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Francesco Pullia. Partire dal verde per una svolta politica
21 Aprile 2010
 

Il fatto che l'attuale maggioranza governativa stia attraversando un momento implosivo, tra l'altro già da tempo prevedibile, non semplifica, semmai aggrava, la crisi della cosiddetta opposizione costituita da un PD inadeguato, come in parte attestano i risultati elettorali, ad affrontare e vincere la sfida posta dagli eventi.

Da un lato la volontà di smarcarsi della componente finiana, indirizzata sempre di più verso una ragionevole connotazione liberale, servirà a rinsaldare, in modo accelerato e in direzione regressiva, i rapporti tra forzisti e leghisti, dall'altro si paleserà maggiormente la fiacchezza di una controparte incapace, per mancanza di volontà, di porsi come alternativa.

 

Dal momento che non è più possibile continuare ad annaspare nel modo che ormai conosciamo né accettare di lasciarsi travolgere da dilaceranti divisioni, peraltro nient'affatto contenutistiche ma dettate dal reiterarsi di logiche correntizie, è necessario dare vita subito ad un soggetto nuovo, flessibile, pragmatico, non viziato da connotati ideologici, che si apra finalmente alla società segnando una rottura netta con il passato e soprattutto con il presente.

Al centro dell'attenzione non dev'essere tanto la costruzione di un modello, di uno schema entro cui calarsi portandosi magari dietro irrisolte contraddizioni e, ancora peggio, povertà di contenuti, ma la sostanza, vale a dire i temi, gli obiettivi da perseguire.

 

L'ultimo rapporto dell'Ipcc (Intergovernamental panel on climate change), il foro scientifico intergovernativo istituito nel 1988 dalle Nazioni Unite allo scopo di fornire valutazioni utili in materia di cambiamenti climatici, parla chiaro.

Il pianeta entro questo secolo subirà un aumento della temperatura globale tra i due e i quattro gradi che potrebbe raggiungere anche i sei gradi e mezzo. Il trenta per cento delle specie animali e vegetali si estinguerà mentre il settanta per cento dei grandi ghiacciai si ridurrà drasticamente. Entro il 2035 i ghiacciai della catena dell'Himalaya, che alimentano i grandi fiumi del continente asiatico, si scioglieranno del tutto. L'agricoltura indiana subirà un tracollo del 30 per cento. Dal 2050 in poi l'Asia sarà afflitta da carestie. Uragani e tempeste aumenteranno considerevolmente. Almeno venti milioni di saranno costrette dagli eventi climatici a spingersi a ondate verso i Paesi più ricchi nel tentativo di sfuggire alla sete e alla fame. Cina, Stati Uniti ed Europa saranno mete dei nuovi “rifugiati ambientali” provenienti da zone rese inospitali. La crescente scarsità di risorse diventerà, di conseguenza, motivo di tensioni sociali. I paesi più poveri non avranno gli strumenti per fronteggiare la situazione che si verrà a determinare e quelli più avanzati dovranno misurarsi con una crisi di gravità inaudita.

Un quadro apocalittico? No di certo. Purtroppo è fin troppo realistico e addirittura approssimato per difetto se non si porranno in tempi rapidi i necessari rimedi. Non è possibile ma doverosa un'inversione di rotta, a patto che si agisca sin da ora. Entro i prossimi decenni dovranno essere contenute le emissioni di gas serra per limitare l'aumento della temperatura intorno ai due gradi. Secondo i calcoli degli studiosi, le misure per frenare la febbre del pianeta richiederanno la destinazione dell'uno per cento l'anno del PIL mondiale.

 

Circa cinquant'anni fa, il filosofo Arne Naess coniò il termine ecosofia, successivamente sviluppato da Felix Guattari e soprattutto da Raimon Panikkar, per indicare il rovesciamento della prospettiva antropocentrica in funzione di una consapevolezza, di una presa di coscienza del nesso, del legame interdipendente che sorregge il nostro abitare nel pianeta. Il termine ecologia, secondo Guattari, è eclettico dal momento che include realtà eterogenee. Alla sua vaghezza e insufficienza si contrappone l'ecosofia che, come ha rimarcato Panikkar, esige mutamenti più profondi della percezione del nostro ruolo nell'ecosistema.

La questione ambientale, di cui a quanto pare in Italia non si vuole avvertire l'urgenza, dev'essere il punto nodale di una nuova politica ecosofica e nonviolenta che si assuma la responsabilità di offrire soluzioni praticabili in merito a cambiamenti climatici, energia, biodiversità, modelli produttivi, consumi sostenibili perseguendo altresì una svolta radicale nel rapporto con le altre specie animali, da considerare non più come esseri inferiori di cui fare scempio, sottoponendoli agli olocausti degli allevamenti intensivi, ma come viventi che capitinianamente svolgono, alla nostra stregua, una funzione imprescindibile nella compresenza.

Perché ciò avvenga, occorre prima di tutto un cambiamento di mentalità. Bisogna uscire, come giustamente ha insistito Francesca Santolini (foto) nel suo valido contributo Passione verde, edito da Marsilio, dallo schematismo ideologico che ha finito per isterilire ogni tentativo di politica verde ed acquisire una visione pragmatica e sovranazionale. Si tratta di aspetti su cui hanno non poco insistito anche intellettuali differenti tra loro Daniel Cohn Bendit, Jacques Attali, Jeremy Rifkin.

La soluzione dei problemi ambientali, come ha messo bene in evidenza la Santolini, non può essere prerogativa di ministeri di scarsa efficacia e nulla o dubbia progettualità, considerati più che altro come un momento di transito e occupazione, sia pur marginale, di potere in vista di altri dicasteri. Occorre, invece, passare dalla retorica del finto riformismo a un progetto strutturale, nella piena consapevolezza che anche in termini economici e di sviluppo conviene scommettere e investire nel verde.

E questo in un paese, come l'Italia, paurosamente in ritardo rispetto a quanto è stato fatto in altri stati europei (si pensi, ad esempio, alla Francia, alla Germania, all'Inghilterra, alla Spagna). In Francia, ad esempio, nel settore delle fonti energetiche rinnovabili sono stati previsti investimenti tali da giungere al 20 per cento, entro dieci anni, della produzione d'energia necessaria e si sta procedendo a quella rottamazione edilizia, del tipo di quella invocata da tempo dal radicale Aldo Loris Rossi, che consentirà una sensibile riduzione del rischio ambientale.

In Italia, al contrario, si vogliono imporre scelte ideologiche come quella nuclearista senza tenere conto che non solo non comporterà affatto quei vantaggi tanto decantati dal governo ma le ingenti spese di costruzione e dismissione delle centrali faranno lievitare in materia spropositata i costi destinati a ricadere sulla collettività. Per non parlare, poi, del problema, tutt'altro che risolto, dello smaltimento delle scorie e del rischio, innegabile, di incidenti e conseguenti contaminazioni. Ecco, allora, che davvero l'orizzonte ecosofico può diventare un obiettivo credibile anche e soprattutto in termini di territorialità senza gli scadimenti in modelli di partito obsoleti.

 

Francesco Pullia

(da Notizie radicali, 20 aprile 2010)

 

 

Francesca Santolini, 30 anni, romana. Diplomata al liceo “Virgilio” e laureata in giurisprudenza, si è specializzata in diritto ambientale alla Sorbona a Parigi e in politiche internazionali dell’ambiente all’Università della Tuscia. Segue con passione da diversi anni le problematiche locali e globali dell’ambiente.

Ha lavorato con il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo a Bruxelles e il suo impegno ecologista si svolge anche attraverso un rapporto di collaborazione con una delle maggiori associazioni ambientaliste in Italia: Legambiente. Si impegna nella politica e nella cultura per uno sviluppo rispettoso degli equilibri ambientali e della tradizione storica e urbanistica delle nostre città.

Attualmente lavora presso l’Assessorato all’Ambiente e Cooperazione tra i Popoli della Regione Lazio, dove si occupa di politiche energetiche, energie rinnovabili e dell’attuazione a livello locale del protocollo di Kyoto. È responsabile dell’area cooperazione dell’Assessorato della Regione Lazio.


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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