Il cosiddetto “ddl intercettazioni” – che era, in teoria, partito dall’esigenza di regolamentare in maniera più stringente le intercettazioni disposte dall’autorità giudiziaria e il loro utilizzo da parte della stampa – si è gonfiato in modo abnorme fino a comprendere materie che con le intercettazioni non c’entrano punto, ma coinvolgono pesantemente e in modo tutt’altro che “neutrale” l’esercizio di diritti fondamentali, non solo connessi alla professione giornalistica, sbrigativamente sacrificati in nome della “privacy”.
Se il problema era impedire la pubblicazione di intercettazioni puramente “private” e non rilevanti ai fini del diritto di cronaca, non si capisce perché si sia giunti a negare la “notiziabilità” delle inchieste giudiziarie fino al termine dell’udienza preliminare e all’ampliamento di fatto del segreto istruttorio, oltre i termini per cui esso è previsto, a salvaguardia dei diritti dell’indagato. È vero che la spettacolarizzazione della giustizia e il suo sdoppiamento mediatico (con i processi replicati in tv, mentre si celebrano nelle aule dei tribunali) droga l’informazione e corrompe la giustizia, consolidando l’idea che la verità giudiziaria sia la “stessa cosa” di quella storica e giornalistica. Ma la risposta non può essere quella di commissariare l’informazione e di zittire la cronaca giudiziaria per impedire i “processi mediatici”.
Non è solo questione di misura, ma proprio di logica. Una cosa è volere impedire che, tra i plastici di Porta a Porta o nei docu-fiction del “giornalismo antagonista”, i portavoce dell’accusa e della difesa o gli avatar mediatici degli imputati e dei testimoni “recitino” in Tv i processi da Corte d’Assise. Altra cosa – tutt’altra cosa – è vietare la diffusione delle notizie sugli insperati regali ricevuti da un Ministro famoso o quelle sulla morte “accidentale” di un detenuto qualsiasi (uno come Cucchi, per dire). Tra le due cose non c’è nessuna relazione logica e politicamente difendibile.
Il legislatore si è fatto un po’ frettolosamente prendere la mano. Anche nel prevedere che, di fronte a violazioni del segreto istruttorio, l’illegale diffusione delle notizie renda illegali le notizie stesse, con il risultato prevedibile di incentivarne la circolazione illegale, il riciclaggio e l’uso ricattatorio. Insomma, su questo dossier, malgrado le troppe decisioni “definitive”, c’è ancora molto da riflettere. E c’è ancora tempo e modo – mi pare – per fare gli opportuni passi avanti e i necessari passi indietro.
Carmelo Palma
(da libertiamo.it, 21 maggio 2010)