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Reinaldo Escobar. Te l’avevo detto
05 Agosto 2010
 

Non voglio cadere in quel modo di parlare tipico dei vecchi che si riassume nella frase “te l’avevo detto” quando si verifica quel che si era previsto. Non contento di aver sprecato l’opportunità del 26 luglio, Raúl Castro è tornato a parlare in maniera molto stringata davanti al Parlamento.

Le misure annunciate in tema di ampliamento del lavoro privato e la flessibilità sui contratti per assumere mano d’opera sono passi in direzione corretta, ma mancano ancora di profondità e sono caratterizzati da un’esasperante lentezza. Per esempio, sarà possibile rivolgersi all’ufficio che si occupa di certe tematiche e prendere una licenza come giornalista indipendente? Le imprese miste potranno contrattare il loro personale senza l’imposizione del monopolio impiegatizio praticato dallo Stato? Era indispensabile farla finita con la pratica paternalista di tenere otto persone in posti di lavoro dove ne bastavano tre. È stato importante affermare il principio che la prima - se non la sola - ragione per selezionare i nuovi impiegati deve essere l’idoneità al posto di lavoro. Adesso resta da dire con fermezza che al momento di licenziare non possono entrare in gioco probabili discriminazioni e favoritismi.

Lo dico con grande rispetto ma non credo, come afferma il generale presidente che non esista una lotta tra tendenze sulla direzione da far prendere alla rivoluzione. La proclamata unità permette a Raúl Castro di parlare usando la prima persona plurale come soggetto impreciso per determinare il ritmo dei cambiamenti. Ma le divergenze possono essere più acute e persino antagoniste secondo il ritmo che prenderanno, perché la rapidità e la profondità che alcuni propongono finirà per provocare la caduta del socialismo.

Se le opinioni di un cittadino si allontaneranno dall’interpretazione di ciò che il partito considera come “gli stessi propositi di giustizia sociale e sovranità nazionale” non saranno viste come divergenze oneste e saranno esclude da ogni possibile dialogo.

Raúl Castro non si è rivolto al Parlamento come presidente di tutti i cittadini, ma come il capo di una banda. Ha ripetuto oziosamente: «Non ci sarà impunità per i nemici della patria, per coloro che intendono mettere in pericolo la nostra indipendenza». La tanto proclamata unità non si fonda soltanto sulla falsa unanimità e sulla simulazione opportunista, ma - come risulta chiaro dopo la lettura serena del suo discorso - soprattutto sul timore di essere considerato un traditore della patria solo perché si chiede maggior profondità e velocità nei cambiamenti, incluso - perché no? - farla finita con un sistema che ha saputo dimostrare soltanto la sua non praticabilità.

Il presidente di tutti i cittadini dovrebbe garantire che nessun cubano, qualunque sia la sua opinione, venisse privato del diritto di esprimersi liberamente, in qualunque strada e in qualunque piazza. Sarebbe giusto che non esistessero più persone disponibili a comporre la folla di un meeting di ripudio, così come sarebbe auspicabile che chi ha opinioni diverse dal partito comunista non dovesse attendere l’autorizzazione di un generale per poter parlare liberamente e non si dovesse difendere da coloro che ricevono l’ordine di andare a manifestare.

 

Reinaldo Escobar

(da Desde aquí, 4 agosto 2010)

Traduzione di Gordiano Lupi


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