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Gordiano Lupi. Per difendere Yoani Sánchez 
Salim Lamrani e Gianni Minà all’attacco della blogger. Strategia mediatica contro la pressante richiesta di libertà
26 Aprile 2010
 

Yoani Sánchez è un personaggio così genuino che non avrebbe bisogno di essere difeso da un Salim Lamrani di passaggio e da un Giani Minà di ritorno, ma visto che lei non può uscire da Cuba perché il regime non lo permette e di conseguenza non può conversare con la stampa straniera, mi sento in dovere di parlare per suo conto.

Gianni Minà ha scritto a Il Fatto Quotidiano, che il 22 aprile ha pubblicato una sua lettera rancorosa nei confronti di chi sta distruggendo il suo giocattolo preferito: Cuba. Sì, perché Cuba è la terra dei suoi sogni, il luogo comandato da un buon dittatore, che adesso governa per procura e per bocca del fratello. Secondo Minà, Cuba è il luogo dove esiste una vera giustizia sociale, dove tutti sono dalla parte del regime, nessuno si lamenta e chi alza la voce per criticare è pagato dal nemico o da qualche gruppo imperialista. Gianni Minà si arroga il diritto di parlare di Cuba, perché ritiene di conoscere il tema in profondità, visto che da dieci anni dirige la rivista Latinoamerica con l’aiuto di scrittori, poeti e premi Nobel di una parte di mondo che sta cambiando pelle e che per questo in Europa è spesso raccontata con pregiudizio.

Latinoamerica sarà anche redatta con l’aiuto di Premi Nobel, ci scriveranno pure Garcia Marquez e Frei Betto - personaggi legati a doppio filo con il potere e solo per questo poco attendibili quando raccontano Cuba - ma difetta di libero scambio democratico. Infatti sia sul sito di Latinoamerica che nel blog di Gianni Minà i commenti sono disattivati, cosa che nel blog di Yoani Sánchez - versione italiana (www.lastampa.it/generaciony) e spagnola - non accade. Come per dire che la verità è unica: quella che raccontano loro. Non sono ammesse repliche, in puro stile castrista.

Giani Minà se la prende con il Corriere della Sera, lo critica per essersi accanito contro Cuba dopo la morte del detenuto Orlando Zapata in seguito ad uno sciopero della fame. Fate bene attenzione: non chiama Zapata con il suo nome, non dice che era un prigioniero politico in lotta per i diritti umani, ma lo definisce un detenuto, secondo un input governativo che vorrebbe far passare Tamayo e Fariñas come delinquenti comuni e non come persone che lottano per la libertà. Gianni Minà si meraviglia che la stampa italiana - non è solo il Corriere della Sera a chiedere diritti umani per Cuba - pretenda sanzioni e prese di posizioni sulla situazione cubana e per dare maggiore vigore alle sue argomentazioni afferma che esistono situazioni peggiori nel sud del mondo di cui nessuno si preoccupa. Verissimo, ma stiamo parlando di Cuba e per i cubani è questo il problema. Stiamo parlando di un popolo diviso, costretto a emigrare, di persone che vivono pensando alla fuga perché nella loro terra non riescono a sopravvivere e sono privati del bene più grande: la libertà. Gianni Minà non può parlare di campagna contro Cuba, perché non è in atto nessuna campagna organizzata, esistono soltanto voci libere che raccontano Cuba. Non confondiamo il regime con il popolo.

Fa meraviglia che Gianni Minà parli di grottesco, perché le sue parole sono un inno al grottesco. Se la prende con Wired, perché dedica dodici pagine a Yoani Sánchez, definita bloguera di moda dal solerte paladino della famiglia Castro, ma pure con Il Fatto Quotidiano che ha lanciato un appello in favore di Yoani. Trascura La Stampa - che dedica alla Sánchez una colonna quotidiana in Home Page e riporta le sue opinioni sull’edizione cartacea. Dimentica Internazionale che la fa parlare da un paio d’anni come illustre opinionista. Non cita i molti siti internet, né il sottoscritto che ha fatto conoscere Yoani e il suo blog Generación Y in Italia, che ha tradotto Cuba libre per Rizzoli e che è orgoglioso di rappresentare la sua voce autentica.

Gianni Minà apre il sacco delle menzogne su Yoani, che poi sono le stesse fandonie che trovate sul Granma (organo ufficiale del partito comunista), in una falsa biografia che circola nelle università cubane e nell’intervista artefatta che Salim Lamrani ha costruito a tavolino, ampliando alcuni argomenti affrontati dalla Sánchez, gonfiandoli a dismisura per provare le sue tesi, inserendo domande chilometriche che sono veri e propri atti di accusa.

Gianni Minà afferma che Yoani è stata lanciata dal gruppo Prisa, quello di El Pais, mentre l’importante quotidiano spagnolo ha premiato il suo blog con il prestigioso Ortega y Gasset, dopo un anno che esisteva e che veniva da me tradotto per la rivista telematica www.tellusfolio.it. El Pais ha preso atto dell’importanza del lavoro di Yoani, seguito da moltissimi cubani della diaspora e da commentatori internazionali, assegnando un meritato premio giornalistico. Altra affermazione di Minà: «Yoani trasmette dall’Avana aiutata da un server tedesco (di proprietà del magnate Josef Biechele) con un’ampiezza di banda 60 volte più grande di qualunque altra utilizzata a Cuba». Yoani trasmette dall’Avana a mezzo e-mail i suoi post che vengono pubblicati su internet da collaboratori spagnoli, perché lei non ha accesso al blog, non può vederlo, è una blogger cieca. Lei stessa ha spiegato la situazione in un’intervista: «Un cittadino cubano non può recarsi in un negozio e comprare un dominio web per uso privato o collettivo, e ancora meno può ubicare in un server nazionale un dominio comprato all’estero. A Cuba, ottenere un indirizzo internet è un privilegio esclusivo delle istituzioni statali: neppure progetti autorizzati, ma di carattere alternativo, possono avere accesso a una simile prelibatezza. Per questo se un cittadino aspira a diventare webmaster deve chiedere aiuto a persone che vivono in un’altra parte del mondo per costruire un sito Internet. A metà del 2006 abbiamo deciso di chiedere al nostro amico Josef Biechele di farci il favore di comprare per noi il dominio http://www.desdecuba.com. Josef è nato e cresciuto in Germania, ma è uno dei nostri migliori amici, lo conosciamo sin dagli anni Novanta, quando venne in visita all’Avana. Siamo uniti da una grande amicizia, anche se abbiamo punti di vista diversi su alcuni temi politici e ideologici. Persone in malafede hanno accusato Josef di appartenere alla CIA, ma la sola cosa certa è che in gioventù il nostro amico ha militato nel partito comunista e conserva ancora oggi buona parte delle sue idee. Josef conosceva le mie tendenze informatiche e mi aiutò subito quando mi venne l’idea di acquistare un dominio in Germania. Mise il suo nome per ubicarlo all’interno dell’impresa tedesca Strato e ci aiutò nell’investimento iniziale, che superava di poco i quaranta euro l’anno. Era una somma importante, visti i bassi salari cubani, ma avremmo avuto due anni di respiro - già pagati da lui - per mettere da parte l’importo successivo».

Credo che la risposta di Yoani sia sufficiente per spiegare tante basse insinuazioni. Minà se la prende ancora con Wired che racconta Yoani come un’improbabile modella in fuga dai cattivoni del governo, che non le danno il visto per andare a ritirare tutti i premi che le vengono assegnati in mezzo mondo da organizzazioni ostili alla Rivoluzione. Aggiunge che la povera bloguera è costretta a dare appuntamenti ai giornalisti occidentali alle dieci del mattino al Parque Central. Sono tutte cose vere, egregio Minà, fatti comprovati da Alessandro Scotti che ha vissuto per dieci giorni insieme a Yoani e che potrebbe sperimentare pure lei se avesse voglia di farlo, invece di prendere per buone le verità del regime. Yoani è stata invitata anche dalla Fiera del Libro di Torino, dalla Columbia University, da Internazionale, dalla Fiera del Libro di Pisa… sono tutti gruppi imperialisti ostili alla rivoluzione? La realtà è che a Cuba mancano i diritti civili più elementari, cose che si chiamano libertà di movimento e che per noi sono realtà quotidiana dalla fine del fascismo. Yoani viene seguita giorno e notte da membri della Sicurezza di Stato in borghese. Tutto questo può essere raccontato da qualsiasi giornalista serio che abbia avuto la buona volontà di intervistarla. Occorre fare esercizio di pazienza e darsi molto da fare per eludere la sorveglianza, che arriva al punto di oscurare il suo cellulare, di isolarla dal mondo per non farle comunicare idee e sensazioni. Salim Lamrani, invece, è riuscito a intervistare la blogger senza nessun problema. Conosciamo tutti il motivo, ma Gianni Minà finge di non sapere che il presunto professore della Sorbona è un personaggio molto vicino al regime e che una sua intervista era auspicata dalle alte sfere governative, che adesso la stanno utilizzando come arma contro Yoani in una versione riveduta e corretta. Sta facendo la stessa cosa anche il signor Minà, per difendere un regime che ama oltre il consentito, di un amore viscerale e profondo, al punto di non vedere la mancanza di libertà, il doppio sistema monetario, i prigionieri politici, il furto e la truffa come pratica quotidiana e la gente che scappa con ogni mezzo. L’elenco è soltanto esemplificativo…

Gianni Minà afferma che Salim Lamrani, ricercatore e docente all’Università Paris Descartes, l’ha incontrata tranquillamente, e per ore, nella hall dell’Hotel Plaza. Certo, l’ha incontrata e le ha parlato, ma poi ha scritto quel che faceva comodo al governo. Sapevano tutti, che sarebbe andata a finire così. Tutti meno Yoani, che ha peccato di ingenuità, commettendo un errore che dimostra ancora una volta la sua spontaneità, la lontananza dai giochi di potere e dalla politica. Yoani fa parte di una generazione che ancora spera di convincere gli altri con il ragionamento, facendo toccare con mano l’evidenza della Cuba quotidiana. Non sa che ci sono presunti giornalisti che hanno da tempo prefabbricato una realtà e lavorano solo per convincere gli altri che si tratta della migliore realtà possibile.

Nemmeno a farlo apposta Latinoamerica ha tradotto l’intervista di Salim Lamrani e la pubblicherà sul prossimo numero. Un grande esempio di pluralismo e un ottimo servizio ai lettori di una rivista che non si è mai sognata di pubblicare un articolo di Yoani, ma in compenso darà grande spazio a un’intervista artefatta. Se esiste una registrazione fatecela sentire, perché è impensabile che un vero intervistatore ponga domande lunghissime e che una ragazza brillante e preparata come Yoani risponda soltanto sì o no. Gianni Minà conosce bene Fidel Castro. Parli di lui. Io conosco bene Yoani Sánchez e so che non è la persona dipinta da un’intervista apocrifa.

Lo stile di Gianni Minà è sempre il solito e ricorda molto il Granma: dire e non dire, insinuare il dubbio che chi racconta la vera Cuba sia al soldo degli imperialisti, di sicuro pagato dalla Cia e collaboratore degli Stati Uniti. Ce n’è per tutti, basta avere un po’ di fantasia. Persino le Dame in bianco - madri e spose dei prigionieri politici - sarebbero sovvenzionate dai terroristi e un criminale come Posada Carriles viene dipinto come un attivista politico del dissenso. Per il giornalista italiano i soli innocenti sarebbero i gerarchi cubani, la gerontocrazia al potere che farebbe l’interesse del popolo, difendendolo dai nemici di Cuba. La conclusione è ovvia: “Tutta colpa dell’embargo!”. Se non ci fosse l’embargo, Cuba sarebbe un paese florido, prospero e libero. Tutti vivrebbero felici e contenti, cantando inni a Fidel e a Raúl, nel corso di adunate oceaniche in Piazza della Rivoluzione. Incredibile come si possa capovolgere la realtà. Minà parla di strategia della tensione ai danni di Cuba, ma non sa niente di come vivono i cubani, annichiliti da oltre cinquant’anni di dittatura, traditi dalle speranze di una rivoluzione voluta da tutti e nella quale il popolo aveva confidato. Nel 1959 nessuno voleva Batista come oggi tutti sono stufi della famiglia Castro e di una dittatura che impedisce di pensare con la propria testa.

Giani Minà si arroga il diritto di concedere la patente di vero dissidente, attacca la Sánchez come una dissidente costruita, mentre lei non si è mai definita dissidente, ma soltanto una cittadina che racconta la vita quotidiana e che in futuro si vede nei panni di una libera giornalista, non certo di una politica con compiti dirigenziali. Minà usa l’arma dell’odio, afferma che i presunti dissidenti sarebbero oscuri personaggi pagati dagli Stati Uniti, dimenticando che Zapata Tamayo è morto per una sciopero della fame e Gullermo Fariñas sta seguendo la stessa strada. Per Minà è incredibile che a Cuba esistano sacche di dissenso, che la gente sia stanca della dittatura, di non avere diritti, libertà economiche, di movimento, di non avere un salario sufficiente… Qualsiasi persona di media intelligenza che frequenta Cuba si stupirebbe del contrario.

La vera strategia mediatica non è contro Cuba - intesa nel senso del suo regime dittatoriale - ma è questa farsa di cui fanno parte il quotidiano Granma, la televisione cubana e i paladini europei come Gianni Minà e Salim Lamrani. Yoani Sánchez fa paura al potere perché racconta la Cuba quotidiana senza alzare la voce e senza prese di posizione politiche. Il regime rappresenta la conservazione, la ripetizione all’infinito di vecchi schemi di scontro superati dalla storia. Gli alfieri del regime vengono chiamati alla pronta riscossa per dare battaglia a una giovane blogger che rappresenta il futuro. Perché è proprio da Generación Y che può nascere la vera rivoluzione, intesa come movimento, cambiamento e conquista di nuove posizioni.

 

Gordiano Lupi


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