Alla fine è toccato al centravanti del Cavaliere, Marco Borriello, “finalizzare” – come direbbero i cronisti sportivi – lo sputtanamento di Saviano, accusandolo di avere usato la camorra per dare un’idea troppo cattiva di Napoli e troppo buona di sé. Dalle sue parole, che secondo il Giornale del Cavaliere esprimono, nella malizia un po’ sfrontata, una verità autentica, non bisognerebbe però discutere guardando a Saviano, ma proprio a Borriello, non ad un ragazzo che rinnega la camorra, ma ad un orfano di camorra, che sfotte il “rinnegato” e riabilita la guapperia ribalda della strada napoletana.
Il padre di Borriello è stato ucciso dalla camorra. Saviano rischia di essere ucciso dalla camorra. Eppure il calciatore si rivolta contro lo scrittore, trova più insopportabile la sua denuncia del suo destino, più il libro-scandalo che dà un’immagine così cattiva e parziale di Napoli, dello scandalo quotidiano di una vita imprigionata dalla condanna a morte di Gomorra.
Tra l’icona Saviano e l’icona Borriello, tra l’immagine dell’uno e quella dell’altro, si gioca una parte della questione meridionale. Se vogliamo, è una questione di egemonia culturale, tra il “politicamente corretto” del libro Gomorra e del suo invito alla disobbedienza e quello assai più persuasivo, anche sul piano civile, della realtà Gomorra, che non obbliga all’affiliazione, ma esige rispetto.
Nel Sud dove il bicchiere della legalità è sempre mezzo pieno e mezzo vuoto, c’è posto per tutti, per la camorra e per la non-camorra, ma non per un’esibizionistica opposizione all’ordine criminale, come quella che anche i napoletani “per bene” rimproverano a Saviano. Borriello ha dato voce a questa riluttanza, a questa idea che l’equilibrio necessario nelle cose del sud e di Napoli stia da qualche parte “tra” il bene e il male, anche dove il male non ha l’inafferrabilità metafisica del concetto, ma l’evidenza fisica della violenza.
Negli scorsi giorni, Saviano è stato anche attaccato da sinistra, dal sociologo Alessandro Dal Lago e dal jazzista Daniele Sepe. Ma è un attacco che non conta niente, che non toglie e non aggiunge nulla al rapporto complicato e – diciamolo – “perdente” di Saviano con Napoli e con la Campania. Quello che dicono, scrivono e cantano Dal Lago e Sepe – che parlano di Saviano come Orlando parlava di Falcone – è una “questione interna” alla cultura comunista, ai suoi furori suicidi, al suo cannibalismo ideologico e al suo scarso senso della misura e del ridicolo. Fino agli esiti comici cui sono giunti Dal Lago e Sepe denunciando il “berlusconismo” di Saviano, a libro paga della Mondadori, appena dopo che Berlusconi aveva attaccato il suo autore con argomenti molti simili a quelli del suo centravanti.
Borriello, per quello che è, che fa, che rappresenta e che dice, è molto più importante di Del Lago e Sepe e fa davvero “cultura”. Ha successo, talento, soldi, donne, sa vivere e lascia vivere. È purtroppo perfetto per dire le cose sbagliate e per apparire, agli occhi dei napoletani, più convincente del suo coetaneo “sfigato”, che parlava nelle piazze di Casal di Principe contro la camorra e adesso vive in esilio, nascosto nelle caserme dei carabinieri.
Carmelo Palma
(da Libertiamo.it, 3 giugno 2010)