Quando andai a Portorico, mi misi a piangere. L’emozione di vedere un’isola così tanto simile, nella sua geografia, alla mia terra natale era incontenibile. Lì le famiglie si riunivano nei ristoranti, passeggiavano in barca, si spostavano nelle altre isole o si godevano la bellezza dei Caraibi con un viaggio in nave. Si respirava libertà, al contrario di Cuba, e tutto questo mi provocava un’angoscia inconsolabile.
Sono cresciuto a Cuba, studiando che Portorico era una colonia oppressa dagli Stati Uniti, dunque mi sono sentito un idiota quando finalmente ho avuto la possibilità di vedere con i miei occhi una Portorico differente. Era un miscuglio di gioie a sofferenza. Sentivo gioia perché mi faceva piacere vedere i portoricani godere dei piaceri elementari, ma la tristezza invadeva costantemente la mia anima, non solo per il fatto di aver vissuto ingannato, ma perché la mia gente a Cuba non poteva nemmeno sognare di vivere in questa maniera.
Una volta, una delle tante in cui visitai la piccola isola, domandai a un portoricano come si sentiva, nel significato profondo della parola. Lui mi rispose: “Yamil, mai ho sentito la mancanza di libertà nel mio Paese; posso parlare senza paura di quello che voglio; vado dove voglio e nessuno mi dice niente; posso prendere un aereo anche adesso per andare a Chicago, Canada, Sudamerica o Europa e nessuno me lo proibisce; i cubani non hanno libertà a Cuba; loro non possono trattare affari mentre persone di altri Pesi li fanno sotto i loro occhi; i cubani che vivono nell’isola più grande delle Antille non possono uscire senza il permesso del Governo, non possono parlare liberamente. Tutto questo si chiama OPPRESSIONE”.
Rimasi in silenzio tutto il tempo. Mentre parlava il mio pensiero si spostava a Cuba. Sapere che non aveva torto e immaginare che la maggior parte dei miei familiari o dei miei amici non poteva godere di queste libertà mi faceva davvero male. Compresi da allora, che esistevano due isole molto simili, il cui canto però non era uguale. Portorico, la terra del Cochì, mi ha fatto conoscere due tipi di uccello: quello che canta libero ed è capace di intonare ogni melodia godendo della propria libertà, e l’altro, che canta dalla sua gabbia sognando di poter volare. Quest’ultimo può sopravvivere nella sua gabbia, solo se viene rinchiuso quando ancora pulcino, se non fosse così morirebbe e non riuscirebbe a cantare. Ma se un giorno riuscisse a uscire dalla gabbia, canterebbe molto di più e molto meglio. Cosi siamo noi cubani, come uccelli in gabbia. Portorico la porto nel cuore ma Cuba di più, questa bellissima isola caraibica è la terra dove sono nato e dove sogno che un giorno gli uccelli cubani possano cantare senza restrizioni come tutti gli esseri umani.
Yamil Domínguez
(da Injusticia notoria, 3 maggio 2010)
Traduzione di Barbara La Torre
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