Parlando in queste ore, e queste ore sono il nostro sempre, e dire della commedia tragica nella quale si esibisce la voce dei padroni può soltanto sembrare inopportuno, e non lo è.
Parliamo dei femminicidi d’estate, che hanno uno scenario diverso solo nella temperatura. Da rimodulare nelle stanze dei tutori della convivenza
Se dovessimo privarci della forza dell’ironia, per le contingenze, e non sarebbe questo un caso contingente, dovremmo perdere quella che è la forza della nostra parola, diversa perché non recita ed è sempre lo specchio di quelle che siamo: capaci di rivelare, vedere e insieme vivere con la forza del distacco ironico da chi sappiamo fa sul serio solo fuori dalla scena.
Parliamo in queste ore, come in quelle precedenti, del femminicidio che sfida temperature, crisi economiche ed emergenze d’ogni tipo, per ripetersi e scandire il tempo delle donne, anche solo come minaccia.
Ne abbiamo pronunciato il nome la prima volta per salvare Safija Hussaini, e non successe molto nell’universo politico, perché ancora poteva vestirsi da crociato: si trattava di un’altra, lontana, vittima dei barbari.
Non abbiamo mai inteso con questa parola una nuova fattispecie di reato, femminicidio è una parola politica che sottolinea la disuguaglianza legale e morale del valore attribuito alla vita delle donne. Il femminicidio è qui come altrove, sempre nella storia, un pilastro dell’ordine delle cose che così vanno, immutabili nell’orizzonte .
È stato forse per sofferenza, è stato forse per il sospetto col quale questa parola costringe a guardare dentro le relazioni con gli uomini del cuore, che alcune dissero che quella parola era usurpata ad altre tragedie e molte ancora dissero che parlare di violenza era una diminuzio simbolica del livello di scambio politico tra femminismo e universo neutro. Questo, senza voler riaprire polemiche o ferite superate da una forte condivisione sul contrasto alle violenze, va ricordato per quanto segue, che è la denuncia dell’amara riproposizione dello “sta succedendo ad un’altra che non ha i miei strumenti, che non li usa”. Oppure Sta succedendo perché se l’è voluta.
-Se l’è voluta- così dice alla signora di Sondrio la Cassazione. La sentenza, oggi seconda metà del 2010, fa scandalo solo per chi è abituato a risolvere tutto con le proteste. Non è uno scandalo, è la vergogna celata sotto l’equanimità del giudizio, in una continuità di perfetta logica con le politiche di contrasto fin qui abbozzate dai governi. La sentenza dice che una donna che non si ribella, se picchiata e maltrattata per molto tempo, non ha subito un reato. È già sfuggita alla morte, alla depressione, alla malattia, (e questo non è mai vero), basta così. Non era così indebolita da permettere di chiudere tutto con la pietà e la beneficenza, non è un caso pietoso, basta così!
I giudici sono stati in linea di coerenza con la presa in giro degli spot “che obbligano al coraggio”, dei fondi sempre più esigui ai centri antiviolenza, che seguono i protocolli internazionali per l’emancipazione delle vittime, di leggi che servono ad altro. E una legge che non c’è.
Nel nostro paese non si distribuiscono risorse ai centri antiviolenza, quel poco che viene destinato al contrasto delle violenze sessuate prevalentemente si disperde su strutture religiose e benefiche, su progetti affidati agli imprenditori della sussidiarietà, e solo infine le briciole vanno ai centri.
Le femministe, nei centri e fuori, sono la vera risorsa e lo sono su due piani: denunciano dell’immobilismo di tutte le istituzioni, dal parlamento alle amministrazioni locali, e con l’autofinanziamento assicurano la gestione del contrasto alle violenze.
È qui che si può guardare nel danno implicito arrecato a tutte le donne in Italia, causato da parole come pietre che vengono scagliate dalla politica. La violenza si esercita nella certezza dell’impunità, escludendo a priori in conflitto con la vittima, perché la si immobilizza le si impedisce di gridare. Come non vedere allora che le parole come pietre vengono scagliate nella certezza di avere in mano la possibilità di imbavagliare la risposta. Ci siamo sentite denigrare e vilipendere, ed il silenzio ci è stato imposto.
E ci siamo arrangiate da sole, consapevoli che giornali e media servono ai padroni della politica e a qualche donna, che in barba alle sue capacità e competenze, rischia sempre di apparire come occupante un posto frutto di elargizioni, che siano pari opportunità o motivi altri che lasciamo nominare alla volgarità dei padroni del megafono. Siamo andate imparando, per esempio che la farsa del silenzio delle donne serve anche a dire che se la rappresentanza in Italia è a livelli da infrazione sulle risoluzioni Europee, in fondo è giustificato, per donne che non hanno ribellione e sono disinteressate a difendere la propria dignità.
Noi sappiamo che rappresentanza italiana, sanità da obiettori, servizi da beneficenza pubblica, sono cose da politica cialtrona per un paese dove forse non si violenta di più e forse non si sopprimono più donne che altrove, ma dove sicuramente la cialtroneria insiste con maggior volgarità per la sovrapposizione quasi totale tra politica e informazione. Si svergognano a modo loro, fanno tutto da soli!
Fanno tutto da soli, tranne quello che facciamo noi e senza soldi.
È qui che domandiamo e lo domandiamo a donne e uomini intelligenti. Non a tutti gli uomini e le donne intelligenti, solo a quelli che più pervicacemente si chiedono dove siano le donne, con un’espressione stucchevole, e che si prendono il compito, di fronte alla presunta incapacità politica delle donne, di sollevare le “masse femministe”. Naturalmente fallendo, come tutti quelli che non sanno di cosa parlano. E non sono solo i giornali.
Mentre scorre il sangue delle donne straniere e native in Italia, mentre nelle scuole, nei conventi, sui posti di lavoro e sempre nelle case si consuma il femminicidio e la rapina sui bambini, uomini e donne dell’opposizione si chiedono dove sono le donne, non per la vergogna che avviene sotto gli occhi di tutti, ma perché Berlusconi ha detto l’ultima, che spesso, riconosciamo, è sorprendentemente violenta e volgare.
Non se lo chiedono in quanto convinti, come invece lo siamo noi, che tutto quel cialtronare, del singolo per tutti, riassuma le violenze nelle case, lo sfruttamento della prostituzione, i soldati delle missioni che usano bambine e bambini, le torture e gli stupri nei centri di permanenza, il menefreghismo per il benessere dei cittadini.
Si tratta di ben altro: vorrebbero tutti e tutte coloro che ci invocano, che parlassimo a comando, male di Berlusconi, contando infantilmente sul potere taumaturgico di un’oceanica discesa, a comando, delle donne in piazza.
Su femminicidio e, a distanza stellare nella scala delle priorità, insulti, pulmanate di studentesse per rallegrare il Rais Gheddafi, sappiamo di poterci affidare solo a noi stesse, così come facciamo per tutto ciò che riguarda la cura del mondo, ma quegli uomini e quelle donne intelligenti si attendono molto dalla loro classe dirigente e lavorano per aiutarli a fare l’opposizione, li correggono e attribuiscono competenze: e su quelle contano, perché i grandi problemi vengano risolti. Per loro in questi grandi problemi non ci sono “quelli delle donne”, (e se guardassero bene vedrebbero lì la radice di tutto), problemi minori, affari di donne, che mica possono far perdere tempo ai loro capi.
Allora si fanno fustigatori del femminismo reale ed epigoni di un movimento di donne immaginario, deputato a parlare solo contro le sconcezze del premier, che se davvero fosse, quel movimento, lì per dare la spallata, poi dovrebbe tornare a nell’ambito elargitivo delle pari opportunità, sempre a comando. È già successo che le donne scendessero in piazza, negli anni 2000, tante volte, ma non era opportuno e a comando. È già successo, ma non è mai successo per chi attende un altro miracolo che gli levi le castagne dal fuoco...
In questi giorni ci stanno scrivendo alcune donne influenti, chiedendoci se non abbiamo nulla da dire sulle ultime vittime della brutalità maschile, approfittiamo per chiedere a loro se hanno nulla da dire, mentre fanno cose così importanti, che immaginiamo impediscano loro di parlare.
Abbiamo deciso di scrivere a lungo, perché la brevità è per la stampa, perché la brevità presuppone mestiere. Noi non ne abbiamo di mestiere, facciamo politica cercando di rispondere alla storia quotidiana delle vite di cui ci prendiamo cura. Scrivere a lungo è l’unico modo che abbiamo per allontanarci dalle ripicche e dai battibecchi che, fatti da noi, confermerebbero la bontà dei battibecchi e delle ripicche in cui si dipana il vuoto filosofico della politica gareggiata.
Le donne morte in questi giorni, e anche quella bambina che ha che ha rischiato un’altra morte per sfuggire a quella sicura dello stupro e del coltello, non sanno più o in questo momento di offese, tagli di bilancio o legge bavaglio: la politica per loro è finita e non c’è forse mai stata ad aiutarle in nulla. Loro, nostre maestre, segnano il fallimento della classe dirigente, che è lì per prendersi cura della convivenza, e invece dimentica anche le lezioni sull’umanesimo studiate al liceo.
Noi le ricorderemo sempre, e se ci sfuggono i nomi, perché sono tanti, non ci sfugge che la politica ha fallito su tutte le scommesse che ha lanciato, perché ha pensato che avrebbe potuto far camminare progresso e democrazia sui loro corpi, scavalcandoli, nell’impossibilità di celarli in eterno, come si fa con le pozzanghere quando piove.
Piove, femminismo ladro!
Udi Napoli