Ebbi sotto mano un libro di poche liriche di Gianni Sassaroli due estati fa e la cosa che ci mise in contatto fu l’amore condiviso da entrambi per la pittura di Hopper che introduceva le poesie. Una donna seduta sul letto davanti ad una finestra piena di luce che illuminava in realtà e sottolineava, come sempre in Hopper, la solitudine, luce “abbagliante”, scriverà Sassaroli, che sottrae il buio e sottolinea l’evidenza che non si risolve di una vita faticosa e che affanna. La lettura dei testi mi incuriosì inizialmente per il verso lungo ma spezzato e mi accorsi che affannava il respiro, la lettura senza cesure e con spaesanti a capo nel momento che meno me lo aspettavo. È stato il respiro mozzato dei testi, la di- simmetria, la non congiunzione ad affascinarmi, la rivoluzione semantica che il poeta attuava. Ne sottolineai gli stasimi e lessi forte i versi, con interesse colsi la assoluta novità di una poesia che non ha niente a che fare con l’esasperato sperimentalismo da cui siamo tempestati; il fascino era ben altro: consisteva nella pochissima mediazione che avviene nell’autore tra emozione e parola scritta. Il tempo di un attimo, di una penna appena presa e diventata parola senza ripensamenti. In questa rivoluzione semantica, la novità del testo, la sua fascinazione, dolore e denudazione. Quest’ultima ha probabilmente inciso a definirsi nel tempo lungo in cui mi sono state inviate tutte le altre che, concordandolo insieme, abbiamo strappato al tempo di una cronologia reale e che appaiono senza date e quindi senza tempo, fruibili quindi al lettore senza essere, pur essendolo, il racconto di una vita. La nostra confidenza è partita da un comune cercare nella parola la realtà mai lirica della vita ma non per questo meno intensa, parola che diventa corpo nella realtà che si vive e non nomina la poesia come astrazione del reale, sogno e codifiche che da tanto la affliggono e pongono “in stallo”.
È quella che esaminiamo, musica che si fa dolente consegna al destino ma anche vigoria di intenso lavoro di ridefinizione del sé, ritmata da una modalità assolutamente musicale che sembra sostare e attendere in una figurazione chagalliana, un “nonostante” che determina dal titolo insieme alla fissità del tempo (rappresentato dalla piccola fortezza) il fluire della vita nel campo intorno primaverile e verde tenero. Il poeta fotografa in lettura condivisa gli strappi all’inarrestabile andare dell’uomo, fedele nella sua novità di scrittura ad una tradizione letteraria metabolizzata al punto da creare una sutura culturale che non necessita fortunatamente di citazionismi d’appoggio.
Patrizia Garofalo