L’importanza di essere scomodo è un documentario molto ben realizzato da Andrea Bettinetti, un regista italiano laureato in architettura al Politecnico di Milano e specializzato in cinema alla London International Film School, dove ha ottenuto il Certificate in the Art & Technique of Filmmaking. Ha lavorato come scenografo, assistente di regia, regista in pubblicità, video musicali e cortometraggi. È un regista free-lance che firma filmati pubblicitari e istituzionali per clienti privati, si occupa di documentaristica per i principali canali televisivi e collabora con l’Istituto Europeo di Design come docente di tesi. Nella presentazione della pellicola leggiamo: «Il documentario racconta la storia del controverso regista cult Gualtiero Jacopetti. Personaggio scomodo, eccentrico, controcorrente, sadico e visionario, tacciato dalla critica di razzismo e fascismo, Jacopetti, nato nel 1919 e autore dei documentari shock Mondo cane (1961) e Africa addio (1966), che hanno influenzato il cinema e la televisione moderna, è un testimone d’eccezione della storia italiana dallo scoppio della seconda guerra mondiale fino agli anni Settanta. Soldato, partigiano, spia, giornalista, regista, playboy, attore, giramondo, amico intimo di Angelo Rizzoli, Leo Longanesi e Indro Montanelli, si è sempre trovato al centro delle cose e degli avvenimenti: la ritirata di Russia, Piazzale Loreto, il carteggio Churchill - Mussolini, Indro Montanelli e il Corriere della Sera, il cinegiornale L’Europeo Ciac, la dolce vita della Hollywood sul Tevere con i suoi scandali e i suoi eccessi sono solo alcuni dei capitoli della sua storia sempre vissuta al presente, da vero cronista - anche cinico - dei cambiamenti. Un personaggio herzoghiano spinto ad agire dal sogno utopico di raccontare l’uomo e il suo tempo. E come tutti gli eroi di Herzog, sconfitto e dimenticato».
Abbiamo visto il lavoro di Bettinetti su www.viaemiliadocfest.tv, il festival on line del documentario, apprezzandolo come una vera e propria miniera di notizie sul regista, notevole come lavoro di documentazione e montaggio che alterna interviste a immagini di pellicole e di cinegiornali d’epoca. Bettinetti fa parlare molti protagonisti di quel periodo storico, soprattutto intervista Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi, Riz Ortolani, Claudio Quarantotto, Ursula Andress, alcuni amici, collaboratori, ex fidanzate e persino la figlia. Carlo Gregoretti non ha partecipato al documentario per sua scelta, ma era stato invitato dalla produzione. Sarebbe stato interessante sentire la sua versione dei fatti in merito al controverso Africa addio e alle accuse che lo stesso Gregoretti mosse a Jacopetti di aver ordinato fucilazioni, di aver filmato massacri con cinismo e disprezzo delle vite umane.
Il documentario ci presenta un Gualtiero Jacopetti che non sopporta i cretini e non ha mai accettato i compromessi, una mosca bianca come regista e giornalista, ma soprattutto come uomo, afferma Florinda Bolkan. Si parte da Mondo cane, che sconvolge il pubblico di Cannes perché Jacopetti viene dallo scandalo della moglie bambina, la zingarella sposata dopo aver tacitato il padre con un milione di lire dopo una pesante accusa di violenza carnale.
«Jacopetti ci ha fatto vedere un Mondo cane che esisteva, pur brutto e cinico che fosse, ma era il mondo dove vivevamo», afferma il critico cinematografico Claudio Quarantotto.
«L’idea forte è stata quella di assemblare le immagini crude tra loro, per contrasto, inserendo musica dolce nelle parti efferate e sonorità dure nelle scene più leggere. Sconvolse i cinefili ma fu un grande successo di pubblico che scatenò invidie e gelosie», afferma Riz Ortolani, che curò la colonna sonora.
Il documentario presenta Mondo cane come un film intelligente e innovativo girato senza finzioni nel periodo del cinema italiano più classico. Gualtiero Jacopetti dice di aver esperimentato un nuovo stile, ma al tempo stesso ricorda le critiche e le accuse feroci per molte sequenze realistiche. La scena del cane che fa pipì sulla tomba in un cimitero per cani venne vista come un’operazione immorale, così come molti critici ipocriti lo accusarono di aver mostrato i ristoranti di Hong Kong dove si mangiano cani. Jacopetti si limitava a riprendere la realtà, non approvava le cose che accadevano ma voleva mostrarle per sconvolgere, scandalizzare e far capire.
Bettinetti racconta l’esperienza di Jacopetti alla Settimana Incom, i cinegiornali rinnovati dalla sua ironia e dal gusto per l’immagine spettacolare. I cinegiornali erano media paludati che parlavano bene dei politici, del tutto conformisti, Jacopetti dette vita a una satira che andò avanti per tre anni, anticipando i tempi con lo sberleffo e le trovate oggi tipiche di trasmissioni come “Striscia la notizia”. L’incontro con Rizzoli fu importante nella vita di Jacopetti perché molte pellicole sono nate dalla collaborazione con il grande editore milanese che stimava molto Gualtiero, anche perché era un tombeur de femmes. «Rizzoli era un ignorante, ma intuiva la cultura, aveva questo dono che non è cosa da tutti. Inventò la BUR e portò i libri economici al popolo, era un editore lungimirante», ricorda Jacopetti.
Jacopetti partì insieme alla sua troupe – e soprattutto con il fidato collaboratore Franco Prosperi – alla ricerca delle cose orrende che succedevano nel mondo, stravolgendo il modo di fare documentario. Non era più il trionfo del bello, ma la ricerca di immagini orripilanti. Prosperi era un valido documentarista, un tecnico puro molto diverso anche come carattere dal giornalista d’assalto, conobbe Jacopetti tramite il comune amico Carlo Gregoretti – che sarà il primo a tradirlo con un articolo ai limiti della diffamazione sul metodo di realizzazione dei mondo movies – e insieme costituirono per anni una coppia affiatata. Jacopetti cominciò la sua avventura cinematografica con il soggetto di Europa di notte (1959), quando fu incaricato da Blasetti di reperire spettacoli erotico-notturni da inserire nel film.
«Mondo cane non è un’imprecazione. Io sono toscano e da noi dire mondo cane è un po’ come dire porca miseria, ma più raffinato. Due cacciatori toscani che attendono invano il passo della selvaggina esclameranno: Mondo cane! Per questo è intraducibile in altre lingue e non è stato facile dare un titolo alle versioni estere», dice Jacopetti. Racconta pure la tecnica con la quale hanno esposto al sole la pellicola a 30 asa insensibile dopo aver girato per rendere le immagini più nitide. Jacopetti era partito come amministratore del film, non doveva essere il regista, ma solo la persona che ricercava le stranezze. Ci vollero tre anni per finire Mondo cane, molta pellicola girata venne scartata e le condizioni in cui si realizzavano le scene non erano per niente facili. Prosperi racconta un grave incidente aereo avvenuto in Nuova Guinea, morì il pilota e i componenti della troupe se la cavarono miracolosamente. Non fu facile girare il documentario, tra l’altro Jacopetti venne processato a Hong Kong con l’accusa infamante di aver violentato due prostitute bambine e fu condannato a scontare tre mesi di prigione.
Bettinetti affronta lo scabroso tema intervistando il regista.
«Per chi non mi conosce io sono un sentito dire. L’incidente della zingarella e quello di Hong Kong sono stati due modi per diffamare il mio nome. In Toscana c’è un proverbio che dice: chi va al mulino s’infarina. A Hong Kong dovevo girare una scena ambientata nel mondo della prostituzione minorile e sono stato oggetto di ricatti per poter fare il mio lavoro. Nel caso della zingarella dovetti subire pressioni simili e caddi in un errore di gioventù. Non sono un pedofilo, questo ci tengo a dirlo. Ho avuto relazioni con molte donne nella mia vita, tutte adulte e consenzienti», racconta Jacopetti.
Il documentario ricostruisce anche la morte di Belinda Lee, attrice inglese al massimo del successo dopo lo scandalo con il principe Filippo Orsini, in un disgraziato incidente automobilistico. Lei aveva venticinque anni e attendeva un figlio da Jacopetti, forse è stato il suo più grande amore che non ha mai dimenticato. Il regista si infortunò gravemente, ma non ha mai superato lo choc della morte di Belinda Lee che stava per sposare dopo aver ottenuto lo scioglimento dal matrimonio con la zingarella. Jacopetti racconta la vicenda con la voce rotta dalla commozione, Bettinetti inserisce immagini d’epoca del funerale e del cimitero inglese dove l’attrice fu seppellita, mostra la tristezza di un uomo che ha perso il suo grande amore.
«Andai in depressione. Mi facevano quattro iniezioni di morfina al giorno per tenermi attivo. Fu un errore perché in pratica mi drogavano e mi trasformarono in morfinomane. Avevo un’ora di autonomia e dopo dovevo riprendere la morfina. Ci volle un anno e mezzo di sofferenza per abbandonare la droga», racconta il regista.
Bettinetti torna a raccontare il cinema di Jacopetti e lo fa in modo originale, per immagini, inserendo il racconto del regista che per montare il film tagliava la pellicola con i denti. La colonna sonora di Riz Ortolani è sempre stata un punto di forza dei film, ma sono elementi importanti anche la fotografia curata e le scenografie realistiche. «Mondo cane 2 è un film rifiutato da Jacopetti perché fu solo un’operazione commerciale, montata con i ritagli e gli scarti di Mondo cane 1, per cavalcare il successo», afferma Ortolani.
Jacopetti è il primo autore di mondo movies e dopo di lui cominceranno a proliferare gli imitatori eccesivi che punteranno soltanto sugli effetti truculenti e sullo splatter.
Bettinetti racconta la vita di Jacopetti, una giovinezza come figlio della lupa e avanguardista, volontario di guerra, caporale in Albania, a Durazzo e la sua prima delusione nella campagna di Russia. Il rientro a casa non fu facile, perché venne arruolato come ufficiale di collegamento e incaricato di ricercare il carteggio Churchill–Mussolini. Jacopetti ricorda di aver visto i corpi massacrati di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, due attori che amava e che avrebbe voluto incontrare ma non da cadaveri durante un’orribile guerra civile. Nel dopoguerra Jacopetti si impegna politicamente con la destra, è attivo contro il blocco delle sinistre, diventa amico di Indro Montanelli e di Leo Longanesi, che lo introducono nel giornalismo.
«Un giorno andai al Corriere della Sera da Montanelli. Avrei voluto fare il giornalista e già collaboravo a La Nazione per la cronaca locale, ma vedere via Solferino e quel tempio del giornalismo un po’ mi spaventava. Montanelli mi disse che per entrare in quel palazzo dovevo fare un grande salto, perché non c’erano scale, fuor di metafora on c’era una carriera da fare. Mi consigliò di portargli una serie di articoli, ma dovevano essere importanti», racconta Jacopetti.
Il suo primo lavoro per il Corriere della Sera furono una serie di storie di sopravvissuti scritte da Vienna che colpirono nel segno. La carriera di Jacopetti prese il via, divenne redattore alla Settimana Incom e cominciò a scrivere articoli dall’Etiopia, pare che grazie a lui ripresero i contatti tra l’Italia e il paese africano. In seguito fu direttore della Settimana Incom e fondò Cronache, rivista che dava molta importanza alla fotografia, dalle cui ceneri nascerà L’Espresso. Gli articoli di Jacopetti erano contro i tabù, polemici, tesi a smitizzare, metteva in copertina due foto contrastanti per scandalizzare, cosa che farà anche nel cinema con il montaggio per contrasto. Cronache subì un sequestro per aver mostrato le gambe di Sofia Loren in copertina e Jacopetti fu processato per smercio di materiale pornografico. Il periodo storico era lontano anni luce dalla realtà contemporanea.
Il documentario di Bettinetti è un valido specchio dei tempi, racconta per immagini la dolce vita romana e dice che Jacopetti era uno dei suoi protagonisti. Ursula Andress ricorda Jacopetti come un uomo di grande classe, calmo, dignitoso, un gentiluomo ribelle molto attraente che tutti volevano avvicinare per il suo modo d’essere e per la sua ironia. Non era facile viverci insieme – ricordano le sue donne – non era uno che si prodigava in smancerie, ma pretendeva ed era un uomo duro e deciso, molto sicuro di sé. La figlia Christine dice che suo padre ha avuto donne molto buone che lo accettavano o molto intelligenti che lo capivano. Pure il rapporto con la figlia non è mai stato dei migliori, lei non ha mai vissuto con il padre, lo ricorda sempre in mezzo ai pericoli, come un tipo avventuroso, libero, che amava il mare e voleva viaggiare per il mondo. «Non ho mai visto i film di mio padre, non voglio restare delusa», dice. I due si sono riavvicinati recentemente, perché secondo la figlia adesso il padre è diventato un vecchio saggio e ha perso il cinismo d’un tempo.
La donna nel mondo, è un film dedicato a Belinda Lee che nacque dalla volontà di Rizzoli di fare un documentario sulla questione femminile. Rizzoli avrebbe voluto far lavorare insieme Oriana Fallaci e Gualtiero Jacopetti, ma fu impossibile perché erano due caratteri troppo forti per poter andare d’accordo. «L’idea di portami dietro la Fallaci mi sconvolgeva», dice Jacopetti. Alla fine fece tutto da solo con il fido Prosperi e la factory di sempre.
Africa addio è un film che ha scatenato polemiche a non finire.
«Ho sempre avuto una gran passione per l’Africa, da ragazzo leggevo Salgari e Verne, fantasticavo. Per me l’Africa rappresentava la voglia di evadere, la salvezza, la libertà. Abbiamo impiegato tre anni per girare centinaia di migliaia di metri di pellicola che dovevano raccontare la decolonizzazione. Erano storie difficili da filmare, pezzi di storia che finivano in un documentario destinato a sconvolgere i moralisti. L’Africa avrebbe avuto bisogno di un periodo di protettorato, non di un’ipocrita liberazione improvvisa. Non erano preparati…», dice Jacopetti. Africa addio subì sequestri e processi, ma l’Odissea del film cominciò da un articolo di Carlo Gregoretti intitolato “La guerra personale di Gualtiero Jacopetti”, dove si facevano pensati insinuazioni sull’operato del regista. Gregoretti scrisse che Jacopetti aveva ordinato la sospensione di una fucilazione per filmarla con una luce migliore, mise in dubbio la veridicità di molte scene e insinuò il sospetto di connivenze tra la troupe e chi commetteva gli eccidi. Jacopetti rischiò l’arresto, ma tornò in Africa per trovare testimoni e per realizzare un dossier difensivo. Alla fine venne assolto perché il fatto non sussisteva, ma le diffamazioni erano state riportate a caratteri cubitali nelle prime pagine, mentre la sentenza di assoluzione fu relegata tra le cronache minori.
«Ho precorso i tempi e ho filmato scene di un mondo che non mi piaceva. Scavavo nelle viscere ma erano tutte scene vere. Giravo i raccordi e i dettagli in studio per rendere il film spettacolare, ma ero lì, presente ai fatti. Non sono un nostalgico dell’Africa coloniale, ma in quel film volevo dire soltanto che i tempi non erano maturi per andarsene in tutta fretta e lasciare molti popoli in balia di guerre fratricide. Sono stato profetico…», afferma il regista.
Jacopetti rischiò la pelle per un’impresa bella e romantica. I giornali francesi dedicarono copertine e intere riviste al film. In Italia, invece, solo polemiche assurde dettate dall’invidia. Africa addio riscosse un successo incredibile, guadagnò il David di Donatello (il secondo per Jacopetti dopo Mondo cane) e rese il suo autore famoso in tutto il mondo. Per Claudio Quarantotto l’ostilità italiana verso il film era dovuta a un’egemonia della sinistra nel cinema. Jacopetti aggiunge: «Non sono razzista. Però dico che è negativo pure il razzismo alla rovescia. Non giudico gli uomini dal colore della pelle ma per come sono e quindi perché devo affermare che nero è bello? Questo è il razzismo alla rovescia che in quel periodo andava di gran moda».
Sembravano maturi i tempi per fare un film a soggetto.
«Leggemmo Mandingo, un romanzo sulla schiavitù. Lo trasformammo in un film-documentario sulla schiavitù intitolato Addio zio Tom, un film importante perché voleva dimostrare che la società accettava il principio dettato da Santa Romana Chiesa che il negro era un essere privo di anima», afferma Jacopetti.
Il Brasile non volle Jacopetti e la sua troupe, per questo si cercò ospitalità nei Caraibi e alla fine fu Françoise Douvalier – il tiranno haitiano noto come Papa Doc – che accettò di ospitare il set del film. Furono diciotto mesi di riprese a Port au Prince, realizzate a quaranta gradi all’ombra, in una nave piena zeppa di haitiani che dovevano fingere di essere schiavi deportati. Papa Doc fornì le comparse in grande quantità, ma mancavano i bianchi e per questo alcune scene sono state interpretate dai componenti della troupe. Persino la caccia agli schiavi è stata girata ad Haiti, con la finzione di trovarsi nel Sud degli Stati Uniti. Kathryn Toll – una ex fidanzata che in quel periodo viveva con Jacopetti – dice: «L’accusa di razzismo era ingiusta, perché la pellicola denunciava la crudeltà». Jacopetti e Prosperi affermano che Addio zio Tom è una pellicola antirazzista, non sta dalla parte di chi commetteva crudeltà contro i neri, ma documenta le aberrazioni.
Jacopetti e Prosperi sono stati una coppia miracolosa, il primo più artista, il secondo più tecnico metodico, lavoravano con spirito di fratellanza e reciproca stima anche dodici ore al giorno. L’ultimo film a soggetto – Mondo candido – ha incrinato un rapporto perfetto, perché quando Jacopetti insoddisfatto del risultato ha mollato il lavoro, Prosperi ha commesso il tradimento di finire l’opera.
«Mondo candido doveva rappresentare il peggiore dei mondi reali ed era un film a soggetto ispirato a Voltaire e al suo Candide, uno scrittore che ho sempre sentito vicino al mio modo di pensare. Coinvolsi Lino Spagnoli proprietario della Perugina che voleva entrare nel cinema e provai a fare questo esperimento. Sergio Leone mi fornì la troupe, ma le cose non andarono come pensavo, il film fu un disastro e alla fine me ne andai. Prosperi cedette su alcune cose e portò a termine il lavoro. Mondo candido ha cambiato la mia vita, come un amore sbagliato, è stato un trauma forte, perché l’idea era buona ma non è venuta come volevo. Tra l’altro un personaggio come Candide sarebbe molto attuale ancora oggi», ricorda Jacopetti.
«Ci siamo separati per stanchezza. Gualtiero era scomodo come giornalista, era una figura complessa, non era facile lavorare con lui», dice Prosperi.
Jacopetti non scese a compromessi per Mondo candido. Prosperi sì. Fu quel tradimento a interrompere un sodalizio fruttuoso tra due autori che si sarebbero ritrovati solo trent’anni dopo in un festival cinematografico. Jacopetti abbandonò il cinema, per un po’ di tempo continuò a scrivere su Il Giornale di Montanelli, fu avvicinato da Silvio Berlusconi per dirigere i telegiornali Fininvest, ma l’accordo non andò a buon fine perché non piaceva ai socialisti. Jacopetti si ritirò a vita privata, lasciò l’Italia e visse per dieci anni in Thailandia.
«Meglio vivere di rimorsi che di rimpianti, dice Oscar Wilde. Io credo di non avere rimpianti. Rimorsi forse sì. Per il giorno della mia morte sogno un elicottero che mi faccia sparire nel Vesuvio. La cosa che temo è il brutto spettacolo dei miei resti», conclude Jacopetti.
Andrea Bettinetti ha dato un grande contributo alla conoscenza di un regista dimenticato che si è visto riabilitare in vita da una serie di accuse infamanti. È una fortuna che non capita a tutti.
Gordiano Lupi
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L'importanza di essere scomodo: GUALTIERO JACOPETTI
di Andrea Bettinetti
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