Francesca Boari
Aldro
Cobo Editore, 2009, pagg. 144, € 16,00
Federico Aldrovandi, 18 anni, muore la notte del 25 settembre 2005 nel corso di un intervento operato dalle forze di polizia, nell’immediata periferia della città.
L’autrice che completerà il romanzo a lui dedicato prima della condanna degli agenti, partirà dalla cronaca per ricostruire il dolore e la dignità della famiglia con una sua originale mediazione culturale tra evento e narrazione. Diventerà così “faber” di una parola che nella crudezza dolcemente –partecipe alla storia, sublima “il fatto” suggerendo un’elaborazione del dolore.
«A Federico, ovunque tu sia, questo libro è per te»
Il testo è testimonianza e parola, rielaborazione e conforto, ricordo e sfacelo, tempo dell’oggi e forza e coraggio di una famiglia che non si è arresa fino a sfondare quel muro di omertà e silenzi che Ferrara aveva annebbiato con un lenzuolo fittizio che copriva un corpo sfigurato. La copertina titola in rosso il nome Aldro su uno sfondo che configura un anonimo selciato di periferia dove l’orrore si consuma e si rapprende. Le lettere del nome riportano Federico all’identità, alla dignità, alla memoria della città, alle parole del libro dedicato a lui e a tutti i giovani e a quanti vivono con loro, seguono la loro crescita e altro non possono essere se non compagni di percorso.
La scrittura ha il grande dono di fermare un’immagine, un fatto, un misfatto e attenuare la rabbia, il rancore, proporre un dialogo, un confronto e una possibile elaborazione del dolore e del lutto. E altro ancora; può essere riletto rimandando al cuore come un tempo che se in realtà dilava è compagno dell’avventura della vita.
«ho voglia di smontare impalcature di paglia»
Queste parole segnano il coro a più voci che l’autrice analizza con una segreta prosa poetica che appartiene ad un costante monologo interiore dove cronaca, pensieri, stralci di diari dell’anima animano il testo e sottolineano con grafie diverse la cronaca, la convergenza d’intenti fra l’avvocato e i genitori, le parole di Patrizia al figlio, quelle di Federico che spesso strozzate dal cuore, dominano il testo e diventano paradigma di una spaesamento giovanile.
Mi guardo sempre da chi dice “ai miei tempi”, sospetto di chi giudica e si ritiene immune da sbandamenti, allontano chi sostiene “a me non capiterà mai, mio figlio mi dice tutto” e l’autrice, nella poesia che scorre nel testo è proprio entrata dentro il “debole - mai” per guardare con gli occhi di una madre e di un’insegnante l’età breve della “segretezza”. È periodo difficile a cui spesso il silenzio e il non-detto accompagnano la ricerca di un’autonomia complessa, necessaria e dolorosa, da condividere con qualche amico, ma soprattutto con se stessi, scavarne gli abissi e le solitudini, avvertimenti di “altro”, subirne la colpa e la necessità insieme. Tra rientri e paure tornare ed andare come se… come se niente stesse succedendo alla vita che cambia e ai sogni ormai fuori dai cassetti e disordinati nella mente. Spesso la dimensione del vuoto si assorbe con musica che stordisce, con un bicchiere di troppo, con rancore malcelato verso tutti e tutto, anche verso se stessi.
Momento di attesa di un’alba in cui il nostro guerriero non ha visto la luce ma l’ha fatta rivivere in chi ha lottato, cercato, ricostruito, voluto conoscere in un tempo che ha abbattuto bugie e fatto emergere l’amore.
Quello che non ha timore di lottare per la verità e la ricerca della dignità, quello che non condanna e non giudica ma coinvolge persino l’avvocato della famiglia Aldrovandi entrando dentro ad una sua personale ricerca di vita nel rapporto preoccupato ed assorto con la figlia, nella forza che avverte in Patrizia, nel silenzio del padre e del fratello.
Resta alta la voce, nonostante gli spaccati di una vita della famiglia Aldrovandi che riportano pranzi dove sempre si riordina in silenzio, dove lacrime scorrono sulle guance di Stefano che aspetta la mamma in sala davanti alla televisione, dove la sua voglia di parlare si fissa davanti al video insieme alle parole di Federico: «fregatene se non mi lavo le mani/ le mani sporche saranno altre non le mie, mamma… mi piace anche questo tavolaccio… Mi piacete voi perché siete tutta la mia vita passata, oggi, non domani, lo so… da domani resterà sulla terra solo una linea abitata da un’ombra… se uno, uno solo avrà il coraggio di sollevare quel velo, allora ci sarà ancora un inizio.. la verità, purtroppo, è che c’è molto più senso in ciò che fuggiamo rispetto a ciò verso cui corriamo disperati».
Il “condividere tanta sofferenza con sincera partecipazione senza pena o compassione” viene così a significare l’essenza delle parole di Francesca Boari e sarà premessa a qualsiasi altro nostro/vostro incontro. Soltanto con la vostra giovinezza potremo dialogare per salvarci da una maturità e vecchiaia immobili e giudiziali e a voi giovani chiediamo di dare voce ad “un assordante silenzio”.
Patrizia Garofalo