Qual’è la situazione attuale dell’isola?
Difficile rispondere con una battuta. La situazione di Cuba è immobile da cinquant’anni, ma dalla caduta del muro di Berlino le cose sono cambiate in peggio, soprattutto da un punto di vista economico. La necessità di ottenere valuta pregiata ha convinto il governo ad aprire al turismo e a inserire una moneta riservata a quel settore, che si chiama peso convertibile (CUC) ma è un dollaro mascherato. Il problema è che i cubani vengono retribuiti con il peso nazionale che vale venti volte meno e non serve per sopravvivere in un’economia parificata su chi - legalmente o illegalmente - detiene dollari. Va da sé che tutti cercano di lavorare nel turismo o nei settori affini perché un cameriere solo con le mance guadagna più di un professore universitario. Proliferano il mercato nero, l’illegalità, la prostituzione, la truffa ai danni del turista e il furto nei confronti dello Stato. I cubani non vedono un futuro nella loro terra e pensano solo alla fuga, allevano i figli nel mito di andare a vivere negli Stati Uniti e in Europa. Ogni metodo è buono: una zattera, un matrimonio, un invito da parte di un amico… Oltre a questo a Cuba manca ogni tipo di libertà, ci sono circa 200 prigionieri politici in carcere, l’istruzione è indottrinamento e la tanto conclamata sanità è perfetta solo negli ospedali per turisti. Per uscire da Cuba serve un permesso e così per rientrare, non è ammessa l’iniziativa economica privata, non si può avere una connessione Internet in casa, non esiste libera stampa, la televisione è di Stato, le elezioni sono una farsa inutile dove tutti votano un listone predisposto dall’alto. Credo di aver fatto un quadro abbastanza esauriente.
Cosa pensa della situazione politica e del governo Castrista?
Tutto il male possibile. Raúl Castro da quando è salito al potere ha fatto solo cambiamenti cosmetici come permettere l’acquisto di telefonini, elettrodomestici e computer (con quali soldi?). Un'altra innovazione salutata con clamore è il permesso per i cubani di frequentare gli alberghi, prima riservati ai turisti. Se ci pensiamo bene Raúl si è limitato a togliere odiosi divieti che in nessun paese civile sarebbero pensabili. I problemi veri dei cubani non sono stati affrontati: libertà di movimento, di parola, di iniziativa economica, potere d’acquisto al denaro, case di abitazione decenti, democrazia… La politica cubana viene dettata ancora da Fidel Castro che pubblica Riflessioni settimanali sul giornale di partito Granma, unico quotidiano nazionale.
Cuba nei suoi racconti (Cuba, Il vero volto di Cuba ecc.), nelle immagini diffuse dalle diverse fonti di informazione, nei messaggi della blogosfera appare come un luogo senza tempo, sembra essersi fermata alla “Revolución” o meglio alle sue conseguenze, tutto è cristallizzato, c’è secondo lei qualcosa che sta cambiando?
Cuba è ferma nel tempo e subisce le conseguenze di una Rivoluzione permanente che non accenna a finire. La vera rivoluzione viene da Internet dove si sta muovendo qualcosa e dai giovani che sono stufi di tacere e sopportare, perché la rivoluzione è movimento, voglia di cambiare, non immobilismo perenne.
...in che modo, concretamente?
Il cambiamento sono i giovani che – per la prima volta dopo tanti anni – parlano, protestano, scrivono blog, sfilano per le strade, scrivono persino lettere a Granma e a Juventud Rebelde per chiedere cambiamenti. Certo, il movimento di protesta è ancora limitato a pochi intellettuali e a politici indipendenti di ispirazione cattolica come Oswaldo Payá. Ma qualcosa si muove.
Generación Y rientra in questo cambiamento?
Certo. Generación Y è la voce di una ragazza cubana poco più che trentenne che ha saputo aggregare altri giovani e meno giovani blogger che stanno facendo un ottimo lavoro di descrizione dei problemi e della vita quotidiana. Yoani Sánchez, Claudia Cadelo, Laritza Diversent, Orlando Luís Pardo Lazo, Lia Villares e molti altri raccontano la Cuba che vivono e perforano il muro di omertà della stampa nazionale. Certo, sono come formiche che tentano di abbattere un palazzo, anche perché i loro blog non si possono leggere all’interno di Cuba, ma certe espressioni critiche cominciano a minare dalle fondamenta una struttura in crisi.
Cosa rappresentano la Rete e il blog a Cuba?
Uno spazio di libertà, il solo possibile in una realtà dove l’informazione è riservata a due giornali (Granma e Juventud Rebelde) e a due reti televisiva (Cubavision e Tele Rebelde) monocordi e di regime. Basta assistere a una trasmissione politica come la “Mesa Redonda” serale per rendersi conto di come il pluralismo non sia minimamente preso in considerazione da una realtà dittatoriale.
Perché è così importante diffondere il blog?
Perché è importante che all’estero si conosca il vero volto di Cuba. Il regime e oscuri fiancheggiatori travestiti da giornalisti e da scrittori hanno sempre tentato di nascondere la realtà diffondendo la menzogna del buon dittatore e di un paese dove è stata realizzata la giustizia sociale. Non è assolutamente vero. A Cuba ci sono le classi sociali come nel peggior capitalismo e il sistema economico non è né socialista né comunista, ma è un capitalismo di Stato mascherato.
Allacciandomi ad una recente intervista realizzata da Ernesto Morales a Yoani Sánchez e suo marito pubblicata on line su TellusFolio vorrei sapere la sua opinione in merito al fatto che il blog ha creato a Cuba una realtà alternativa rispetto a quella descritta da alcuni scrittori che narrano o hanno narrato la vita quotidiana come Josè Martì, Alejo Carpentier, Josè Lezama Lima, Alexis Diaz Pimenta ecc., quale sarà l’influenza nella realtà di ciò che oggi i blogger fanno a Cuba?
Tra gli scrittori che hai citato ci sono enormi differenze. José Martí è un idealista ottocentesco alla Withman, l’apostolo della patria, uno scrittore che ha lottato per l’indipendenza e che è morto in battaglia, come stile simile al nostro De Amicis. Alejo Carpentier ha descritto meglio di ogni altro la sua Avana come città delle colonne ed è un narratore raffinato, ma nel solco della Rivoluzione, come Nicolas Guillén, fedele alle idee castriste fino alla morte. Non ha assistito allo sfacelo del periodo speciale, ma ha contribuito - con la sua connivenza - a far precipitare Cuba nella crisi attuale. José Lezama Lima è uno spirito libero, un uomo critico (il capitolo ottavo di Paradiso fu censurato da Castro perché parlava di omosessualità) che ha avuto problemi con il regime come Virgilio Piñera e soprattutto come Heberto Padilla, autore dell’emblematico Fuori dal Gioco – da me tradotto e diffuso gratis su Internet sul sito www.infol.it/lupi – che costò un processo al suo autore e un obbligo di autocritica pubblica. Alexis Diaz Pimienta è un poeta repentista, voce critica fuori dal coro, come lo è il narratore Pedro Juan Gutierrez, ma pure Leonardo Padura Fuentes e Alejandro Torreguitart Ruiz. Gli intellettuali sono importanti anche quando vengono letti poco, perché raccolgono le istanze presenti nella società, le fanno proprie e cercano di trasformale in poesia o narrativa. Non è facile dire fino a qual punto siano loro a influenzare la realtà o viceversa.
Pensa che l’attività della blogosfera possa rappresentare il ruolo moderno della poesia?
No, vedo più la blogosfera come una narrazione di stampo giornalistico, anche se autori come Yoani Sánchez sono dotati di grande talento letterario, forse sprecato per un blog. Orlando Luís Pardo – per esempio – è un ottimo fotografo che scrive racconti e poesie, ma è una sua scelta, perché altri si limitano a raccontare la realtà e a riportare fatti e opinioni.
“L’Arte è un’Arma della Rivoluzione”, diceva Castro come ricorda nell’opera Cuba, è così anche per Generación Y? Perché il tanto odio nei confronti del blog?
Sono due modi diametralmente opposti di concepire l’Arte. Per Castro l’artista deve operare nel solco rivoluzionario, perché non ha senso scrivere o pubblicare cose inutili per la Rivoluzione. Va da sé che una simile concezione presuppone un artista cortigiano, non libero di creare secondo le proprie istanze. Questa idea di artista fu prospettata agli intellettuali durante un discorso pubblico tenuto da Fidel dopo il processo a Heberto Padilla per Fuori del Gioco, per evitare che in futuro accadessero casi analoghi. L’odio nei confronti dei blog è l’odio del tiranno verso chi osa ribellarsi e pretende di poter esprimere le proprie idee senza costrizioni o servilismi.
Come è avvenuto il suo incontro con Yoani Sánchez?
Frequento Cuba da anni, ma non l’ho mai incontrata nella sua terra. Il nostro è stato un incontro virtuale, grazie a una comune amica che ci ha messi in contatto. Ho cominciato a leggerla e a tradurla per la rivista www.tellusfolio.it, fino al giorno in cui Yoani mi ha scritto per chiedermi se volevo tradurre il suo blog ufficialmente. Tutto è nato in questo modo, spontaneamente, come collaborazione volontaria. In un secondo tempo ho tradotto il suo primo libro per Rizzoli e l’ho inserita come collaboratrice de La Stampa di Torino che ancora oggi pubblica il suo blog - da me tradotto - sul sito www.lastampa.it/generaciony e spesso nella versione cartacea del quotidiano. Il mio cruccio maggiore è che da cinque anni non posso più entrare a Cuba, vista la grande democrazia che regna in quel paese, così come lei non può uscire. Siamo costretti a sentirci per telefono, via sms, twitter e per e-mail.
Cosa pensa di Yoani Sánchez e di ciò che fa?
Tutto il bene possibile. Credo in lei ciecamente e so che il suo unico obiettivo è realizzare una Cuba pluralista e democratica. Non credo alle menzogne di chi ne parla come di una mercenaria al soldo dell’imperialismo. Yoani non fa politica nel senso stretto del termine. Lei è una scrittrice che lavora con le parole e che nella Cuba del futuro vorrebbe ritagliarsi un ruolo giornalistico, come pungolo di un governo democratico. Non ha ambizioni politiche, ma lavora per costruire un tavolo dove tutte le componenti della Cuba attuale possano ritrovarsi e dialogare per risolvere i problemi.
Cosa rappresenta oggi Yoani Sánchez a Cuba e ormai nel mondo, perché secondo lei riscuote più attenzione all’estero mentre a Cuba è quasi sconosciuta? Perché la rivista Time l’ha nominata fra i cento personaggi più influenti al mondo?
A Cuba Yoani Sánchez non è molto conosciuta per i motivi che ho cercato di esporre: manca la libertà di espressione del pensiero, Internet si può consultare solo negli alberghi e negli uffici statali, inoltre certi siti alternativi sono oscurati. Per questo Yoani è più conosciuta all’estero che nella sua terra. Time l’ha nominata tra i cento personaggi più influenti del mondo perché il suo blog è tradotto in molte lingue, è frequentatissimo e viene pubblicato da riviste e quotidiani importanti (in Italia da La Stampa). Non solo: ha vinto premi importanti come l’Ortega y Gasset per la categoria giornalismo telematico. I cubani della diaspora – che sono diversi milioni – vedono in Yoani un elemento importante per aggregare le diverse anime della dissidenza, tradizionalmente litigiose e incoerenti. I cubani non sono un popolo facile…
Pensa che la figura di Yoani Sánchez possa venire in qualche modo strumentalizzata al di fuori di Cuba?
Tutto è possibile. La destra italiana ha sempre strumentalizzato Cuba in funzione anticomunista e antiprogressista. La sinistra italiana l’ha strumentalizzata al contrario facendola diventare un simbolo di un qualcosa che non esiste sulla pelle dei suoi abitanti. Yoani Sánchez è una ragazza intelligente e non credo che abbia nessuna voglia di farsi strumentalizzare politicamente. Ci tiene a dire che non è una dissidente, perché non fa politica e non possiede una piattaforma programmatica per una nuova Cuba. Yoani Sánchez si definisce una cittadina che parla e che racconta la propria esperienza di vita quotidiana.
Francesca Desogus