Yoani Sánchez ha passato la notte in ospedale insieme a Coco Fariñas, è voluta restare alcune ore accanto a un uomo che con un prolungato sciopero della fame e della sete ha contribuito alla liberazione di tanti prigionieri. Niente telefono cellulare nelle sale dei degenti, il regolamento parla chiaro, così ha dovuto rinunciare a twittear, non ha potuto praticare il suo antidoto quotidiano alla mancanza di libertà. Coco Fariñas ha passato una notte difficile, soffre molti dolori nella zona inguinale. Il suo calvario non è terminato perché il corpo è ancora fragile dopo aver passato quattro mesi senza ingerire cibi solidi e liquidi.
Al mattino Yoani ha salutato Fariñas e ha ripreso la strada per L’Avana insieme al marito Reinaldo Escobar. A casa c’è Teo che l’attende, ma ci sono pure i doveri di un blog che per molti lettori è l’unico modo per conoscere la situazione cubana. Due giorni senza dormire non hanno scalfito la sua voglia di lottare, perché la piccola blogger è fragile soltanto nella costituzione, ma ha un carattere forte, come una donna d’altri tempi, come una rivoluzionaria della Sierra Maestra. Manca soltanto un buon caffè per riprendere le battaglie quotidiane a suon di kylobites, alla conquista della libertà tra buche sul selciato, autostoppisti, venditori di formaggio e marmellata di guayaba che offrono prodotti ai bordi dell’autostrada. Yoani viaggia lungo una strada percossa dal sole e pensa a Fariñas che durante la notte ha dormito solo pochi minuti, si lamentava, soffriva, ma era vivo, questa è la cosa più importante. Adesso si tratta soltanto di seguire la sua salute con attenzione, di vigilare su possibili ricadute, di alimentarlo con oculatezza, di farlo bere a piccoli sorsi.
Yoani si accarezza i lunghi capelli, passa le mani sulla fronte, stanca, spossata, il volto tirato che osserva il sole e i neri avvoltoi che si levano in volo sul piccolo fiume che attraversa Santa Clara. Le dita corrono veloci sul telefono cellulare che non abbandona un istante per digitare dubbi e speranze. Il governo non ha la volontà di smantellare l’apparato repressivo, pensa Yoani, e allora è tutto inutile, siamo punto e a capo, sarà sufficiente una nuova Primavera Nera per provocare ancora un’ondata di arresti. Forse potrebbe bastare molto meno, semplici articoli, opinioni espresse in maniera non conforme, critiche più o meno velate al potere.
Yoani siede accanto a Reinaldo che guida una vecchia Lada lungo l’autostrada in direzione dell’Avana, guarda il suo uomo e sorride. Tutto sommato è felice, almeno questa volta nessuno è morto per ottenere un diritto, anche se il futuro presenta molti lati oscuri.
«Hanno liberato questi prigionieri perché non potevano fare altro, erano in difficoltà, ma è stata una concessione dall’alto, un gesto di magnanimità. Non c’è nessuna volontà di cambiare», dice al marito. Reinaldo annuisce. Pure lui sa che le cose stanno in questo modo, ma per il momento meglio non pensarci, adesso è il momento di godere la vittoria fino in fondo. Reinaldo sa qual è la differenza tra liberare e deportare, sa che un uomo libero deve scegliere il suo destino e non può essere costretto a lasciare il suo Paese.
«Pablo Pacheco uscirà di prigione, ma dovrà andare in Spagna», dice Reinaldo. Yoani sorride, ma è un sorriso amaro. Pure lui deportato, quindi. «Almeno potrà leggere il suo blog…», sussurra.
La strada è ancora lunga. L’Avana è lontana. Yoani pensa che la mattina tropicale è stupenda, non ha niente a che vedere con il grigio montano delle montagne svizzere, diffonde luce e colori mentre rami di palme frondose si muovono al vento. Non cambierebbe con niente al mondo questo panorama. Yoani guarda avanti, percorre con gli occhi una strada irta di difficoltà, ma dentro al cuore cova tanta speranza, pur tra mille dubbi che non la fanno dormire. Il suo posto è qui, tra questi uomini e queste donne che lottano, accanto a suo marito e a suo figlio. Per le strade di una Cuba che sta cambiando e che un giorno non lontano sarà davvero libera.
Gordiano Lupi