Sabato 17 aprile, ore 13:40: esco di casa. Nel mio paese, che si trova sulla linea verde, la metropolitana passa alle 13:53, e visto che nei mesi scorsi, per un paio di volte, mi è transitata sotto il naso con qualche -incomprensibile e ingiustificato- minuto di anticipo, meglio non rischiare. Otto minuti di camminata, un’occhiata all’amata Martesana, ed eccomi davanti alla macchinetta: sono le 13:48. Bene, penso, nell’attesa leggerò quel libro su Milano che mi sono portato dietro. Già, il poter leggere è una delle motivazione per cui, quando sono da solo, giro sempre con i mezzi. Mi piace, sedermi e immergermi nelle parole senza essere costretto a badare a semafori o automobilisti impazienti: almeno la metà dei libri che ho letto li devo agli autisti dell’Atm che da più di trent’anni, ormai, mi scarrozzano.
E anche oggi sarà così: Corrado Stajano mi racconta de “La città degli untori” (quale città? Milano, ovviamente), ed io, nell’attesa, mi beo delle sue frasi. Bello, bellissimo. I libri hanno il magico potere di fermare il tempo individuale, ma dopo un po’ mi viene il sospetto che anche quello “normale” si sia arrestato troppo. Guardo l’orologio, e in effetti sono le 14:00: il metrò sarebbe dovuto passare da sette minuti. In compenso, ne transitano due per Gessate: Abbiategrasso–Gessate 0-2, evidentemente qualcosa non va. Ma cosa è impossibile saperlo, perché l’altoparlante si limita ad annunciare che il servizio è stato potenziato per il salone del mobile e che per raggiungere la Fiera di Rho-Pero il biglietto normale non basta... Della scomparsa del mio treno, invece, nessuna notizia. Di nuovo sbircio l’orologio: 14:05, se non arriva subito, rischio di giungere in ritardo dai miei studenti. Un brivido di nervosismo mi accarezza: la prossima corsa è alle 14:13, evidentemente, ne hanno saltata una. Ma perché? E sto per salire le scale per chiedere numi al personale (il quale, secondo consuetudine, risponderà di non saperne niente salvo poi consegnarmi il relativo modulo per il reclamo), che, in fondo, eccolo comparire, il mio metrò. Le lancette indicano le 14:08: esattamente 15 minuti di ritardo e 5 di anticipo. Che logica ci sarà?
Nessuna. Del resto, difficile cercarla in un servizio che per buona parte del sabato si limita ad offrire un passaggio ogni 20 minuti. Che diventano, incredibilmente, 30 -dico, trenta!- la domenica mattina e tutti i santi giorni –sì, avete letto bene– dopo le ore 20:30. Praticamente una tradotta, che quest’anno, dopo le 22:00, ha pure funzionato –si fa per dire…– a binario unico e quindi con lentezza esasperante. Alla faccia della tanto decantata Milano europea...
Va be’, l’importante è che sia arrivata, mi dico. Certo che se avessi avuto un treno da prendere, la situazione sarebbe stata ben diversa. Ma tant’è. E allora salgo sul bel convoglio, con i monitor e le informazioni acustiche che annunciano la prossima fermata. Modernissimo, ad uso e consumo dei turisti, che quando torneranno in patria diranno quanto sono splendenti i vagoni della MM. Se invece di spendere soldi in ‘ste cose investissero sul personale mettendo più corse sarebbe molto meglio, penso, ma Stajano mi tira per la giacca e senza ulteriori sorprese giungo a Cadorna. Salgo a piedi la scala per raggiungere la linea rossa (quella mobile non va), ridiscendo, e l’indicatore mi informa che il prossimo arrivo sarà per Rho-Pero. Reprimo a stento un’imprecazione: mai che giunga quello che devo prendere, spiffero. E sedendomi, ignoro il buon Stajano. Quando mi innervosisco, infatti, mi risulta impossibile leggere, e adesso un po’ arrabbiato lo sono. Tanto più che scorrono 5’, poi 8’, e di vagoni nessuna traccia. Meno male che hanno aumentato il servizio, mi dico proprio mentre il metrò per la Fiera emerge dai sotterranei di Milano. Un altro minuto, e giunge quello per Bisceglie. Prima 8’ di pausa, ora solo uno, pure in questo caso il senso mi sfugge: ma non esistono delle tabelle da rispettare?
Mai farsi troppe domande, con l’Atm. Finalmente, alle 15 in punto, sbarco a Inganni, e con un po’ d’affanno –odio non essere puntuale: sono o no l’ultimo dei milanesi?– raggiungo la sede dell’Associazione Abc, dove devo tenere la conferenza. Porto qualche minuto di ritardo, ma i miei cari studenti (in maggior parte) ultrasessantenni mi perdonano. Ed io cerco di ripagarli con proverbi e canzoni milanesi, con letture tratte da Gianni Brera, Aldo Nove, Savinio, Primo Moroni e la sua Ca’Lusca, Cucchi, Castellaneta e il mitico Delio Tessa. Il pomeriggio, in questo modo, trascorre veloce: per chi ama questa città, parlarne è sempre un piacere.
Sorrisi, saluti, e alle 18:36, sono di nuovo sotto la metropolitana. Un altro incubo sta per cominciare, ma ovviamente non lo posso sapere. Del resto, non si sa mai! L’indicatore luminoso indica Sesto Marelli, senza però specificare i minuti di attesa. Adesso arriva, mi dico, vedrai che i ritardi di prima saranno compensati. E fiducioso apro “Ore di città” di Tessa. Tuttavia, sono troppo stanco per leggere: insegnare è bellissimo, ma faticoso assai, se lo fai con passione. E così chiudo gli occhi appoggiandomi alla parete, ma gustare un po’ di silenzio risulta impossibile per il continuo gracidare degli schermi dell’Atm. O dei costanti annunci, che non ti lasciano mai solo. Una volta non era mica così, li sentivi solo in caso di necessità: ora ti martellano senza tregua, intimandoti persino di non buttare la carta per terra: ma per chi mi hanno preso?
Intanto, la banchina si è riempita. Sono le 18:45, e un distinto signore mi chiede se il metrò è passato da molto: nulla almeno da dieci minuti, gli rispondo, e lui comincia ad imprecare contro la Fiera del mobile sostenendo che sarebbe bastato mettere una navetta fino a Pagano, e poi non è che a tutti debba fregare dei mobili… Nonostante non capisca la faccenda del collegamento-navetta, annuisco offrendogli la mia solidarietà. Anche perché i vagoni continuano a latitare. Soltanto alle 18:50, finalmente, sopraggiunge qualcosa, ma nell’altra direzione. Il tizio vicino a me, ormai, è un fiume in piena, e ci si avvicina un ragazzo dall’accento meridionale chiedendo se vogliamo il modulo per protestare (“Comunicazioni della clientela”). Ringraziandolo, lo prendo, al contrario dell’affabulatore secondo cui non serve a niente: se continuiamo tutti a fare così non cambierà mai nulla, gli risponde il giovane, e ha pienamente ragione. Anche perché tutti gli altri utenti sembrano completamente addormentati. Chi gioca con il telefonino, chi sente l’ipod, chi fissa il vuoto: abbiamo perso il diritto a protestare, penso, sembriamo lobotomizzati…
Alle 18:56, dopo 20’, appare la sospirata carrozza. Cambio a Cadorna, dove fortuna vuole che attenda solo quattro minuti, e alle 19:46 sono di ritorno al mio paese. Salendo le scale, penso che se ci fossero i controllori potrei anche rischiare la multa: di fatti, da quando ho timbrato, è passata 1 ora e 10’. E i controllori, in effetti, ci sono! Nella nostra stazione non mancano mai, e qualche mese fa è sorta persino una polemica perché hanno trattato male una signora ritenendola -ingiustamente- senza biglietto. Mi preparo a spiegare loro che ho timbrato a Inganni ma avendo l’abbonamento urbano è come se fossi salito a Cascina Gobba, però mi lasciano passare dando solo un’occhiata distratta al tesserino. Qualche passo, e sono fuori dalla metropolitana. Un po’ d’aria, finalmente. Svolto a destra, e dirigendomi verso casa un paio di riflessioni mi giungono alla coscienza: innanzitutto, la prossima volta che andrò all’Abc Inganni, sarebbe meglio prendere l’auto... In secondo luogo, se sarà questa, la città dell’Expo, Milano farà davvero una pessima figura con il mondo intero. Tutto ciò che è pubblico, da noi, volge verso lo sfacelo, e nei prossimi cinque anni dubito che le cose miglioreranno… Anzi. Sveglia, cari milanesi! Saludi.
Mauro Raimondi