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Una questione grande come il cielo. La crisi vista dall'altro mondo 
Un'intervista a Cai Yiping sulla sicurezza alimentare e i diritti delle donne in Cina (2009)
18 Aprile 2010
 

Come descriveresti gli sforzi della Cina in riferimento alla sicurezza alimentare?

Non riesco neanche ad enfatizzare quanto importante è la sicurezza alimentare per la Cina, un paese che ha la maggior popolazione al mondo. In cinese, c'è un vecchio detto: “Min Yi Shi Wei Tian”, che letteralmente significa “La questione del cibo è grande come il cielo”. C'è qualcosa di più vasto del cielo? Non c'è. Perciò non vi è altra istanza grande quanto quella relativa al cibo. Questo è il motivo per cui, durante la storia cinese, come produrre abbastanza cibo per nutrire la popolazione è sempre stata la questione primaria dell'agenda politica. Ha a che fare con le vite delle persone, con la stabilità dello stato, così come con la crescita economica, giacché l'agricoltura fornisce i materiali che lo sviluppo e l'industrializzazione richiedono.

Nel contesto sociale e politico cinese, vi sono due obiettivi che necessitano di essere raggiunti per avere sicurezza alimentare: l'autosufficienza per il grano, e incentivi che migliorino i guadagni delle comunità rurali. Questo nonostante i rischi e le sfide che la Cina incontra da quando si è unita alla World Trade Organisation (Wto) nel novembre 2001, con degli impegni che la legano in modo molto duro. Oggi come oggi, la maggioranza dei poveri in Cina consiste di agricoltori che vivono in campagna, in special modo donne che vivono nelle aree interne occidentali. La Cina deve modernizzare la sua campagna. Per “modernizzare” non mi sto riferendo solo al miglioramento della produttività, ma anche delle infrastrutture, di un sistema di sicurezza sociale che copra tutti, incluse le donne, le bambine ed i gruppi marginalizzati.

 

La crisi alimentare e la crisi finanziaria, in che modo hanno colpito la Cina?

Penso che queste crisi siano nuovi avvertimenti per i cinesi, su come mantenere sostenibili l'agricoltura e l'economia. Se vogliamo nutrire la Cina dobbiamo garantire un certo ammontare di terra coltivabile: 1,8 miliardi di ettari. Questa è la “linea rossa”. La Cina dovrebbe recuperare i terreni agricoli persi per l'urbanizzazione, rendendo fertile la terra abbandonata ad un ritmo di 300.000 ettari l'anno. Il problema è che l'idea di incrementare l'economia cinese viene tradotto con terreni agricoli convertiti in zone industriali. Noi abbiamo un proverbio che dice “Non importa quanto alto un albero può crescere, le foglie cadute torneranno sempre alle sue radici”. C'è un legame fra la tua terra e la tua identità.

Nel momento in cui la crisi finanziaria si è diffusa a livello mondiale, si stima che circa 20 milioni dei 130 milioni di lavoratori migranti (i contadini che sono andati nelle città a cercare lavoro) hanno perso i loro impieghi. Molti di essi non sanno più come coltivare la terra quando tornano nelle aree rurali, perché hanno lavorato in città per un periodo molto lungo. Ogni anno tu vedi migranti che tornano a casa e ci passano le vacanze. Ma dopo il capodanno cinese tornano di nuovo in città a cercare un impiego. A causa delle crisi di cui sopra si devono confrontare con due domande: come riuscire a trovare un lavoro in città? e: cosa faranno se decidono di tornare definitivamente al villaggio?

 

La crisi fornisce opportunità per la Cina?

Io penso ve ne sia una dovuta alla crisi alimentare. Lo sviluppo della Cina si è fino ad ora orientato verso l'esportazione. Ma la Cina non può essere per sempre manodopera a basso costo o schiavitù nei laboratori per fornire un servizio alle compagnie economiche transnazionali. Perciò, qui c'è l'opportunità di mettere in regola le industrie, di ricostruire l'economia.

Poi ci sono i lavoratori migranti di ritorno, uomini e donne che generalmente sono meglio istruiti e più consapevoli di leggi e diritti, nonché più abili nella mobilitazione sociale. Possono essere il motore del cambiamento. La crisi può rivelarsi una chance per modernizzare la campagna, democratizzare le comunità rurali e migliorare l'agricoltura.

 

Come descriveresti il ruolo delle donne cinesi rispetto alla sicurezza alimentare?

Se vai in campagna è usuale notare che le donne sono assai più numerose degli uomini. Una volta che si sposino ed abbiano bambini, sono di solito lasciate indietro a curarsi dei figli e degli anziani, e del terreno coltivabile, mentre gli uomini vanno nelle città in cerca di lavoro. Questa “femminizzazione” dell'agricoltura sta andando avanti da vent'anni. Poiché l'agricoltura non è un'industria fiorente e dagli alti profitti, la gente che lavora nei campi ha di norma a disposizione scarsa tecnologia e reddito basso. In molti modi l'agricoltura resta svalutata e le donne restano discriminate. Per cui essere una contadina è essere svalutata due volte. Le donne delle comunità rurali non solo producono, ma riproducono. Hanno cura di bambini e vecchi. Questo ed altri ruoli all'interno delle case non sono mai stati pienamente riconosciuti da chi decide in politica, dalle comunità, e neppure dalle stesse famiglie. Alle donne devono essere fornite maggiori risorse, di modo che possano destreggiarsi meglio e avere eguaglianza di benefici.

 

Quali sono le prospettive per l'accesso delle donne alla proprietà della terra?

È una questione che è diventato imperativo risolvere, perché tocca davvero tantissime donne. Il loro accesso ai diritti sulla terra viene reso insicuro dai matrimoni e dalle migrazioni. Anche se sono membri della comunità a pieno titolo, il loro diritto alla loro terra non è mai completamente riconosciuto. Ora un mucchio di terreno viene venduto ad investitori o al governo, e chi vende deve ricevere un compenso, per cui stanno girando un mucchio di soldi su questa storia. Ma non si tratta solo di un problema economico. È una questione di diritti umani, di discriminazione di genere. Per esempio, anche se una donna non è sposata, si presume che si sposerà e se ne andrà dal villaggio in cui è registrata. Per cui non ha diritti sulla terra. E se si sposa, entra nella famiglia e nella comunità del marito, dove dovrebbe avere quei diritti, e non li acquista neppure lì. Questa “eteronorma” è profondamente iscritta nella cultura, ma è rinforzata da interessi economici e politici. Si tratta di privare di diritti i gruppi marginalizzati. In effetti sono i parenti delle donne, i padri, i fratelli, che rifiutano di intitolare loro la proprietà della terra, perché i loro interessi economici sono legati a tale sistema familiare patriarcale. Questo spiega in buona parte le ragioni della preferenza per i figli maschi, gli aborti selettivi, eccetera.

Non è paradossale? Tutte queste pratiche discriminatorie possono essere fatte passare per “democrazia”. Poiché lo status delle donne è basso, esse non possono parlare per se stesse. Non hanno rappresentanti, o ne hanno pochissime, nei comitati di villaggio, dove le dispute vengono risolte con la “regola della maggioranza” e dove le idee patriarcali sono dominanti. Ma io credo che questo circolo vizioso possa essere interrotto dall'istruzione, dal rinforzarsi della consapevolezza, dall'uso delle leggi e dalla promozione della partecipazione femminile.

Dobbiamo avere il coraggio di dire che vi è discriminazione di genere e violazione dei diritti umani delle donne. Cambiare una cultura patriarcale dalle radici profonde è la più grande sfida che abbiamo di fronte in Cina. È la nostra rivoluzione non finita.

 

 

Cai Yiping, femminista cinese, è direttrice esecutiva di Isis International

L'intervista, del luglio 2009, è apparsa nel sito www.isiswomen.org

Traduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo

(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 18 aprile 2010)


 
 
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