Ho trascorso questi giorni compilando i documenti per andare in Germania, sono stata invitata a partecipare a un incontro di blogger provenienti da tutto il mondo. Ho avuto il dubbio se scrivere o meno un post nel blog prima di terminare tutte le scartoffie. Alla fine i miei amici mi hanno convinto e oggi - dopo quasi un mese e mezzo - pubblico questo articolo e mi sembra di fare una doccia fredda mentre fuori ci sono quaranta gradi.
Scrivere del mio soggiorno nel Nono Girone, che sarebbe - già i lettori lo immagineranno - lo sporco e oscuro Ufficio Immigrazione e Rapporti con l’Estero del comune di Plaza, è un sollievo inimmaginabile. Giustamente in questo posto sgradevole - il cui nome esclude la mia presenza, visto che non sono straniera né sto facendo documenti per immigrare - ho passato otto ore della mia bellissima vita, facendo la fila per essere interrogata sul mio viaggio, sulla mia famiglia, mio marito, i miei studi e il sistema - addirittura - che utilizzo per collegarmi a internet…
Può risultare esagerato il numero di ore, per questo racconterò dettagliatamente i fatti, dalle otto e trenta della mattina in cui i miei piedi hanno oltrepassato l’entrata della vecchia casa numero 17 tra J e K, alle quattro del pomeriggio, quando alla fine sono uscita con mal di testa, necessità di andare al bagno, fame, sete, sonno, infelicità e una voglia terribile di mandare tutti a quel paese e andare a dormire per un mese.
Signori, vi giuro che trascorrere un giorno a chiedere un permesso per uscire dal Paese fa passare a chiunque la voglia di viaggiare.
Vi racconto dall’inizio: quando il sole ancora non splendeva sull’edificio, sono arrivata alla porta posteriore dell’Ufficio Immigrazione - avevo già superato, non senza problemi, la settimana prima la porta anteriore, quella in cui si “fa richiesta” per il passaporto… e visto che andiamo di richiesta in richiesta, sono riuscita a consegnare la mia carta d’identità all’ultimo momento, e ho saputo in quell’istante che la fila aveva avuto inizio niente meno che alle quattro del mattino. Per fortuna, mi aspettava una divina sorpresa: una vecchia amica che si trovava giusto davanti a me mi ha detto che anche lei stava “richiedendo”, così abbiamo passato il tempo insieme.
Prima delle nove e mezza tutti i nostri documenti erano già stati consegnati: passaporto, carta d’identità, lettera d’invito e la tassa - sarebbe meglio dire la Supertassa - di 150 CUC (pagati in anticipo, con o senza permesso di uscita e rimborsati in caso di non consegna del permesso). Vista la mancanza di qualsiasi cartello eccetto quello della A-H1N1 - e un dipinto dei Cinque Eroi che farebbe vomitare Edward Munch - a molti di quelli che sono arrivati mancavano dei documenti, o non sapevano che dopo le nove non era più possibile consegnare documenti, o non avevano i soldi per la supertassa (una poverina aveva la ricevuta ma non la tassa, la banca misteriosamente non gliela aveva consegnata). I più deprimenti erano gli anziani, con il bastone in una mano e i documenti nell’altra, confusi, sopraffatti dalla burocrazia e dal caos di persone che andavano da una parte all’altra.
Alle 11 ho scoperto che il bagno era inagibile – lo hanno rotto – sottolineò una delle persone vestite di verde. Alle 12 i dipendenti dell’ufficio sono andati a pranzo fino all’una e mezza, ma una signora ha continuato a lavorare e dunque ho deciso di restare anch’io, per la maledetta sensazione di “mi chiamano e io non ci sono”. Alle due del pomeriggio c’era così tanto sole che ho smesso di sventolarmi con il ventaglio per mettermelo davanti agli occhi. Alle due e mezza stavo quasi per farmi la pipì addosso e ho deciso di uscire per cercare un bagno. Alle 3 una signora diabetica mi ha detto: “non posso continuare senza bere acqua”. Alle tre e mezza una ragazza che aveva preso il biglietto alle quattro del mattino ha avuto una crisi isterica e se n’è andata, per fortuna è ritornata poco dopo. Erano quasi le quattro quando mi hanno chiamato.
Un militare molto giovane che portava una collana, orecchini, un anello d’oro e unghie finte di un metro e mezzo ha cominciato a fare mille volte le stesse domande sui miei studi e ha scritto nel mio fascicolo “FreCuentò una scuola per insegnare a scuola”. Dopo si è ossessionato con la dicitura “Amicizia in internet”.
– Ho molti amici in rete.
– Come ti colleghi a internet?
– Principalmente negli alberghi.
– Quali alberghi?
– Soprattutto il Cohíba e il Parque Central.
– Questa informazione sarà verificata, se stai nascondendo qualcosa ti sarà negato il permesso di uscita.
Ho sorriso. In che modo possono sapere se mi collego dall’albergo o se ho degli amici in rete? Non mi hanno mai chiesto la tessera per comprare le ore di connessione e, riguardo la mia corrispondenza privata, a meno che non entrino nella mia posta personale, non vedo altra forma di come possano verificare.
Dopo ha cominciato a indagare su mia madre, mio padre, mio marito e per un istante ho avuto il sospetto che anche i miei cani Anastasia e Wicho sarebbero usciti fuori nelle sue domande.
Per finire ha sentenziato:
– Vieni fra venti giorni e vediamo se ti danno il permesso.
– Signorina, fra venti giorni il mio permesso sarà già scaduto.
– Le informazioni che ci hai dato devono essere verificate, aspetta qua.
Se n’è andato e poi è ritornato:
– Vieni venerdì e vediamo se è pronto.
Quando sono uscita ho visto quelle facce che durante tutto il giorno andavano stancandosi sempre più, avrei voluto fermarmi e dire a ognuno di loro: “addio e buona fortuna”, ma ero distrutta. Non ho guardato neanche la ragazza delle quattro del mattino, mi vergognavo che mi avessero chiamato prima di lei. Alcune gocce sono cadute all’improvviso, goccioloni grossi ma troppo pochi. La mia amica mi ha detto:
– Perché ci sei stata così tanto tempo là dentro?
– Non lo so, grazie per avermi aspettata, andiamo – e l’ho presa a braccetto per andare senza chiedere permesso sotto la pioggia.
Venerdì 7 Maggio
Dopo un paio di ore sono venuta a sapere che sarei dovuta tornare il mercoledì seguente. Sarà una coincidenza che il mercoledì è proprio il giorno in cui devo prendere l’aereo?
Mercoledì 12 Maggio
All’una e mezza sono arrivata all’immigrazione, piena come sempre di gente. Quando erano quasi le due mi hanno chiamata - la verità è che stavolta non potevo lamentarmi. Tuttavia, la voce che mi ha chiamata veniva da tutt’altro lato rispetto alla porta dove prima avevamo consegnato i nostri documenti.
C’è stata un po’ di tensione nella coda quando si è udito: “Claudia Cadelo”, ma visto che non avevo idea di quale fosse la porta in cui dovevo entrare ho chiesto:
– Dove devo andare?
Qualcuno mi ha detto:
– Domanda a questa porta che è quella da cui ti hanno chiamata.
Mi sono avvicinata e un militare si è lamentato:
– Perché entra se non ha bussato?
– Ma se mi avete chiamata…
– Ah! Tu devi andare dall’altro lato.
Vado dall’altro lato e un uomo mi domanda:
– Sei tu la blogger?
– Sì – ho risposto con un sorriso e con i nervi in tensione, perché chiaramente l’aria si era fatta “elettrica”.
– Per favore, venga di qua. Potrebbe chiudere la porta quando entra? Grazie. Lei non può viaggiare, per il momento.
Sono uscita e ho percepito la solidarietà di tutti quelli che aspettavano di essere “convocati”, il ragazzo che mi aveva chiesto se ero io la blogger mi disse:
– Vivo in Spagna, leggo il tuo blog, non ti abbattere, fa che questo non ti tolga le forze.
– Non me le toglierà, grazie.
Claudia Cadelo
23 maggio 2010
Traduzione di Barbara La Torre
barbara71282@gmail.com