E. Morales – Adesso definiamo questa coppia che è anche un gruppo di lavoro. Reinaldo Escobar, ho capito che lei è un giornalista laureato, e che tra gli altri media ha lavorato per il periodico Juventud Rebelde. Cosa è successo? Perché da fare il giornalista nei mezzi di comunicazione nazionali è passato allo scontro con il governo?
R. Escobar – Sì, mi sono laureato alla Scuola di giornalismo dell’Università dell’Avana nel 1971. Ho lavorato per 14 anni nella rivista Cuba Internacional, una delle riviste che si pubblicavano nei paesi socialisti per esportare un’immagine internazionale rassicurante. Credo che ricorderai quelle riviste con le quali si foderavano i libri scolastici: la Polonia, la Bulgaria… bene, questo era più o meno la rivista Cuba Internacional. Una pubblicazione che si vendeva pochissimo nel paese, ma era molto popolare in Unione Sovietica. Ho riscosso anni di salario e il mio compito era soltanto quello di addolcire la pillola. Fino a quando non mi sono stancato di farlo e ho deciso di andare a lavorare nel periodico Juventud Rebelde.
(Sono passati appena pochi minuti, ma una caratteristica significativa salta subito agli occhi: le doti di grandi conversatori di cui entrambi dispongono. Dialogano con destrezza e fluidità, spiegano idee che sembrano integre, nitide. Yoani ha una voce che forse è l’unico attributo forte della sua anatomia: non per il suo tono, che non è grave anche se solido, ma per l’enfasi che mette nelle sue parole. Reinaldo parla con ritmo agile, che ti fa pendere dalle sue labbra in attesa di ogni nuova idea.)
R. Escobar – Arrivai a Juventud Rebelde nel 1987. In piena epoca di Perestroika e Glasnost in Unione Sovietica. Mi comportai come un kamikaze: non feci come la maggior parte dei giornalisti nei centri di lavoro, interessati solo a conservare il posto, ma cercai di sperimentare se fosse possibile fare il giornalismo che mi interessava. Non ce la feci, pubblicai alcune cose delle quali sono ancora molto orgoglioso. Logicamente fui allontanato. Durai un anno e mezzo… pure troppo direi. Nel dicembre 1988, durante una riunione del periodico mi dissero: Tu non lavorerai più per noi, non puoi continuare a esercitare questa professione. Dopo l’espulsione, ho svolto vari impieghi: nella Biblioteca Nazionale, sono stato meccanico di ascensori, fino a quando smisi di lavorare per lo Stato e cominciai a guadagnare da vivere come professore di spagnolo per stranieri. Ed è stato proprio dal 1989 che ho iniziato a pubblicare articoli fuori di Cuba. Ancora non si usava il termine “giornalista indipendente”, questa è una definizione più recente, ero soltanto un freelance del giornalismo. Non ho mai fatto parte di un’associazione di giornalisti indipendenti che piano piano cominciavano a nascere. Non sono mai entrato in nessuna agenzia, nonostante abbia eccellenti rapporti con i colleghi che fondavano certe agenzie, come Raúl Rivero, mio compagno di Università, collega della rivista Cuba Internacional e grande amico personale. Tuttavia non ho mai voluto appartenere a nessuna di queste organizzazioni. Sono sempre stato un elettrone libero, fino a quando non è nata l’esperienza della rivista digitale Consenso, che ho fondato nel 2004 insieme a Yoani. Yoani era la Webmaster e io il Redattore Capo. Proprio lei mi contagiò con il virus del blogger, in maniera tale che alla fine del 2007, dopo che lei aveva cominciato, pure io presi a pubblicare il mio sito.
E. Morales – Come definiresti questa esperienza, tu che appartieni a una generazione di giornalisti che non è nata con la tecnologia, né con tutti questi nuovi sistemi di comunicazione? È stata sconcertante o stimolante?
R. Escobar – Si è trattato di una grandissima esperienza, te lo dico con grande sincerità. Scrivere per un blog è un’esperienza giornalistica del tutto diversa dal lavoro che conoscevo. Adesso rubo una frase che a Yoani piace molto: quando tieni un blog sei al tempo stesso il Direttore, il Redattore Capo, il censore, l’amministratore e il compagno sindacalista. Sei tutto. E tutto questo ti dà una libertà senza limiti. Noi possiamo dire di aver esperimentato tutto e di aver conosciuto la libertà di espressione, perché nei nostri blog scriviamo ciò che vogliamo. I limiti? Bene, soltanto ciò che non vogliamo fare. Semplicemente.
Ernesto Morales
Traduzione di Gordiano Lupi
6. Segue alla prossima puntata...