Giuseppe Gozzini fu il primo cattolico a rifiutare il servizio militare negli anni Sessanta quando protestare civilmente contro la guerra e le armi significava finire nel carcere di Forte Boccea, a Firenze, subire processi e sostenere l’esecrazione non soltanto di chi pensava solo agli armamenti, ma anche di cristiani bellicosi o impauriti da propagande ed eserciti ai confini del paese.
Questo del «primo cattolico» mi è rimasto come un marchio, mi diceva; ma per tutti coloro che hanno seguito, sia pure attraverso i giornali, il suo esempio, il marchio è stato importante, indimenticabile: gli italiani coscienti del valore di quella testimonianza lo tengono caro come una medaglia. Ne nacque un caso: avendolo difeso, furono processati per apologia di reato anche don Milani e padre Balducci: una stagione memorabile per i vivaci scontri tra cattolici nel dibattito sulla libertà, tanto lontana dalla palude di oggi.
Gozzini, 73 anni, se ne è andato nella fredda giornata milanese del 13 maggio, dopo anni di sofferenze. La sua ultima uscita pubblica con i «movimenti» era stata per l’aeroporto Dal Molin. Poi il letto, l’ospedale, la fine: «Se ne è andato sereno», hanno detto la moglie e le due figlie; e l’hanno detto con un sorriso, davanti alla modesta bara di legno chiaro coperta solo dalla bandiera della pace ai funerali nella chiesa di San Simpliciano.
Non altre insegne, non un fiore, un grido, una persona famosa, un politico. La piccola folla, di giovani che avevano capito il suo esempio, di vecchi che l’avevano conosciuto fin da ragazzo, forse anche di persone che con la religione avevano avuto sempre poco a che fare, è entrata seria, ma amichevole, oso pensare con una grande gioia e pace dentro di sé. Almeno, da come tutti si salutavano, e da ciò che qualcuno aveva detto parlando dall’altare, io ho pensato così. Molti il giorno dopo sono andati alla marcia Perugia-Assisi.
Durante la messa, il vecchio don Germano, suo amico anche negli anni più difficili, ha detto due parole e poi si è commosso e ha di botto lasciato la balaustra. Moltissimi si sono accostati all’eucaristia per ricordare questo «ragazzo» (negli anni non era cambiato: la pulizia interiore gli impediva di invecchiare) che veniva definito cattolico-marxista ed era amico degli anarchici. Non era stato solo il primo obiettore cattolico, era stato anche il primo che, contro le versioni dei media, aveva pubblicamente difeso l’immagine dell’anarchico Pino Pinelli, precipitato da una finestra della Questura, dopo la strage del dicembre 1969 in piazza Fontana. Aveva il coraggio cristiano.
Gozzini era nato alle porte di Milano, aveva frequentato l’oratorio e l’Azione cattolica; era uno che si poneva domande, studiava con passione e amava ascoltare. Era, insomma, un’anima critica, una figura del dissenso, per sua e nostra fortuna. Laureatosi in giurisprudenza, ha lavorato come pubblicista, ha scritto per riviste (i Quaderni rossi) di forte impegno politico e sociale, rivelando una cultura e una acutezza di pensiero che, per forza di cose, catturavano chi entrava in contatto con lui. Durante il ’68 si è attivato nella controinformazione (ha scritto un libro Il ‘68, ed. Asterios, pieno di dati e osservazioni). Nel 1991, dopo la prima guerra del Golfo ha contribuito a fondare la rivista Guerre e pace. Da vent’anni aveva bandito la tv dalla sua vita.
Ci eravamo conosciuti nella libreria della Corsia dei Servi, dove erano di casa padre Camillo De Piaz, padre Turoldo e poi figure come Mazzolari, Balducci, don Zeno e altri come loro: lui alla fine dell’università, io giovane giornalista. Credevamo in Mazzolari e in Milani. Erano tempi di grandi speranze, da noi vissuti accanto a maestri tanto liberi quanto scomodi per tutte le autorità: come uomini di pace e di dialogo, infatti, erano cacciati da tutte le parti. Il Vangelo della messa celebrata per l’uomo di pace Giuseppe Gozzini è quello della Resurrezione e conclude: «Rendiamo grazie a Dio. Alleluia».
Mario Pancera
(dal blog lineaindipendente, 18 maggio 2010)