La recente crisi economica ha scosso il dominio del “pensiero unico” neoliberista, ridando spazio alle voci critiche nei confronti dell’attuale organizzazione dei rapporti economici e sociali. Vi sono diverse ipotesi che si confrontano sul terreno dell’elaborazione di una prospettiva culturale e politica volta al superamento dell’esistente. Particolarmente interessanti, a parere di chi scrive, sono da una parte le posizioni di chi continua a ricavare ispirazione dal pensiero di Marx e, dall’altra, le posizioni di critica radicale della nozione di sviluppo, che vengono oggi indicate con lo slogan della “decrescita”. È noto che fra queste due correnti non corrono buoni rapporti: i marxisti tendono a vedere la decrescita, nel migliore dei casi, come un’aspirazione soggettiva di natura socialmente ambigua, mentre i “decrescisti” vedono nel marxismo nient’altro che una versione “di sinistra” dell’idolatria dello sviluppo che oggi domina il mondo e contro cui intendono combattere. Giudicando questa contrapposizione fra marxismo e decrescita del tutto negativa, Massimo Bontempelli ed io abbiamo scritto un breve saggio (M. Badiale – M. Bontempelli, Marx e la decrescita, edizioni Asterios, Trieste 2010) nel quale vengono argomentate le seguenti tesi: 1) la decrescita ha bisogno del pensiero di Marx; 2) l’anticapitalismo che si ispira a Marx ha bisogno della decrescita; 3) solo dall’incontro fra queste due correnti di pensiero potrà nascere un anticapitalismo all’altezza dei problemi del presente.
Non è possibile ripetere qui le argomentazioni che nel testo vengono svolte in dettaglio. Si può invece cercare di chiarire subito qualche possibile fraintendimento delle nostre tesi. Innanzitutto quando si parla di “decrescita” bisogna aver chiaro che non si tratta di un qualsiasi modo di ridurre la produzione o il PIL: l’attuale crisi economica diminuisce il PIL ma non è decrescita. Per capire il senso in cui si deve intendere questa espressione non si può che rimandare ai testi di Latouche o Pallante. In secondo luogo, parlando del collegamento fra pensiero di Marx e decrescita dobbiamo operare varie distinzioni, in primo luogo fra Marx e marxismo, e in secondo luogo fra vari aspetti dello stesso pensiero di Marx. Queste distinzioni sono svolte in dettaglio nel nostro saggio. In terzo luogo, è bene precisare che non intendiamo sostenere una tesi del tipo “Marx era a favore della decrescita”: la decrescita è una risposta contemporanea a problemi contemporanei, problemi che non si ponevano ai tempi di Marx. Discutere se Marx fosse a favore o contro la decrescita è del tutto insensato, esattamente come discutere se Giulio Cesare tifasse Roma o Lazio. Quello che abbiamo argomentato nel nostro saggio è che vi sono aspetti della riflessione di Marx che sono perfettamente compatibili con la decrescita, e anzi rappresentano un forte fondamento teorico per la decrescita stessa. Ci riferiamo da una parte all’analisi marxiana del modo di produzione capitalistico come caratterizzato dall’accumulazione allargata del plusvalore, dall’altra all’analisi delle contraddizioni di tale modo di produzione radicate nella teleologia costitutiva del capitale stesso, cioè nella sua incessante autovalorizzazione. Questa autovalorizzazione si basa da un lato sulla espropriazione e l’impoverimento dei produttori, in modo da estorcere loro in misura crescente pluslavoro con la formazione in misura crescente di plusvalore, e da un altro lato sulla trasformazione di questo plusvalore in denaro attraverso la vendita delle merci che lo incorporano, tale da consentire il suo reinvestimento in un nuovo ciclo produttivo che lo valorizzi ulteriormente. In questo modo, come scrive Marx nel III libro del Capitale, risulta che «le condizioni dello sfruttamento immediato e della sua realizzazione non sono identiche: esse differiscono non solo dal punto di vista del tempo e del luogo, ma anche da quello della sostanza».
Questa fondamentale contraddizione del capitale si collega, in modi che sarebbe troppo lungo spiegare qui, alla caduta tendenziale del saggio del profitto, e genera una dinamica storica che ha portato, negli ultimi decenni, a quello che abbiamo chiamato “capitalismo assoluto”. Con questa espressione intendiamo caratterizzare la fase attuale, nella quale il rapporto sociale capitalistico si estende a tutti gli ambiti della società, anche a quelli la cui logica di funzionamento è del tutto incompatibile con esso (la scuola, per esempio). Fino a qualche decennio or sono nei paesi capitalistici i vari ambiti sociali esterni all’impresa vera e propria (come la famiglia, la scuola, l’assistenza sanitaria) erano subordinati alle esigenze del capitalismo stesso, per cui, ad esempio, la scuola doveva produrre da una parte la classe dirigente dello Stato e delle imprese, dall’altra i lavoratori subalterni. Ma questa subordinazione rappresentava un vincolo esterno: all’interno la scuola continuava a funzionare secondo la sua logica, quella dell’educazione, che è diversa da quella del profitto. La novità che è intervenuta negli ultimi decenni sta nel fatto che tutte le sfere della società sono sussunte alla logica dell’accumulazione capitalistica, per cui la scuola diventa un’azienda, gli ospedali diventano aziende, e diventa un’azienda anche lo Stato, che non è più “Repubblica italiana fondata sul lavoro”, ma appunto “azienda-Italia”. Allo stesso modo della società, l’intera natura è sussunta entro la logica del modo di produzione capitalistico, e qui sta la corretta spiegazione su base marxiana della devastazione contemporanea della natura.
Ma se la riproduzione allargata del capitale, l’accumulazione del plusvalore, è un aspetto sostanziale e ineliminabile del modo di produzione capitalistico, allora se c’è la decrescita, cioè la negazione dell’accumulazione, si mette in questione la produzione di plusvalore, quindi il capitalismo. Ciò che nel nostro saggio viene argomentato, come non è possibile fare in questa sede, è che la decrescita rappresenta la proposta di un agire politico anticapitalistico adeguato alle forme in cui oggi si manifestano le contraddizioni capitalistiche.
Marino Badiale