La politica è l’arte del possibile. Per questo morivo ho deciso di appoggiare dal primo momento l’incontro tra il generale dell’esercito Raúl Castro e il cardinale Jaime Ortega Alamino. Quest’ultimo si è appellato all’intelligenza e alla buona fede, intercedendo per le Damas de Blanco, per i prigionieri politici e per i dissidenti. L’arcivescovo dell’Avana, massimo rappresentante del Vaticano sull’isola, ha ignorato le critiche fatte dall’interno e dall’esterno del Paese. A onor del vero, qualsiasi attacco a questa iniziativa potrebbe farla terminare in attacchi sterili, senza la liberazione dei prigionieri politici e questo Jaime Ortega lo sa perfettamente.
Il suo compromesso con Cuba è un ordine di Dio e nasce anche da un richiamo forte della propria coscienza. Ho simpatia per il cardinale, non lo nego. Ho piena fiducia in Ortega Alamino. Se per questo motivo mi guadagno qualche critica, che siano le benvenute. Se mi sbaglio, lo riconosco e basta. Oltretutto ho questo diritto e non voglio rinunciare a esercitarlo per fare piacere a nessuno. Ho sempre detto che per prima cosa devo essere in pace con la mia coscienza e dopo con quella dei miei simili. Naturalmente senza far danno o senza intaccare i miei principi. In politica a volte sembra complicato raggiungere un obiettivo ma a volte il suo conseguimento si trova proprio davanti agli occhi. È anche vero che nei momenti di maggiore fragilità e tensione, possiamo raggiungere più facilmente le mete che sogniamo.
Ma il trasferimento di Antonio Díaz Sánchez prima, di Adolfo Fernández Saínz e Félix Navarro Rodríguez dopo, mi ha lasciato un sapore agrodolce difficile da comunicare. Nonostante il ferreo controllo che aleggia su noi prigionieri politici e dissidenti, riusciamo a mantenere una fluente comunicazione, burlandoci dell’assedio militare. Adesso rimaniamo solo io e Pedro Argüelles Morán, il futuro di entrambi è incerto, ma qualsiasi sia la destinazione che ci daranno, sarà difficile, molto difficile, tornare ad avere una squadra come quella che abbiamo creato nel carcere provinciale di Canaleta a Ciego de Ávila. Non ho dubbi che in altre prigioni accada lo stesso, ma il nostro cameratismo ci ha permesso di sopravvivere e proteggerci.
Questi ultimi due si sono dimostrati dei veri amici negli ultimi sette anni: Tony, indomabile e ineguagliabile quando c’era bisogno di creare un evento; Félix Navarro, unico per intelligenza, onestà e tolleranza nei confronti di ogni idea. Adolfo Fernández Saínz, padrone di se stesso e giudizioso al momento di prendere una decisione collettiva. Pedro, ribelle di natura ma nobile di cuore e lettore voracissimo, nonostante la scarsa vista che gli rimane a causa della malattia che ha colpito i suoi occhi. Nessuno può capire l’influenza che queste persone hanno avuto su di me e quanto mi hanno aiutato con i loro saggi consigli.
Domani può accadere di tutto, ma fin quando rimango un prigioniero politico e dissidente, non c’è nulla, assolutamente nulla, da festeggiare. Oltretutto, se ci facciamo comandare dalle leggi vigenti, molti dei prigionieri dovrebbero essere in regime di minima sicurezza o addirittura in libertà. Dobbiamo ricordare che il lupo perde il pelo ma non il vizio. Non ho dubbi che le autorità cubane conservino ancora qualche asso nella manica. L’asso d’oro, forse. Anche se a questo punto del gioco non credo che niente possa aiutarli a vincere la partita.
Oggi do più valore alle sagge parole di Adolfo e Félix: “Pazienza, Pablito, bisogna avere pazienza. Il potere ci viene dal rimanere decisi e fermi davanti ai nostri carnefici”. Non so quando potrò tornare a vedere questi due uomini degni ed eccellenti, ognuno di loro ha lasciato un segno nel mio cuore. Spero che anche loro si ricordino della mia frase preferita: “Abbiate cura di voi, che è ancora tanto quello che dobbiamo e possiamo fare per Cuba”.
Pablo Pacheco Avila
(da Voce tra le sbarre, 19/06/2010 - “Cuídense”)
Traduzione di Barbara La Torre
www.barbaralatorre.net