Sumaya Abdel Qader è nata a Perugina nel 1978. I suoi genitori sono giordano-palestinesi, lei si sente italo-giordana-palestinese. Ha scritto il romanzo Porto il velo, adoro i Queen (Sonzogno, 2008), perché è un’islamica devota e una donna molto rock. Manda le figlie a scuola dalle suore – perché sanno insegnare bene la disciplina – ed è impegnata nel sociale.
Sumaya non dimenticherà mai quando ha compiuto diciotto anni. Come tutti i figli di migrati nati in Italia, è andata in comune a presentare i documenti necessari – dalle vaccinazioni alle iscrizioni a scuola – per chiedere la cittadinanza. I figli degli stranieri possono ottenerla se sono nati in Italia e hanno mantenuto qui la residenza senza interruzioni. Devono chiederla prima di compiere diciannove anni. Sumaya ha fatto il giuramento davanti a due testimoni ed è stata dichiarata cittadina italiana.
Tutto bene, ma solo in apparenza. Il giorno dopo hanno bussato alla sua porta: “C’è stato un errore”. Dalla documentazione, risultava qualche mese d’interruzione della residenza. Il colmo era che quell’interruzione era dovuta a un cambio di residenza che non era stato registrato subito. Subaya ha perso la cittadinanza per colpa del comune. Solo dopo dodici anni di scartoffie, documenti fatti mille volti ed equivoci vari, Sumaya è riuscita a diventare cittadina italiana. La sua seconda cerimonia di giuramento si è svolta in pompa magna, alla presenza del sindaco. È venuta pure una troupe di Al Jazeera.
Igiaba Scego
(da Notizie radicali, 22 aprile 2010)