Beppino Englaro, Elena Nave
Eluana
la libertà e la vita
Rizzoli, 2008, pagg. 238, € 17,00
Beppino Englaro, Adriana Pannitteri
La vita senza limiti
La morte di Eluana in uno stato di diritto
Rizzoli, 2009, pagg. 196, € 17,00
> Presentazione del libro a Vicenza il 30 aprile
con autore, editore e ass. CaRtaCaNta
[cfr. invito/locandina nell'immagine all. in calce]
«In tutto questo tempo mi sono sentito ripetere tante volta che la mia è stata una battaglia politica mascherata per l’eutanasia… La verità è che ho portato avanti le ragioni di mia figlia tentando, ove possibile, di costruire alleanze tra singoli individui di buonsenso che la pensavano come me».
È necessario per tutti coloro che hanno vissuto giorno per giorno la vicenda dolorosa che ha accompagnato Eluana, Saturna e Beppino che essa venga brevemente riassunta negli eventi che seguirono l’incidente della giovane il 18 gennaio 1992 perché l’informazione possa, nello svolgimento dei fatti coniugarsi con l’infinitezza del dolore, dell’ingiustizia e della solitudine della famiglia Englaro.
Subito dopo l’incidente Eluana entrò in coma, fu sottoposta a trazione cervicale, all’intubazione tracheale e alla ventilazione meccanica e ci volle molto tempo prima di stabilirne l’irreversibilità. Ella stessa all’interno del dialogo familiare aveva espressamente detto ai genitori e in tempi non sospetti, che non avrebbe mai voluto vivere una vita in totale dipendenza dagli altri, incosciente e impossibilitata a compiere movimenti volontari, oggetto di sopruso continuo di mani altrui (tema quest’ultimo che informerà molte volte la pagina dei due libri), sentito come continuo stupro all’intimità e alla riservatezza.
Fin dai primi contatti con i medici dell’ospedale di Lecco, Englaro fu messo al corrente di protocolli che prevedevano “manovre” di rianimazione e i medici si ritennero autorizzati alla tracheotomia per facilitare la ventilazione. A niente, sostennero, sarebbe valsa l’eventuale opposizione del padre, in quanto tali interventi erano dovuti dal medico per la salvaguardia dei parametri vitali.
Il risveglio di Eluana dal coma non modificò affatto la sua situazione che si trasformò in stato vegetativo permanente per i danni cerebrali riportati. In pratica non era più possibile l’interazione tra corteccia cerebrale, talamo e tronco. Il periodo di “osservazione clinica” come la definì il dott. Massei, in un soggetto giovane, sarebbe stato di due anni anche nel caso il paziente avesse espresso, prima del fatto, parere contrario. I presidi salva-vita furono quindi applicati coercitivamente al corpo di Eluana. Rifiutare le cure era concesso a chi fosse capace di intendere di volere non agli altri che quindi avrebbero sofferto della perdita di un diritto inalienabile. In ospedale, Eluana rimase due anni. «Fu un saccheggio dell’anima», come scrive Peppino Englaro riferendosi a sua moglie… «fu infinito e mai più si poté portar rimedio». Nel 94 la diagnosi definitiva di stato vegetativo permanente, e anche la medicina si arrese.
Eluana fu trasferita alla casa di cura di Lecco. Le tecniche salva-vita avevano in questo caso distrutto la vita. È del 95 la conoscenza con il neurologo Defanti che per 3 anni ebbe in cura Eluana e che comprese il vuoto legislativo e la questione morale-scientifica di Eluana come caso. Si instaurò tra lui e Beppino una grande comprensione intesa ad aprire la questione della libertà di cura del paziente incapace. Il titolo di tutore venne dato a Peppino Englaro per far valere le ragioni di Eluana incapace e Defanti stesso stilò lo stato vegetativo permanente post-traumatico con prognosi negativa quanto ad un recupero delle facoltà cognitive e la relazione venne accolta dal Tribunale. Nel 97 ufficialmente viene richiesta la sospensione delle cure ai medici dell’ospedale di Lecco che la rifiutarono richiamandosi al codice deontologico e alla legislazione italiana.
Rimaneva la via giuridica (escludendo a priori l’ipotesi di assolvere a tale compito privatamente). Proprio gli interventi medici avevano causato l’annientamento del soggetto-Eluana ad oggetto e forte fu la volontà di affrontare un problema che riguardava tanti, nel modo più trasparente possibile, oltre che salvare da un accanimento ingiustificato e non voluto, la figlia.
Dal rifiuto dei medici dell’ospedale di Lecco segue una serie continua e disperata di istanze rigettate dalla Corte d’Appello di Milano e di altrettanti ricorsi del padre Beppino. La lentezza della giustizia e il vuoto legislativo in materia allungano i tempi e aumentano la dolorosa cognizione del dolore, di forte solitudine e impotenza della famiglia Englaro per non poter rispettare il volere della figlia. La richiesta di sospensione delle cure ben spiegava che esse erano contrarie alla volontà di Eluana, che questo volere era sempre stato un accordo che ella stessa aveva chiesto alla famiglia,che si stava recando offesa alla sua sopravvivenza ridotta a pure funzioni fisiologiche, che si ledeva il diritto ad un incapace di scegliere, che veniva imposto alla paziente un trattamento non voluto e che il rapporto medico-paziente era una palese violazione dell’art. 3 che si applica ai capaci di intendere. I dottori Manfredi e De Fanti furono i primi firmatari della dichiarazione sullo stato vegetativo permanente di Eluana.
La disperata forza dell’amore e del rispetto della volontà della figlia, fece tentare una lettera al presidente della Repubblica Ciampi; viene riportata integralmente nel testo ed in esso è contenuta anche la risposta che in realtà mi appare non solo pilatesca ma anche poco comprensiva e molto distaccata. In seguito sarà la commissione presieduta dal ministro Sirchia a dichiarare inaccettabile la richiesta di sospensione di idratazione e alimentazione. Il ricorso, che segue da parte di Englaro all’ospedale di Lecco, chiederà l’audizione delle amiche di Eluana affinché possano dichiarare i desideri di Eluana quando era ancora capace d’intendere.
Il Collegio “rigetterà” nuovamente adducendo che le informazioni e testimonianze raccolte presentavano delle lacunosità e soprattutto non erano circostanziate al soggetto Eluana. Quelle che si voleva dimostrare fossero sue volontà erano state espresse in occasioni gravi che però non la riguardavano direttamente. Iniziarono la fiaccolata “una rosa per Eluana” a Lecco e la solidarietà dei radicali e l’associazione Luca Concioni che sostennero Englaro e costituirono un comitato per la libertà di Eluana
Si sfogliano, nelle pagine della sofferenza, parole di gratitudine, affetto, empatia e condivisione per “persone” che in quel periodo resero, con vicinanza ed azioni, testimonianza d’amicizia e di aiuto: «Nella tragedia infernale di questi anni ho avuto l’onore e l’onere di essere circondato da persone straordinarie».
La dignità nel non aver mai mostrato altro che le fotografie di Eluana di quando era giovane e piena di vita e sogni, senza ricercare pietismi che magari gli avrebbero dato maggiore consenso, insieme al non desistere mai neanche quando la solitudine era abissale, è stata e continua ad essere la cosa più grande che Englaro abbia donato alla figlia e a noi, un insegnamento forte ed indelebile per tutti coloro per cui la libertà ha ancora un senso che giustifichi il lottare, a qualsiasi costo anche sacrificando la propria vita.
La sentenza n. 21748/07, prima nella storia giuridica italiana, escluse l’ipotesi che nella sospensione della nutrizione e dell’idratazione artificiale per Eluana Englaro potesse configurarsi una forma di eutanasia ma che invece esprimeva un atteggiamento di scelta. «Di solito si dice che ci si deve sforzare a stare al passo con i tempi. Io, i tempi mi sono dovuto fermare ad aspettarli. E sono arrivati». «Saturna ed io abbiamo sentito le campane rintronarci la testa. Ci siamo scambiati sguardi lunghi minuti e sorrisi pieni di parole, sorrisi come abbracci».
L’iter era più lungo di quanto ci aspettassimo, il protocollo era complesso.
Il dolore personale e profondo creò un vero sconquasso e spaccature e scosse le fondamenta dello stato fin dalle prime dichiarazioni all’Ansa di Cossiga, con atteggiamenti violenti e poco rispettosi che già avevano fermentato fino ad esplodere in partizioni nette, politicizzate, religiose e laiche. Il lungo monologo rivolto ad un Dio impietoso nell’eventualità che egli esista, segna le ultime righe del primo libro. Un Dio che non appare di misericordia davanti ad anni e anni di coma permanente, che non lascia libero l’uomo di decidere per il proprio corpo neanche su espresse volontà ed incide queste pagine con una domanda insistente: perché negare la libertà di morire anche se la si pensa diversamente? Perché ogni propria credenza deve essere anche dell’altro, perché non vivere al mondo nelle differenza di pensiero e nel pluralismo dello stato laico? «Che poi il Dio della Croce abbia la pretesa di vedere e costringere i suoi figli allo stato vegetativo permanente, scusatemi, ma rimane una faccenda ambigua, tutta da dimostrare. Il Dio della misericordia “una divinità gelosa dei propri doni”. Bisognerebbe rifletterci».
«L’unica cosa davvero importante è non avere contro se stessi… ora sorrido quando mi si chiede come sto, mi turba sempre pensare a come siamo stati. Credo di non dover spiegare più niente a nessuno». «Ci aspettiamo che la morte di Eluana avvenga protetta e custodita nel più fragoroso dei silenzi».
Del libro che seguirà il primo penso che molti sappiano, anche chi per pura curiosa morbosità, rimase attaccato alle notizie televisive fino alla morte di Eluana e mi mancano le parole a dettagliare comportamenti che furono assordanti e miseri, osceni e vergognosi e dove, anche chi lo sosteneva non trovò la forza del silenzio, neanche io che sono qui a parlare che gli telefonai all’alba per farmi egoisticamente consolare di un dolore che non riuscivo a reggere ed ebbi parole di conforto persino per la mia voce. La vita senza limiti resta da leggere attentamente nelle profonde memorie di vita con Saturna e con Eluana (si doveva chiamare Etrusca, poi prevalsero i nomi delle nonne), bambina che forte e decisa da subito, lascia una lettera «non vi scambierei per nulla al mondo. Perché Dio quando vi ha creati ha buttato lo stampino». Dal poco che ho conosciuto di Beppino Englaro, quanto ha scritto di sé e dei due unici suoi amori è bene che resti nel silenzio delle pagine per chi vorrà leggerle, sentirle, amarle. Mi sembrerebbe di violare quel pudore dei sentimenti tanto forte in lui. Tutti dobbiamo molto a quest’uomo, un supplemento d’anima, un valore che coniuga la dignità con l’amore, il rispetto con la devozione per la figlia e il resistere all’abisso della solitudine
Penetrano lo scritto le risate, la gioia, le attese al suo ritorno dal lavoro, il rapporto di fusione completa che la ragazza aveva con la mamma. Peppino ripercorre la sua vita, legata alla durezza e silenzio della montagna da un abisso quasi per darsi la forza che serve ad allontanare dallo sguardo bottigliette d’acqua, pane alle finestre e urla e chiasso, tanto chiasso. E tanta luce. Tanta luce di riflettori e giornalisti, di foto rubategli mentre aspettava in macchina. Il tergicristallo, mi apparve allora unico soggetto misericordioso nel carezzare lacrime e pioggia sul suo volto. Oggi l’armonia con la natura abita con lui nelle montagne, nel passeggiare solo, nel guardare in alto e ammirare qualche volta “una stella alpina”, “la sua stella alpina”.
«…di tutto quello che sarà dopo nella mia vita non posso sapere. Ho solo una certezza: il rispetto, vera espressione per Eluana e Saturna è stata e sarà infinitamente più forte di tutto il dolore che mi porto dentro».
Patrizia Garofalo