La proposta di iniziare la scuola il primo ottobre arriva dalla stessa parte politica del nostro ministro alla P.I., la stessa che ha voluto la maestra unica. Sembrerebbe quindi, da parte degli esponenti del PDL, un ritorno agli anni ’60, un ritorno che ignora i cambi della società. Società nella quale entrambi i genitori lavorano, i nonni non sono più quelli di una volta tanto sono impegnati a coltivare il tempo libero e nelle città non esiste più la rete parentale-amicale di adulti fidati che si prendono cura dei figli altrui.
Da quanto si legge sui giornali sembra che ormai i genitori siano divisi in due fazioni: da una parte quelli che, per il benessere psico-fisico dei loro figli, desiderano la maestra unica, tanti giorni di vacanza liberi dai compiti, uscita anticipata alle 15:30 per il corso di tennis; dall’altra invece genitori che desiderano le scuole aperte 24 ore su 24 e i giorni di vacanza esattamente uguali al loro monte ferie.
Le maestre – perché è la scuola primaria la principale imputata di questo problema – cosa ne pensano? Ci sono quelle che credono sia giusto andare a scuola solo al mattino perché al pomeriggio i bambini sono stanchi e quelle che vogliono il mantenimento del tempo pieno perché altrimenti è impossibile svolgere i corposi programmi ministeriali infarciti di progetti come prevede l’autonomia scolastica e tutto ciò che la famiglia-lavoratrice demanda alla scuola (corretta alimentazione, igiene dentale, educazione stradale, all’affettività, alla sicurezza e prevenzioni varie – tabagismo, alcolismo, droghe). Insomma, non se ne esce!
Ma a tutto ciò ora si aggiunge la mannaia dei sacrifici richiesti dal nostro premier per paura di finire sul lastrico come i cugini greci. E mi chiedo se sia una novità togliere soldi agli statali (quelli da 1.300 euro al mese) e agli enti locali che spesso aiutano economicamente le scuole e le famiglie sostituendosi allo Stato.
“Facciamo finta che” – come dicono i bambini – e immaginiamo di adattare le nostre vacanze scolastiche a quelle francesi e tedesche (siamo in Europa, no? La società è cambiata, no?): meno giorni d’estate e più stacchi durante l’anno; oppure iniziamo le lezioni al primo ottobre per incentivare il turismo prolungando le lezioni alla fine di giugno con posticipo della maturità come una volta. In entrambi i casi bisogna “coprire” le vacanze scolastiche che comunque MAI saranno uguali al piano ferie dei genitori. Allora si diventa flessibili come accaduto in una scuola milanese e chiamiamo in soccorso baldi ventenni creativi ed energetici delle cooperative per tenere a bada i marmocchi in periodo pre-elettorale-pasquale. Ottimo. Ma con 10 euro al giorno da richiedere alle famiglie!
Soluzione numero due. Facciamo fare qualche settimana in più alle maestre su base volontaria a giugno o a settembre con lo stesso stipendio e tramutiamole, dopo 9 mesi di scuola-trincea, in balde ventenni. Bene. Ma allora bisognerebbe rivedere tutta la contrattazione sindacale e considerare i docenti diversi dagli altri statali. E sarebbe ora. Siamo magnanimi: diamo dei soldi in più alle maestre che liberamente avranno deciso di lavorare a luglio. Magnifico. Soldi? E quali? I fondi d’istituto che arrivano da Roma ormai sono buoni per gli ossari, figuriamoci per pagare in più le docenti, sempre che se lo meritino, ci mancherebbe.
Poi “Facciamo finta che…” il ministro Gelmini non bari più e che davanti alle richieste di tempo pieno dei genitori accampati in tenda per protesta, mantenga gli organici a 40 ore e non a 27: il tempo pieno però necessita di risorse e di progetti per avere una valida valenza educativa-didattica e non solo sociale. Fare teatro, ad esempio, è bellissimo: educa, mette in gioco i ragazzi e ai genitori, avvezzi ai talent-show, piace da morire vedere il proprio figlio sul palco e pazienza se si sacrificano le ore di italiano e matematica. Si chiama lo specialista esterno perché le maestre non hanno studiato al Piccolo Teatro: la cifra richiesta è onerosa. Ma siamo mat-ti? E chi paga? Il Comune che però si lamenta. Giustamente anche. I genitori, mettendo via la cinepresa, dicono che è uno scandalo e magari desiderano che le maestre per far risparmiare la scuola vadano a imparare a “cantare, ballare e recitare pure”. Forse sarebbero anche disposti ad auto-tassarsi pur di vedere “il sangue del loro sangue” su un palcoscenico. Bene. Ma chi pagherebbe il corso d’aggiornamento alle maestre aspiranti Duse che devono dare ore al di fuori del loro orario?
Siamo sempre lì: le maestre, avendo la vocazione, devono fare tutto gratis, più o meno e, quando va peggio, vedersi decurtare lo stipendio per motivi di malattia certificata o non godere di piccoli, ma legittimi scatti di anzianità dopo anni di pre-ruolo economicamente riconosciuto sempre più tardi; i genitori sono arrivati a considerare i propri figli “bambini” o “piccoli adulti” in base alle loro esigenze lavorative e ai piani ferie; i dirigenti scolastici, convertiti a manager aziendali e sottoposti a severi controlli, potendo accettare donazioni da privati tra cui anche quelle di genitori e finanziamenti dagli enti locali, diventano scattanti nel soddisfare qualsiasi richiesta dell’utenza o del comune, richieste che talvolta sviliscono la professionalità e l’intelligenza dei docenti innescando possibili conflitti; gli enti locali tra un po’ elimineranno i piani di diritto allo studio causa la richiesta di “sacrifici” e aboliranno la refezione perché sempre più famiglie non potranno permettersi la retta e lasciare a pane e acqua i bambini non è bello.
Sarà forse la Regione Lombardia, e magari anche Piemonte e Veneto, a rimettere in sesto la questione spingendo per la devolution scolastica? Ma non è lo stesso Formigoni che con la famosa dote scuola incentiva le famiglie a iscrivere i ragazzi nelle scuole private? Forse, perché lasciare volutamente la scuola pubblica “a pane&acqua” ha un suo perché.
Simona Borgatti