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Miriam Celaya. Cuba: due governi?
06 Agosto 2010
 

Di tutto l’affollato calendario liturgico della rivoluzione cubana, il 26 luglio rappresenta da mezzo secolo la data per antonomasia. Più importante del 1° gennaio (giorno del trionfo della guerriglia Castrista e dell’instaurazione di una rivoluzione condannata al fallimento), la beffa della commemorazione dell’assalto al quartiere Moncada, che non tiene minimamente conto delle numerose vittime che ha provocato nel 1953, è diventata l’evento festivo nazionale, mettendo in secondo piano l’importanza di qualunque altro avvenimento storico dell’isola. Col passare del tempo l’atto commemorativo si è trasformato anche in un “premio politico”, con il conferimento quale sede di tale magna celebrazione alla capitale provinciale “vincitrice” di “un’emulazione socialista”, i cui fondamenti nessuno conosce, o nessuno ricorda, ma che allo stesso tempo non interessano a nessuno perché - come noto- si tratta di una designazione che in realtà risponde a interessi congiunturali del governo e non a supposti meriti o guadagni di questo sistema in rovina.

Il 26 luglio del 2010, ha fatto senza dubbio la differenza, perché questa volta in quella data convergono una successione di eventi che alterano l’abituale monotonia del rituale. Santa Clara, città sede nella quale, come nel resto del paese, non si produce nulla, ha fatto da scenario, questa volta grazie non al “sostenuto lavoro e gli straordinari risultati economici e sociali” dei suoi abitanti (tanto apatici e privi di speranza, sentimento che pervade tutta l’isola), se non, paradossalmente, per il prolungato sciopero della fame e della sete sostenuto dal dissidente Guillermo Fariñas dal suo letto d’ospedale provinciale, per la liberazione dei prigionieri della Primavera Nera. La formidabile solidarietà suscitata da Fariñas e i tanti commenti circolati sulla sorprendente situazione di questo cubano, capace di sacrificarsi e mettere in pericolo la propria vita per la libertà degli altri, sono state motivazioni sufficienti per decidere di apportare un’iniezione di ideologia ufficiale alla città: L’Atto Centrale del 26 è stato una cortina di fumo per dimostrare che Santa Clara non era una sorta di piazza moralmente assediata dalla dissidenza, ma un bastione di rivoluzionari fedeli allo spirito del Moncada.

Questo 26 è stato segnato dall’inizio della liberazione dei prigionieri politici e di coscienza, dalla sensazionale riapparizione pubblica del signor F. quale gelosa vedetta venuta meno che vede perduto lo scenario e tenta di sostituire con un’esagerata esplosione di colore la sua mancanza di freschezza, dalla pubblicazione di una saga di predizioni su un imminente olocausto nucleare, dal persistente silenzio del Generale Raúl Castro rotto solo di recente per un breve discorso di chiusura (1° agosto) nel corrispondente periodo di sessioni dell’Assemblea Nazionale, e per un nuova sostituzione del ministro – questa volta della salute pubblica –, fatto questo che può significare l’incapacità di durare in carica, sul ring sembra che si stia per giocare la più grande contesa del momento: la cupola del potere.

Il Presidente cubano ha conservato anche un enigmatico (o conveniente) silenzio durante la celebrazione di Santa Clara: non solo omettendo il tradizionale discorso nel quale si suole fare bilanci e promesse che non si realizzano mai – chissà, magari evitando di pronunciarsi sulla liberazione dei “disprezzabili mercenari al servizio dell’Impero”, sulla repentina entrata in scena di un personaggio che non fa ufficialmente parte del reparto o su un eventuale piano di governo per affrontare le conseguenze della “guerra nucleare” che ci minaccia –, ma ha passato la palla niente di meno che a Machado Ventura, famoso per il suo attaccamento all’immobilismo della linea dura comunista e per la sua posizione marcatamente dogmatica di vecchio stampo stalinista. Per molti è stato come lanciare un getto d’acqua fredda su una superficie bollente. Tutto il mondo è rimasto a bocca asciutta, o, come si diceva ai miei tempi, “ci hanno lasciati con un pugno di mosche”.

Infine, questo 26 di luglio è trascorso come se esistessero due Cuba, o per meglio dire, due governi in una sola Cuba: uno fantasmagorico e allucinante, dove un vecchio fantasma annuncia la fine del mondo mentre deposita onorificenze a delle vittime che lui stesso ha provocato e designa coloro che si salveranno dall’ormai prossimo olocausto (come accadrà, per esempio con Lucius Walker e la sua carovana); mentre un altro governo, forse più terreno o vicino alla realtà, si dedica a negoziare in segreto con istituzioni cubane e straniere, a liberare prigionieri, a ignorare le fantasmagoriche apparizioni di F. e a sostituire funzionari. Ad ogni modo, questo dualismo, finora ha ottenuto solo di accentuare l’impressione di un gran caos. La presenza di F. che interferisce con questioni di Stato che – se ci atteniamo alla legge – dovrebbero corrispondere solo al Governo e alle sue istituzioni, risulta ora più che mai incoerente e dannosa. È completamente aberrante. Cuba ha bisogno di definizioni realiste e non di deliri per affrontare la congiuntura più difficile degli ultimi 50 anni. Dall’intelligenza e dall’abilità politica con cui affrontare questi tempi dipende il futuro di tutti, poiché è comprovato che il nostro vero Olocausto lo abbiamo dentro.

 

Miriam Celaya

(da sin EVAsión, 3 agosto 2010)

Traduzione di Francesca Desogus

desogus.francesca@tiscali.it


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