Il Codice etico e il Protocollo tecnico per la gestione degli alpeggi costituiscono un insieme di principi il cui rispetto può consentire la continuità dell'attività di alpeggio a favore della zootecnia alpina sostenibile, delle comunità locali, dei consumatori, dei tanti frequentatori della montagna
Il Codice etico dell'alpeggio e il Protocollo tecnico proposti da AmAMont rispettivamente ai caricatori d'alpe e ai proprietari/enti gestori degli alpeggi/istituzioni competenti sono stati approvati dall'assemblea dell'associazione italo-svizzera lo scorso 17 aprile a Breno (Bs). Frutto di una discussione lunga e meditata all'interno del Comitato scientifico dell'associazione che ha coinvolto anche i soci sono ora sottoposti all'attenzione di tutti gli interessati.
Perché un Codice etico dell'alpeggio
L'idea del Codice nasce sin dai primordi della costituzione di AmAMont, nel 2007. Deriva dalla considerazione che - sulla carta - esistono già un insieme di prescrizioni contenute nei capitolati d'affitto o parte delle buone pratiche agronomiche (al cui rispetto dovrebbero essere condizionata l'erogazione dei contributi pubblici). Ma sono poco rispettate e in parte superate e poco rispettate.
I controlli di tipo amministrativo e burocratico sono scarsamente efficaci. Spesso si riducono alla verifica via satellite delle superfici per le quali sono stati richiesti i contributi mentre i minuziosi controlli che un tempo esercitavano il Corpo Forestale e le Guardie campestri dei comuni rappresentano un lontano ricordo.
Molto spesso gli enti proprietari degli alpeggi non dispongono di competenze e personale adeguati a questi compiti ed è spesso venuto meno anche l'interesse per le stesse proprietà d'alpeggio.
D'altra parte il mancato rispetto delle buone pratiche di un tempo è spesso legato a situazioni oggettive che prescindono dalla buona volontà dei caricatori e un approccio puramente amministrativo, sanzionatorio, non sortirebbe alcun risultato se non quello di scoraggiare ulteriormente gli alpeggiatori.
Il Codice pertanto non consiste in una serie di prescrizioni tecniche minuziose ma nell'adesione volontaria ad una serie di principi tra loro coerenti. Si tratta di un impegno d'onore sottoscritto liberamente da coloro che conducono gli alpeggi e si riconoscono essi stessi nei principi contenuti nel Codice.
Alla base dell'impegno vi è il riconoscimento che l'alpeggio rappresenta un bene prezioso frutto del sacrificio delle generazioni passate che deve essere conservato a favore di quelle future. Viene a questo proposito richiamata la formula molto efficace elaborata dalle comunità contadine del Sud America: “la terra non ci è data in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri figli”. I 7 punti dell'impegno riguardano gli animali (la scelta dei tipi idonei: specie, razze), il governo del pascolo, l'integrazione alimentare, il rispetto dei valori naturalistici e la 'convivenza' con la fauna selvatica, le produzioni casearie. Non si indicano parametri, ma si richiama la necessità di rispettare dei principi.
Partire dall'animale giusto
Alla base di tutto vi è la necessità di tornare all'utilizzo delle razze di montagna a duplice attitudine abbandonando Frisona e Brown Swiss per sostituirle con tipi come la Rendena, la Grigia, la Pezzata Rossa, la Bruna originale. Attraverso l'incrocio o l'acquisto di capi in purezza molti lo stanno già facendo.
L'utilizzo di animali adatti può apparire un impegno difficile. Si tratta di 'tornare indietro', rinunciare alle mucche che producono 30 e più litri di latte al giorno. L'obiezione che viene solitamente avanzata è: “Le razze più da montagna vanno certo meglio in alpeggio, ma l'alpeggio dura 2½-3 mesi, negli altri la mucca deve produrre molto per poter pagare il fieno acquistato, i mangimi, i farmaci, il veterinario, l'ammortamento dei macchinari e con il prezzo del latte...”. Insistere su una zootecnia di montagna 'a misura d'alpeggio' basata su animali in grado di utilizzare al meglio i pascoli non è una idea bucolica, è la condizione per garantire un futuro agli allevamenti di montagna. Le vacche 'spinte' in alpeggio possono danneggiare il pascolo con il loro peso, non utilizzano i pascoli meno comodi e richiedono l'integrazione con mangimi. Il risultato è che il potenziale foraggero si riduce perché i pascoli meno comodi sono invasi dai cespugli, mentre quelli 'comodi' si deteriorano per l'eccesso di fertilizzazione (le vacche sostano qui a lungo e 'restituiscono' al pascolo una con le loro deiezioni una quantità di nutrienti elevata derivante dalla quota non digerita dei mangimi somministrati). Così non c'è futuro. Se si utilizzano animali adatti si recuperano superfici di pascolo, si limita la spesa per integrazione alimentare, si ottiene un latte di maggior pregio che vale la pena caseificare con le tecniche artigianali lente e attente di un tempo ottenendo prodotti di eccellenza che spuntano prezzi che ripagano le cure al pascolo, la minor produzione unitaria, le maggiori attenzioni durante la lavorazione del latte e durante la stagionatura del formaggio.
E in stalla?
Si dirà: “Va anche bene, ma poi quando si scende in stalla?”. La risposta la possono dare molti allevatori che hanno fatto la scelta di ridurre la quantità del latte prodotto optando per la caseificazione aziendale. Da questo punto di vista non è sempre indispensabile investire in un caseificio e in attrezzature; timidamente qua e là riaprono le vecchie latterie di paese che consentono a un numero limitato di aziende con varie formule di collaborazione di caseificare insieme o separatamente il latte.
Quanto al mercato la straordinaria novità di questi anni è che il rispetto di un Codice etico e l'adozione della filosofia della qualità al posto della quantità non si scontrano più con un mercato sordo e anonimo ma con consumatori in carne e ossa che entrano in contatto personale con produttori e vedono con i loro occhi come operano. E che sono disponibili a riconoscere un prezzo etico basato su quanto proposto dal produttore sulla base dei suoi costi reali. Lo fanno singolarmente, o attraverso i loro Gruppi d'acquisto entrando in schemi di collaborazione con i produttori che vanno ben al di là del semplice rapporto di compravendita. A ciò si affiancano affinatori, rivenditori specializzati, ristoratori singoli o associati che sono disponibili anch'essi a riconoscere un premium per il prodotto artigianale di qualità. Insomma oggi passare dalla quantità alla qualità non è un salto nel buio.
Se la qualità c'è e incontra un mercato non anonimo che sa riconoscerla il più è fatto. Vi è poi da considerare che una produzione ridotta significa minore dipendenza dal mercato per il fieno e minore uso di mangimi. Gli animali sono più longevi e si ammalano meno (meno costi di rimonta, per veterinari e farmaci). Con vacche a duplice attitudine si migliora la produzione di carne (che può essere valorizzata con le vendite dirette e la lavorazione aziendale). Aggiungiamo che animali più rustici consentono di anticipare e posticipare la stagione d'alpeggio utilizzando - dove le strutture sono adeguate - anche quei pascolo meno comodi collocati ad altitudini inferiori (i 'mezzi alpeggi' o 'maggenghi' di una volta). Così facendo il periodo di pascolo tornerebbe a 4-4½ mesi determinando un ulteriore risparmio di foraggio conservato.
Impegni reciproci
Al caricatore viene chiesto di sottoscrivere un impegno a rispettare buone pratiche; un impegno d'onore di cui è egli stesso il garante (solo in caso di palesi violazioni segnalate e constatate da AmAMont il caricatore verrebbe depennato dall'elenco dei sottoscrittori).
Agli impegni del Codice fanno riscontro quelli più articolato contenuto nel Protocollo tecnico rivolto ai proprietari degli alpeggi, alle istituzioni pubbliche deputate alla pianificazione del territorio e ai tecnici che a vario titolo si occupano di alpicoltura. A tutti coloro, cioè, che possono mettere il caricatore nelle condizioni di rispettare gli impegni del Codice.
Si tratta di una serie di prescrizioni più puntuali che questi soggetti possono impegnarsi a rispettare aiutando concretamente i caricatori d'alpe. Per rispettare le buone pratiche nel governo degli animali, nella cura del pascolo, nella caseificazione sono infatti necessarie strutture e infrastrutture idonee (viabilità di accesso all'alpe e interna all'alpe, acquedotti e fontane d'abbeverata, micro-centraline per la produzione di energia idroelettrica e pannelli fotovoltaici, locali di lavorazione del latte, alloggi confortevoli per le persone e ricoveri per gli animali).
Il protocollo contiene anche indicazioni per gli enti che devono stendere capitolati tipo per le affittanze o che sono chiamati a predisporre le norme tecniche per l'erogazione dei contributi all'alpeggio. Si suggerisce per esempio di applicare un valore di UBA differenziato (es. una vacca a duplice attitudine = 0,8 UBA, una Brown Swiss = 1,3 UBA), si richiama la necessità di prevedere una limitazione dell'integrazione alimentare al pascolo di modo che essa non superi il 20% della sostanza secca ingerita, di escludere la pastorizzazione del latte e l'impiego di fermenti selezionali nella caseificazione (con l'eccezione di quelli ottenuti dalla microflora autoctona garantendone la biodiversità). Tutto questo quadro di principi e indicazioni tecniche ha il significato non tanto di introdurre prescrizioni che impongano ulteriori e insostenibili impegni ai caricatori ma di predisporre le condizioni (strutture, regole, assistenza tecnica, migliore finalizzazione dei contributi) che mettano in positivo i caricatori nelle condizioni di rispettarli. Il tutto con un occhio anche a un quadro più generale. Quando, per esempio, si chiede agli alpeggiatori di mettere in atto delle soluzioni per assicurare la 'convivenza' con la fauna selvatica è evidente che, da parte delle istituzioni, ci deve essere un impegno corrispondente a controllare la pressione della fauna selvatica stessa, ad impedire che le popolazioni di cervi si espandano sino ad utilizzare una quota preponderante delle risorse foraggere, a limitare la presenza di grandi predatori qualora il suo impatto sull'attività di alpeggio divenga insostenibile. Da questo punto di vista non si può non richiamare la diversità di approccio tra la Svizzera (dove il lupo è sottoposto ad abbattimenti selettivi qualora provochi ingenti perdite zooteciche) e l'Italia dove vige una 'intoccabilità' dei grandi predatori che non ha nulla a che fare con le Direttive europee e le Convenzioni internazionali.
E ora?
Attraverso la diffusione del Codice etico e del Protocollo tecnico AmaMont si prefigge di aprire un dibattito tra tutti gli attori. AmAMont è una associazione di volontariato e per la divulgazione di queste proposte si affida sull'attenzione e l'interesse che associazioni e organizzazioni pubbliche e i media riserveranno loro.
Da parte di AmAMont vi è la massima disponibilità ad illustrare e discutere questi contributi con tutti i soggetti interessati nell'ambito di tutte le sedi e le occasioni che saranno ritenute opportune.
Michele Corti