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La rivoluzione hip–hop underground 
A Cuba impazzano “Los Aldeanos”, contestano la dittatura castrista e radunano duemila persone al cinema Acapulco
30 Aprile 2010
 

Los Aldeanos, i principali esponenti dell’hip-hop underground cubano, alcuni giorni fa hanno tenuto il loro primo concerto pubblico all’Avana. Erano presenti oltre duemila giovani per applaudire l’esibizione dei due rapper critici verso il governo che amano raccontare in musica la realtà del paese. Il concerto non è stato promosso dai media nazionali che sono sotto rigido controllo statale, ma si è svolto in piena clandestinità ed è stato pubblicizzato con il metodo del passaparola. Nonostante le difficoltà i due rapper si sono esibiti nel vecchio e centrale cinema teatro Acapulco, con buona partecipazione di pubblico, anche se nelle locandine campeggiava la scritta: “Oggi, Sherlock Holmes”'.

«Esprimono la realtà, cantano le cose che ognuno di noi sente, quello che non possiamo dire apertamente. Raccontano la libertà che non abbiamo», dice Yoelvis Fonseca, un ragazzo di 27 anni.

Los Aldeanos nascono nel 2003 come gruppo composto da due rapper: Bian Rodríguez (El B) e Aldo Rodríguez (El Aldeano).

«Il loro modo di fare musica sta rompendo il muro del silenzio», afferma l’argentina Melisa Riviere, rappresentante internazionale de Los Aldeanos, che vive a Porto Rico.

A Cuba tutta l’informazione è controllata, per questo un gruppo hip-hop underground assume notevole importanza, perché si esprime con ritmi alla moda che raccontano la corruzione, la burocrazia, la vita quotidiana, le fughe, il dualismo monetario, la doppia morale, la mancanza di libertà e le restrizioni di viaggio.

Non sopporto un’altra menzogna”, “Canto per il popolo, so che prima o poi la situazione cambierà”, “Appartengo a una società timorosa che segue chi reprime e parla di falsa libertà”, “Molti sono morti o in prigione, preferiscono morire per il sogno americano che vivere l’incubo cubano”, dicono alcune canzoni.

Nonostante tutto si dichiarano autentici rivoluzionari. «Parlare della realtà cubana è il nostro modo di fare la rivoluzione», «Criticare vivendo a Miami non serve a niente ed è troppo facile, perché l’inferno è qui», sostiene il rapper che si fa chiamare El B.

«Miami e Washington non possono manipolare Los Aldeanos. Abbiamo detto chiaro che non sono controrivoluzionari», afferma la loro agente Riviere.

«Non sono né comunista, né socialista, né leninista, sono rivoluzionario», aggiunge il rapper Aldo, noto come El Aldeano.

La loro musica si può ascoltare in diciotto CD - come Censurado o Viva Cuba Libre - è registrata in studi non ufficiali, circola sul mercato clandestino e su internet. Molti pezzi sono fruibili digitando nel motore di ricerca di youtube il nome del gruppo.

Los Aldeanos non sono ufficialmente riconosciuti, molti locali e club governativi rifiutano i loro concerti, ma il colombiano Juanes ha voluto incontrarli per regalare un computer ai coraggiosi cantanti e Pablo Milanés ha cantato con loro. Il gruppo ha guadagnato alcuni premi nazionali e a volte capita che alla radio passino alcune canzoni, scelte tra le meno contestatrici.

«Mi piacciono perché cantano ciò che vive il popolo. La parola non può essere un delitto», dice Yamel González, un operaio di 26 anni, che sta per iscriversi all’università.

Un altro giovane indossa una camicetta nera, una cintura argentata e porta orecchini, è uno dei duecento che non è riuscito a entrare e non vuole identificarsi. «Sono cantanti che amo perché raccontano la realtà, denunciano che viviamo in una dittatura».

Nel concerto, sorvegliato dalla polizia per prevenire disordini, hanno cantato artisti della nuova generazione dei rapper cubani come il figlio di Silvio Rodríguez, che si fa chiamare Silvito el libre.

«Hanno portato la luce in mezzo alle tenebre. Abbiamo vissuto troppi anni di silenzio nella nostra società», ha detto il rapper Raudel Collazo.

Los Aldeanos hanno interpretato “Il rap è guerra” e “Miseria umana”, canzoni che affrontano forti temi sociali, ma non “L’arancia è andata a male”, furiosa risposta di El B al governo che per ben due volte gli ha vietato di uscire dal paese per rappresentare Cuba, prima al Festival Internazionale del rap in Venezuela (2007) e subito dopo in Messico (2008).

«Sarà che non ho dedicato i miei trionfi al Comandante in Capo». “Vorrebbe che credessi nelle riflessioni (articoli di Fidel Castro) ma solo Dio sa chi le ha fatte”, recita la canzone, che nonostante tutto, grida: “Viva la rivoluzione!”.

Neurys Marrero, il DJ, dice che durante il concerto pubblico non potevano “esagerare” e quindi si sono autocensurati. Ma aggiunge: «Persino ad alcuni dirigenti del partito comunista piacciono Los Aldeanos, anche se non lo ammetteranno mai».

Per ascoltare il loro ultimo successo - Miseria umana > Youtube.

Un altro cantante underground interessante si fa chiamare CarliC4, si è fatto conoscere prima con Vivere in dittatura e recentemente con una canzone molto forte e contestatrice in onore di Orlando Zapata Tamayo. Si possono vedere su youtube immagini forti e vere, ci sono le Dame in Bianco, c’è la madre di Zapata e nel finale ascoltiamo le sue parole che scorrono sullo schermo insieme alle note della canzone. Il mix di musica, parole e immagini non si scordano facilmente. CarliC4 è stato intervistato da Maria Laria per America TeVe Canal 41, una televisione di Miami in lingua spagnola. Per vedere e ascoltare la canzone - intitolata semplicemente “Orlado Zapata Tamayo” - basta collegarsi a questo link.

Forse la nuova rivoluzione cubana viaggia sul web, tra le frasi di Yoani Sánchez e dei blogger di Voces Cubanas, seguendo i ritmi giovanili di un hip-hop underground.

 

Gordiano Lupi


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