E. Morales – Quando e come nasce tutta questa storia, Yoani? Come ricordi l’istante in cui pensasti a Generación Y come l’opera per mezzo della quale avresti rotto il tuo silenzio?
Y. Sánchez – Mi sono sempre considerata una persona qualunque, persino insignificante. Mi piace paragonarmi a una formichina, perché sono molto attiva e cerco di fare tutto partendo dalle cose piccole. Chiaro che viene spontaneo chiedersi come possono verificarsi fenomeni così grandi dalle cose piccole. A mio parere è la prova che tutti i propositi, azioni e progetti importanti quando muovono i primi passi non sono mai tali, ma lo diventano con la pratica quotidiana. Ho cominciato a scrivere il mio blog nell’aprile del 2007 come un esorcismo personale. Non è un luogo comune, così lo sento e così l’ho sentito fin dal primo momento. Mi sono detta: non ne posso più, o prendo una zattera e scappo o mi dedico a scrivere le cose che vedo intorno a me e che la stampa ufficiale non menziona. Sono cose che chiamo i miei demoni e che sono caratterizzati da una componente molto intensa di frustrazione. La frustrazione che pesa sulle spalle della mia generazione. Una generazione che si è vista promettere un paese che non esiste. Una generazione che ha visto i suoi genitori prendere le distanze, gettare le maschere, abbracciare una fede anche se anni prima si dichiaravano atei. Una generazione che ha visto partire i propri amici e che ha visto crollare tutti i muri fuori dal Paese e nessuno all’interno. Tutto questo conferisce al mio blog una buona componente di scetticismo e di cinismo che si nota come sfondo al mio lavoro. Ho già visto tutto, ho 34 anni e conosco alla perfezione quel che mi circonda.
Ho cominciato Generación Y ad aprile 2007, e in agosto o settembre di quell’anno non sapevo se qualcuno mi stava leggendo oppure no. Il mio sito era lì, nell’immensità di Internet, dove ci sono decine di migliaia di spazi, e io non avevo neppure la possibilità di verificare se mi leggevano perché avevo una struttura tecnica molto rustica. Ho sempre avuto l’hobby dell’informatica (figurati che assemblai il mio primo computer nel 1994), ma quando decisi di aprire un blog non conoscevo neppure il software corretto per farlo. Allora la mia pagina era molto elementare, i lettori non potevano interagire e neppure lasciare un commento. Per questo non avevo la minima idea se il blog avesse tre milioni di lettori o soltanto due persone alla settimana. Lanciai la mia bottiglia in mare: poco importava se mi leggevano oppure no, sapevo soltanto che dovevo scrivere le cose che vedevo. Ricordo che quando parlavo con amici e parenti tutti mi consigliavano di non dedicarmi a una simile attività perché non aveva senso. Tuttavia, cominciarono a verificarsi una serie di circostanze che contribuirono a rafforzare la mia bottiglia lanciata in mare. Il fenomeno non è certo Yoani Sánchez, ma Generación Y, composto da lettori, traduttori, amici e persino da nemici.
E. Morales – Quali furono le circostanze favorevoli?
Y. Sánchez – Bene, in primo luogo fino a quel momento tutti i blogger dell’Isola che scrivevano in maniera critica, più vicini alla realtà che non agli slogan politici, lo avevano fatto usando pseudonimi. All’improvviso veniva fuori una donna di 32 anni, appartenente a una generazione che era sempre rimasta in silenzio, che aveva preferito emigrare o tacere. Pubblicava il suo volto e diceva: io mi chiamo Yoani Sánchez e la mia carta d’identità e la numero 75090424130. Questa cosa provocò sconcerto. Dissero: Come può essere? Tutti si nascondono dietro una maschera, simulando o fuggendo, e improvvisamente questa donna fragile si getta in bocca agli squali. Cominciarono le speculazioni: Yoani non esiste, è un’entità virtuale, Yoani non vive a Cuba, è un gruppo di persone o lo pseudonimo di un’altra persona… fino alla grande teoria della cospirazione.
Si verificò anche un altro elemento importante: a Cuba c’era stato un cambio al vertice. Cambio simbolico, più continuità che rottura, più feudo ereditato che paese con un nuovo presidente, ma tutto questo aveva prodotto certe aspettative nei confronti di questa isoletta che di per sé rappresenta un tema abbastanza appassionante. Cuba è un territorio dotato di un’incredibile capacità di raccontarsi: Internet amplifica tutto. In questo territorio, con l’amplificatore che avevo davanti alla bocca e con il mio piccolo e rustico sito, ma con una ben precisa identità e con l’onesta di affermare: questa sono io, sono disposta a tutto, cominciò il mio lavoro e produsse molte simpatie. Le persone cominciarono a collegarsi e a dire: questa ragazza sta raccontando cose con le quali posso essere d’accordo o meno, ma sta parlando con il cuore.
Ernesto Morales
Traduzione di Gordiano Lupi
4. Segue alla prossima puntata...