).

La Metropolitana viaggia come un insetto elettrico.

Donne che si truccano sotto terra.

Una donna bionda sbadiglia mostrando l’ugola

che risplende come una certa scintilla seduttrice.

Un uomo vestito con eleganza

si liscia più volte la cravatta

come se il destino di tutti i presenti dipendesse da questa azione.

Scorrono le facciate dei vagoni adornate di annunci

dove uno si propone come Senatore

dove uno deve apprendere l’inglese

dove uno deve consumare una nuova formula di dentifricio

dove uno deve leggere l’ultimo libro autodidattico

dove uno può diventare milionario dalla mattina alla sera.

Viaggia la Metropolitana come un insetto elettrico.

È un insetto elettrico.  

Migliaia di donne appaiono trasandate

ma

                molte di loro

sfoggiano un trucco come nelle copertine delle riviste di moda,

migliaia devono avere il ciclo mestruale

e l’odore delle loro secrezioni

aggiunge un tono speranzosamente rossiccio all’olfatto.

Tra veemente e furioso

un uomo declama un grido che sembra quasi una poesia

che bombarda la disoccupazione, aggiunge

il nome di quattro figli che proprio in questo momento stanno aspettando

il padre con i beccucci aperti, avvicinandosi alla morte.

Passa un travestito del terzo mondo, ne passa un altro, un altro ancora

- malinconici, rozzi -,

che a voce spiegata si dichiarano innocenti di portare l’aids nel sangue...

chiediamo qualche moneta, per favore, non siamo colpevoli, a chiunque serve, non ci disprezzate, il disprezzo del Governo è sufficiente”.

La Metropolitana viaggia come un insetto elettrico.

La Metropolitana è un insetto elettrico.

Vergine di Guadalupe.

Il caldo, o meglio un certo vapore,  

incendia i cattivi odori,

trasforma

in stufa il vagone.

Un uomo muto passa mettendo bigliettini in grembo ai passeggeri,

dicono i bigliettini che lui è muto, bisognoso di denaro, non sa

neppure come comprare la corda per impiccarsi.

Entra il molestatore nel vagone strapieno, individua il suo obiettivo:

una ragazza mora, innocente e fragile come l’acqua,

la avvicina il molestatore: le pone la bacchetta tra le natiche, alla mora

fragile - che niente può fare: è schiacciata nel nucleo di un pianeta -,

solo, forse, mettere i gomiti contro le costole del rivale, che così

sembra godere di più: mostra evidente lascivia il suo sguardo che si perde

nel tetto della stufa (mentre nessuno sembra guardare, nessuno sembra vedere, nessuno guarda, nessuno vede, tutti guardano, tutti vedono, nessuno fa niente).

Una signora grassa e bianca si è addormentata, la vita esce fuori dalle fessure delle sue labbra, la sua borsa oscilla a sinistra, ma lei, nel suo

sogno, l’afferra come il naufrago la sua tavola.

Salgono, scendono oceani a ogni stazione dell’insetto elettrico.

Ogni dieci oceani che scendono e che salgono, nove, Vergine di Guadalupe,

vestono di azzurro e grigio, è

come una chiazza incessante, una cecità.

                               Subito

un uomo esclama che gli hanno portato via il portafoglio,

figlio di puttana, grida,

accade da quattro anni, quattro stazioni prima, stride una voce

uscita da qualche parte:

credo che fosse un tipo con un cappello tipico del nord e con i baffi,

persino un arcivescovo capirebbe che è un borsaiolo”.

Il poeta, disperatamente, comincia a cercare con lo sguardo una lacrima,

deve esserci una lacrima

nel pavimento,

in qualche borsa

in qualche camicia

in qualche seno

in qualche corrimano

in qualche occhio,

il poeta

è sicuro che solo una lacrima può dargli la forza di arrivare alla fine del viaggio.

Nella stazione di Balderas prescindono dai loro certificati di nascita:

si piantano corni uncini coltelli zanne pelli pugni di ferro,

si fanno carico come in una sorta di frenetico o la vita o la morte, portano via peli, borse, pezzi di camicie, non rispettano neppure le loro madri: un milione

di persone vuole salire, un altro milione scende al tempo stesso.

Vergine di Guadalupe.

Cresce il fetore del profumo, l’aroma del fetore.

Un tipo con le stampelle rosse che è infermo, si è frantumato una gamba

cadendo da un’impalcatura:

lasciatemi qualche moneta” in un fagotto che porta accanto alla stampella sinistra, implora,

non ha certo medico moglie figli zii fratelli cugini padrini neppure un cane,

si lamenta.

Il poeta deve trovare una lacrima, una sola lacrima, per arrivare a destinazione.

Siamo bambini di strada, gridano quattro appena entrati, mangiamo

avanzi degli avanzi, a volte

beviamo Coca-Cola, se voi foste così gentili,

uno

si toglie la camicia

si fa spazio tra la gente e strofina la spalla nuda contro

un fascio di vetri che ha messo nel pavimento sopra un tappeto,

la sua spalla sembra una costellazione fatta con meteoriti solamente,

i presenti nel Colosseo Romano lo guardano quasi tutti con l’indifferenza

con cui gli uccelli guardano gli uomini

(anche se alcuni lasciano cadere diversi centesimi).

Oh, io sono il poeta, ho bisogno che qualcuno mi presti una lacrima.

                                   Subito,

l’insetto elettrico si pianta in mezzo all’oscurità,

immobile, immobile, immobile, prolunga il canto del cigno,

segna, lancia dietro, davanti, gli zombi che hanno pagato due pesos

per il viaggio

alla soglia della caverna.

In qualche stazione escono - sarebbe meglio dire fuggono - oltre la metà dei viaggiatori e

dopo

che entrano due invalidi,  

tre ciechi,

un signore vestito da dirigente che sembra smarrito,

una coppia di giovani che sono uniti con le lingue,

entra una donna

castana dai capelli alla pelle, i gesti, lo sguardo, il respiro, alta

come le torri del futuro,

bella come questa stessa parola, una donna

che può trasformare in seme ogni cosa che tocca.

L’insetto elettrico

la Metropolitana

                maledizione

la Metropolitana

l’insetto elettrico

sono le carte

dove si può leggere l’anima rovesciata della vasta Città,

maledizione,

               maledizione,

Vergine di Guadalupe.

 

Félix Luis Viera

(da La patria es una naranja)

Traduzione di Gordiano Lupi


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