Con brevi scritture lo studioso di Vittorio Veneto propone il suo primo viaggio nell'archeologia linguistica. Il richiamo a Tellus non può che ingenerare in noi della rivista e del portale una sorta di benefica assonanza. Idealmente questo è il primo capitolo del libro che Carlo Forin scriverà su Tellusfolio. (cds)
Saturnia tellus
Salve, magna parens frugum, Saturnia tellus,
magna virum: tibi res antiquae laudis et artem
ingredior sanctos ausus recludere fontis
Ascraeumque cano Romana per oppida carmen. (Virgilio, Georgiche, libro II, vv. 173-176)
“Salve, grande genitrice di messi, terra Saturnia,
grande madre di eroi: per te incedo fra antichi
fasti di gloria e d’arte, osando dischiudere le sacre fonti; [nostro il neretto]
e canto il carme di Ascra per le città romane.”
A parer mio questo è il più bel saluto all’Italia -terra saturnia per Virgilio-.
Può esser stato alzato da un Romano?
I legionari romani combattevano nel nome di Giove, dio sovrano del pantheon di Roma. Ed il pantheon venne composto razziando gli dèi delle città vinte, per catturarne il potere. Solo con Ottaviano Augusto comincia l’era di tolleranza romana estesa sulle terre vinte.
Per questo motivo il cantore osa dischiudere le sacre fonti. Ci vuole del coraggio, ed un coraggio non da poco, per salutare la nostra terra così a quel tempo.
Amore per la propria terra e genialità letteraria così grande da eludere il controllo sui sottomessi da parte di chi non risparmiava i superbi deve aver spinto l’audace a dischiudere le sacre fonti etrusche.
«Canto il carme di Ascra per le città romane» significa “canto il carme etrusco per le città romane” dal momento che anche Esiodo deve esser stato uno dei Pelasgi, ‘cicogne’, popolo migratore.
Questo inno all’Italia è il cuore delle Georgiche, che può venir considerato un manuale per la coltivazione della terra da consegnare ai legionari romani alla fine della ferma militare.
Comincia così, con questo inno? Nooo. Audace sì, ma non folle! Il taglio della testa sarebbe stata la punizione più nobile per un superbo che sfidi i legionari con un saluto così poco patriottico per i Romani.
Come comincia, invece?
Quid faciat laetas segetes
Che cosa faccia liete le terre seminative, in latino.
Quale dio (QU DI) faccia liete le terre seminative,
in probabile etrusco ‘quale dio’ faccia liete le terre da semina, chiede la risposta latina Sator, il Seminatore, e Saturno era adorato come dio della semina.
687 versi prima di salutare il proprio dio in modo esplicito, gli hanno assicurato fama tra i vincitori, fama che ha continuato in tutte le generazioni che hanno popolato la nostra Madre Terra e l’hanno letto (Domenico Comparetti, Virgilio nel Medioevo, Livorno, Fr. Vigo, 1872 racconta che l’inizio dello studio scolastico di Virgilio avvenne quando lui era ancora in vita).
Come finiscono le Georgiche?
Illo Vergilium me tempore dulcis alebat
Parthenope studiis florentem ignobilis oti,
carmina qui lusi pastorum audax iuventa,
Tityre, te patulae cecini sub tegmine fagi.
In quel tempo me Virgilio nutriva la dolce
Partenope, sereno fra opere di un’oscura quiete:
io che rappresentavo la poesia dei pastori, e, audace di giovinezza, [nostro il neretto]
te cantai, o Titiro, all’ombra di un ampio faggio.
Com’erano cominciate le Bucoliche?
Melibeus si rivolge all’amico:
Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi
Titiro, tu riposando all’ombra di un ampio faggio,
studi su un esile flauto una canzone silvestre;
noi lasciamo le terre della patria e i dolci campi,
fuggiamo la patria.
Ero audace di giovinezza allora, a trent’anni, quando dichiaravo, pur sotto il nome di Melibeo (nome sacerdotale dal significato ‘vado assaggiando il ME’, il nome divino che dà nome a tutti i nomi), che dovevo andarmene lasciando le terre di famiglia ad un soldato romano.
Il cittadino romano non era soggetto ad esproprio. Un mantovano etrusco, sì.
Mecenate è il principe etrusco (Moecenas tu pranzi col ME) cui Virgilio si rivolge. Un principe noto alla storia come etrusco. La tolleranza di Augusto cominciava a reclutare gente non romana nelle fila dell’apparato imperiale.
Il nostro viaggio nell’archeologia linguistica comincia col saluto etrusco alla nostra terra: che dischiuda le sacre fonti della protostoria! ed inviti il lettore a discutere, ad esempio, sul perché ci siano voluti tanti anni a riconoscerlo.
P.S. - Traduzione corretta del finale delle Georgiche
Chi scrive è un sociologo, non un latinista. Nelle nostre analisi linguistiche cerchiamo di riferire le traduzioni dei latinisti, fatta eccezione per le parole palesemente errate (es.: segetes dell’incipit delle Georgiche, come vedremo nel prossimo articolo ‘Dio sovrano’).
Un caro amico, Paolo Peruch, insegnante di lettere (autore di Fierùn e la bèla dei sete veli), conosciuto il nostro punto di vista su Virgilio –sacerdote etrusco- ci ha proposto di cambiare la traduzione del finale delle Georgiche che abbiamo esposto nell’articolo Saturnia tellus:
In quel tempo me Virgilio nutriva la dolce
Partenope, sereno fra opere di un’oscura quiete:
io che rappresentavo la poesia dei pastori, e, audace di giovinezza, [nostro il neretto]
te cantai, o Titiro, all’ombra di un ampio faggio.
Con:
In quel tempo me Virgilio nutriva la dolce
Partenope, serenamente dedito alle opere di una vita appartata:
io, che nella mia audacia giovanile, iniziai per gioco canti pastorali,
te cantai, o Titiro, all'ombra di un ampio faggio.
La adottiamo e la facciamo nostra con entusiasmo: “nella mia audacia giovanile” è più appropriato per audax juventa e fa risaltare meglio la protesta. “Audace di giovinezza” enuncia solo una caratteristica del giovane.
Vedremo in seguito che uno dei nomi sumeri di Saturno è SAG US, ‘inizio fine’.
L’inizio e la fine delle opere di Virgilio sono composti con una cura particolare, in devozione a SAG US.
Carlo Forin