La mia vita non è stata particolarmente lunga, ho solo 37 anni, tuttavia sono già stata una figlia, una madre, una guida, una sopravvissuta di guerra e tre volte una rifugiata.
Come donna afgana, guardandomi indietro, posso dire che molto è cambiato per il mio paese, eppure, vedo anche che per le donne afgane più le cose cambiano più restano le stesse. Nuovi leader e nuovi governi vanno e vengono in Afghanistan, sventolando uno stendardo che di volta in volta taglia o espande i diritti delle donne.
Io sono cresciuta in un Afghanistan che era diverso da quello che vedete oggi in televisione. Mia madre era una donna istruita, divenne medico ed insegnante all'Università, ma io sono stata costretta a lasciare la scuola di medicina al terzo anno, quando i Mujahidin presero il potere.
Se mia figlia si ammala, nell'Afghanistan di oggi, deve star seduta dietro ad un paravento mentre un dottore maschio le fa domande sulla sua salute, perché gli è proibito toccare il suo corpo.
Mia figlia può andare a scuola, perché delle scuole per le ragazze sono state approntate durante la ricostruzione, ma non può essere sicura che qualche estremista non sparga acido o gas sul suo impegno. Io ho speranze differenti per mia figlia e per tutti i bambini di questo paese.
So che le madri ovunque condividono le stesse speranze e gli stessi sogni: avere i mezzi per prendersi cura di se stesse e delle loro famiglie, vivere con dignità e rispetto per se stesse, e lasciare questo mondo avendone fatto qualcosa di meglio di quel che avevano trovato. Il mio lavoro quotidiano è tradurre questo sogno in realtà per le madri afgane.
Come donna afgana so bene che le nostre voci non sono adeguatamente rappresentate. Siamo assenti dalle scuole, assenti dal settore economico, e minacciate quando osiamo presentarci alle elezioni o parlare liberamente.
Nel mio ruolo attuale di direttrice per l'Afghanistan di “Women for Women International”, lavoro su programmi che hanno aiutato, dal 2002, più di 80.000 donne fornendo loro assistenza finanziaria diretta, educazione ai diritti, istruzione professionale e microcredito. Le donne hanno un altissimo potenziale per quanto riguarda la ricostruzione delle famiglie e delle comunità: pure, per questo mio impegno ad aprire opportunità per le mie sorelle afgane, ho ricevuto una lettera in cui mi si avvisava che se avessi continuato a lavorare nel mio paese ciò avrebbe segnato la condanna a morte di mio figlio, che ha sei anni.
Da un anno sono in esilio per questo motivo, una delle fortunate che ha potuto scappare e che sogna di dare un futuro migliore al proprio marito e ai propri figli.
Uno dei pochi piaceri che ho in questa situazione è mettere il cibo in tavola per la mia famiglia, poterlo fare semplicemente, senza preoccupazioni, senza continuare a pensare se domani potremo mangiare oppure no. Non è la stessa cosa a casa, dove la scarsità di cibo affama e minaccia di morte circa sette milioni di afgani.
Spero che tutti noi si possa riflettere insieme su quanto lavoro resta da fare per assicurare alle donne in tutto il mondo le stesse opportunità di accedere al cibo, all'istruzione, all'impiego, e soprattutto alla liberta' di godere della piu' grande benedizione della vita: i nostri bambini.
Sweeta Noori
Traduzione di Maria G. Di Rienzo
(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 5 giugno 2010)
Sweeta Noori (foto) è nata nel 1973 a Kabul ed è direttrice per l'Afghanistan di “Women for Women International”.