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Gordiano Lupi. “Shadow” di Federico Zampaglione 
L’horror italiano e il suo nuovo Dario Argento
16 Maggio 2010
 

Federico Zampaglione (1968) non è soltanto un regista, ma la sua attività principale è quella di cantautore, fondatore - nel 1989 - della nota band dei Tiromancino. Ricordiamo la colonna sonora de Le fate ignoranti di Ferzan Ozpetek. Il connubio tra musica e immagini è sempre stato importante per Zampaglione, che ha curato in prima persona regia e sceneggiatura del videoclip Un tempo piccolo, vincendo il primo premio Cinecittà e Cinefestival di Ravello come “Miglior videoclip italiano”. Il debutto cinematografico avviene con Nero bifamiliare (2007), una commedia nera interpretata da Claudia Gerini, sua compagna nella vita, e presentata al Chinese Theatre a Los Angeles. «Nero bifamiliare è una dark comedy che tradisce una sincera passione per il thriller, ma non ha la forza di prendere il genere per le palle» (Manlio Gomarasca - Nocturno Cinema).

Il suo secondo film è Shadow (2009), un horror inquietante presentato all’estero come The Shadow che molti critici definiscono il primo vero horror italiano di gusto europeo, interpretato da un cast internazionale e girato in inglese. Gli interpreti sono Jake Muxworthy, Karina Testa, Ottaviano Blitch, Chris Coppola e Nuot Arquint. Arquint è il cattivo e indossa una maschera inquietante, mentre la storia ruota attorno al topos della foresta maledetta. Shadow è un horror inquietante che omaggia John Borman, Lamberto Bava e anche il Soavi di Deliria, ma soprattutto molto cinema di genere italiano. Prima di uscire in Italia è stato presentato al Fright Fest di Londra e a Sitges in Spagna.

Shadow è uscito il 14 maggio nelle sale italiane preceduto da messaggi pubblicitari come “Dario Argento ha un erede” e “Con Shadow è rinato l’horror italiano”. Una volta tanto non si tratta di considerazioni ingannevoli. Shadow è un film violento, cupo, claustrofobico, angoscioso, ma possiede anche una fotografia stupenda (a cura di Marco Bassano) e un’ambientazione in un casolare sperduto tra i boschi secolari di Tarvisio che da tempo non vedevamo nel cinema italiano. Un set fantastico e isolato dal resto del mondo, dove nascono orrori che sembrano provenire da antiche leggende e invece sono prodotti dalla psiche del protagonista. Il montaggio di Eric Strand non concede tempi morti e momenti di pausa perché il film scorre rapido e con una velocità molto americana. Citiamo come esempio una sequenza da manuale che filma un inseguimento nel bosco tra il furgone dei cattivi e le biciclette dei ragazzi. Il finale è inatteso e giustifica la spirale di violenza nella quale lo spettatore è precipitato, perché il male viscerale è un tragico incubo prodotto dalla guerra e dai suoi orrori. Altro elemento positivo del film è la recitazione, aspetto insolito per un horror italiano dove gli attori lasciano quasi sempre a desiderare. Jake Muxworthy è ottimo nei panni del protagonista, un reduce dall’Iraq che decide di vagare in bicicletta per i boschi alpini, ma anche Karina Testa è convincente come ragazza innamorata. Ottaviano Blitch - al massimo della forma nel promettente In the market di Lombardi - e Chris Coppola - nipote del regista - sono due ottimi cattivi che da persecutori diventano perseguitati. Nuot Arquint è un sadico perfetto, non dice una parola, esprime rabbia, stupore, orrore, voglia di far male e di torturare grazie a truci espressioni del volto. Zampaglione afferma a proposito degli attori: «Muxworthy è un’anima pura, dalla grande sensibilità umana. Blitch è l’eccesso, una specie di mina inesplosa, viscerale. Coppola rappresenta perfettamente una certa americanità. Karina Testa è l’umanità, la cura. Arquint è la faccia del film, il Male stesso, fuori dagli schemi». Arquint è un cattivo così cupo e inquietante da restare a lungo nell’immaginario dello spettatore, erano anni che il cinema non ci presentava un protagonista negativo così originale. Pare che dal suo personaggio nascerà una linea di fumetti. Zampaglione dice che tra i suoi maestri ci sono Argento, Fulci e Bava. Non possiamo dire il contrario, anche perché in alcune sequenze abbiamo notato citazioni esplicite. Basti pensare alla parte in cui la figura del mostruoso e sadico killer si staglia improvvisamente alle spalle del protagonista. Ci sono subito venuti a mente Anthony Franciosa e Giuliano Gemma nel fantastico finale di Tenebre. In alcune sequenze abbiamo notato anche citazioni da opere statunitensi come Non aprite quella porta e Un tranquillo weekend di paura, ma anche dei più recenti Hostel e Saw. Il sottogenere torture - che va così di moda - è in primo piano per buona parte del film e ci regala sequenze estreme che vengono mostrate senza dovizia di particolari. Il piatto forte è la tensione che regna sovrana, non tanto i momenti truculenti e splatter a base di amputazioni di palpebre e di corpi umani lasciati a friggere sotto scariche elettriche. Alla fine tutto si traduce in una condanna della guerra che unisce in un tragico destino civili inermi e soldati mandati al macello. Dario Argento avrebbe voluto produrre il film, ma non si sono trovati i finanziamenti. Massimo Ferrero ha preso il suo posto e ha prodotto la pellicola senza alcuna censura nelle parti più estreme. Zampaglione afferma di essersi ispirato alle torture di Mengele e dei campi di concentramento nazisti per tutte le scene ambientate nel laboratorio degli orrori. Ha visionato filmati e foto del periodo nazista e ha preso ispirazione per operazioni, torture e sequenze atroci. La leggenda produttiva racconta che tutto è nato da una gita in bicicletta nel bosco insieme a Claudia Gerini (compagna del regista), con l’attrice che si ferma per fare pipì e scompare, mentre Zampaglione muore di paura. Da qui prende le mosse l’idea di un film originale che pare rinvigorire le sorti dell’horror italiano, che torna a un passato glorioso di genere truce e senza mezzi termini. Adesso Zampaglione pensa di nuovo alla musica e ai Tiro mancino, anche se una delle cose memorabili del film è la colonna sonora, interamente scritta dal regista. Lo spettatore smaliziato noterà l’omaggio ai Goblin e alla storica colonna sonora di Profondo rosso.

 

Gordiano Lupi


 
 
 
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