«All’inizio fu la stanza dei bambini, con le finestre che davano sul giardino e oltre il giardino, il mare» (V. Woolf, “le onde”)
«Fai sempre in modo che l’uomo sia figlio dell’attimo in cui roccia e mare s’incontrano» (Heine)
Propongo, a distanza di oltre un anno, una seconda recensione del libro Occhi di zagara della poetessa Paola Sarcià (EIF, 2008, € 12,00) in quanto, oltre la valenza del testo, la presentazione è avvenuta accompagnata da “la pioggia nel pineto” nella trasposizione al pianoforte di Paolo Diodati.
Il mare, nella parola dell’autrice, assume una valenza fortemente musicale e come l’onda e il suo dissolversi, diventa paradigma dell’inarrestabile corso della vita e del tempo perso e ritrovato, nostalgico e inclemente, inaccessibile e segreto, nascita e morte, parola e silenzio.
Una “battigia” semantica di parole, cancellate e riscritte sulla riva del dolore, segnano la sabbia di sangue e di rinascite in un non allineamento sentimentale ed artistico che denota, in questa silloge d’esordio, l’onestà artistica dell’autrice.
La zagara è fiore forte, resiste al gelo pur nella fragilità del suo rugiadoso lacrimare ed ha occhi da poeta. Il fiore assunto a specularità di sé dalla poetessa viene a significare l’ossimoro dell’esistere nell’indissolubile connubio con gli abissi, il naufragio, la morte, la catarsi. Un libro di elaborazione del dolore nei confronti del quale l’autrice non si celebra né si offre vittima, con profumato-pianto diventa lei stessa la zagara che aspetta e nell’attesa si “ripensa” nel mondo dei sentimenti e del reale, suggerendo inconsapevolmente che il riscatto è proprio nello scriversi senza difese e rimozioni e il suo dare forma al dolore ne mantiene inalterati i solchi del tempo, le cicatrici e la loro rielaborazione emotiva. Paola Sarcià nell’accettazione di sé offre versi anche di un solo sintagma, imprigiona il tempo nell’urgenza dello scatto-immagine e, in modo icastico, ogni volta propone versi che incidono la pagina di una assoluta volontà di coscienza. Poesia quindi non immaginifica e sognata ma poesia dell’intelletto che ne contiene l’emozione. La silloge priva di memorialismo, di soggettivismo e personalizzazione costituisce un diario dell’anima; senza date di riferimento, titoli e senza pietismi persegue l’ipotesi di un “noi” come unici protagonisti del nostro attraversamento per mare.
Naufrago
nei tuoi occhi di mare
approdo sicuro
il tuo corpo
pone fine
al mio errare
Tutto
è
ombra e luce
un mare d’acciaio
riflette
la mia anima
Ostinata
perseveranza
fino al dolore dell’anima
fino a quando anche il dolore
si è arreso
all’essenza
di un’assenza
che spegne il fuoco
e prosciuga
il mare
Quest’ultima lirica, la cui incisività concettuale crea un forte impatto emotivo, segna un doloroso prosciugamento della sostanzialità dell’esistere nell’assenza.
L’intensivo iniziale “ostinata-perseveranza” si espande nel cielo che sembra scientemente raccogliere il dolore di una donna e smettere di risorgere luminoso.
Nella paronomasia (essenza – assenza), Paola Sarcià sfida la deriva dell’essenza nella sostanzialità dell’assenza, del vuoto, del baratro che tutto prosciuga anche il mare ma non la vita che continua ad essere fissata nel susseguirsi delle liriche con la “fede” di chi crede che il vivere vada scritto per non essere cancellato e per rinascere alla vestale-poetessa come fuoco da non spegnere.
Inseguendo un profumo
di salsedine
ho confuso
le onde
con le nuvole
e
atteso una notte
di stelle di mare
Una tavolozza d’infinito confonde in un continuum mare e cielo, lo profuma di salsedine e trasporta le stelle nel fondo del mare. Ho parlato dell’autrice come poetessa del mare per la varietà di etonimi che sono ad esso attribuibili e sempre così profondamente da sentirne sensibilmente la fisicità anche quella memoriale della nascita e del ritorno, del naufragio e dell’approdo. «Luna d’Asia/ dominatrice/ seducente/ di vascelli/ in cerca/ di rotte». Lo spaesamento e il dolore diventano viaggi per mare in cerca di ammaraggi e affidati alla luna, illuminata compagna di viaggio, cifra della solitudine poetica che in simbiosi con il creato rielabora in «fermo-immagine/ lo scorrere della follia» in un «fragore di onde/ di spuma/ di alghe» e «…l’onda sovrana/ sfida la roccia/ violenta di cicale/ e di fronde nodose…» Nella ipallage sorprendente in cui la roccia diventa attesa dell’incontro con il mare trovano il loro definirsi i versi di Heine e il mare diventa il ritorno alle radici dell’autrice. Dopo aver definito la sua poesia «pensieri/ diafani/ indistinti/ si spandono/ sulla carta/ polvere di sabbia…». Il mare è ancora “terra” di una bambina che scrive e gioca sulla sabbia, di una donna che ha «scavalcato mura d’ansia…/ di labbra stuprate.../ di radici ferite» foriero di un’ancora probabile “gita al faro” con tutte le nostalgie che comporterà. Sarà la Sicilia ad accoglierla e lei a “ripensarsi” nel luogo dell’anima, nella assolata terra del padre, e l’andamento lento dei versi la riconcilia verso un approdo.
leggero il mio cammino
su questa terra
di ulivi gravidi
di fichi d’india
protesi in un abbraccio
al cielo
di agavi in fiore,
illuse
di distrarre la morte-
Di questo luogo
mi riconosco
figlia
e non più
errante
in un cielo opaco
fra vicoli
senza orizzonti
di una città antica.
Nello specchio
l’immagine riflessa
l’arcano richiamo
di terre assolate
levigate dal vento
bagnate dal mare
La Vestale non ha accettato il fuoco spento ed esso si riaccende epifanico dentro di lei.
Nella mia anima
in punta
di piedi
sono
Patrizia Garofalo
Paola Sarcià (foto), nata il 18 ottobre 1962 a Bologna, dove ha vissuto fino a ventitré anni, risiede a Ferrara dal 1986; è docente di inglese presso il Liceo Classico Sperimentale “Ludovico Ariosto” di Ferrara. Scrive poesie dal 2003 e ha partecipato al Premio nazionale Valeria di Rieti 2004 con la poesia “Silenzi” giunta all’ottavo posto. Ha partecipato al Premio Letterario Città di Monza 2005 con la poesia “Di un silenzio…” che è stata pubblicata sull’Antologia del Premio letterario Città di Monza 2005. La stessa poesia “Di un silenzio…” è stata anche selezionata per l’Antologia del Premio Marguerite Yourcenar 2006 ed è stata premiata con il Premio d’Onore alla IV edizione del Premio Letterario Internazionale Archè “Anguillara Sabazia Città d’Arte” 2006. La poesia “S’infrange il viaggio” è stata selezionata per l’Antologia del Premio Marguerite Yourcenar 2007, e la poesia “Notte” è stata selezionata per l’Antologia del Premio Città di Monza 2007. L’autrice è voce recitante in presentazione di libri e spettacoli di teatro.