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A Cuba è finito il ciclo del silenzio. Colloquio con Yoani Sánchez
17 Aprile 2010
 

 

La blogger assicura che l’opposizione al regime dittatoriale sta crescendo.

Non credo che il fatto di non incarcerarmi sia una decisione definitiva.

Domani stesso potrei essere in prigione.

Io credo che nascosto da qualche parte, in qualche oscuro ufficio, si stia raccogliendo un ampio dossier per portarmi un giorno davanti a un tribunale

 

 

È la blogger più polemica di Cuba. Generación Y, il blog che racconta una visione critica dell’isola, è uno dei più letti del mondo. Migliaia di persone commentano i suoi post. Nel 2008, Yoani Sánchez è stata definita dalla rivista Time una dei 100 personaggi più influenti del mondo. Il giornalista cileno Raúl Mendoza ha conversato con lei sui problemi che deve affrontare come dissidente e sugli avvenimenti delle ultime settimane. Yoani assicura che l’opposizione al regime dittatoriale sta crescendo poco a poco.

 

Sappiamo che hai enormi problemi per accedere a internet, come la maggior parte dei cubani. Come fai per gestire il blog Generación Y?

Scrivere su internet a Cuba, uno dei paesi con più basso indice di connessione, è una vera avventura. Per esempio noi cubani non possiamo avere internet in casa. Questo è un privilegio riservato agli alti funzionari o agli stranieri residenti nel territorio nazionale. Se una persona come me vuole mantenere la sua voce nel cyberspazio, deve ricorrere alle connessioni degli hotel dove un’ora di internet può costare un terzo del salario medio mensile. Per questo motivo mi posso collegare soltanto una volta alla settimana e devo ottimizzare il tempo che passo online. Inoltre, da marzo 2008, il governo cubano ha aggiunto un filtro tecnologico che ha bloccato il mio blog all’interno del paese. Per questo solo grazie alla solidarietà dei collaboratori e ai commentatori del mio blog, questo spazio virtuale ha potuto sopravvivere. Io invio diversi testi una volta alla settimana, a mezzo posta elettronica. I miei amici virtuali mi aiutano a pubblicarli nel blog, in una sequenza tale da dare l’impressione che io sia connessa. Ma in realtà sono una blogger cieca.

 

Perché non chiudono il blog? Perché non viene aggredito da hacker?

Il blog è stato vittima di successivi attacchi hacker. Persino il giorno che mi assegnarono il Premio “Ortega y Gasset”, il 7 maggio del 2008, e quando il governo cubano non mi ha lasciato viaggiare, il mio blog è stato attaccato da hacker per 24 ore. In ogni caso quei momenti in cui cancellavano tutti i miei testi sono serviti a fortificarmi. Fortunatamente oggi il blog è soltanto invaso da trolls - commentatori ricorrenti e molesti - che insultano, gridano, o cercano di creare campagne di informazione, ma fino a oggi negli ultimi mesi nessun hacker è riuscito a minare la sicurezza del blog.

 

A causa di quel che pubblichi nel blog sei stata vittima di numerose aggressioni. Di quale altro tipo di molestie sei vittima?

Scrivere un blog ed esprimere un’opinione diversa da quella del governo ha un costo sociale e personale molto alto. Nel mio caso si è concretizzato nel fatto che non posso uscire dal mio paese. Ogni volta che ho chiesto l’autorizzazione a viaggiare, mi è stata negata. Recentemente mi hanno vietato di andare in Cile per la presentazione del mio libro Cuba Libre e mi hanno lasciata prigioniera all’Avana. Soffro anche il controllo della polizia, le campagne di diffamazione, la pressione sulla mia persona, sui miei amici e sulla mia famiglia. Si tratta di un tentativo di rendermi socialmente radioattiva perché nessuno si avvicini a me. Tento di vivere in questa situazione e di fare in modo che questa pressione non condizioni la freschezza della mia scrittura.

 

Esprimere un disaccordo con alcune decisioni del governo, dire quel che si pensa, non significa essere contrari al modello socialista. Qual è la situazione della libertà di espressione nel tuo paese?

Cuba penalizza chi non è d’accordo con il potere. È un paese dove le persone che pensano in maniera diversa dal governo ed esprimono a voce alta la loro contrarietà, sono penalizzate e punite. Come sono le punizioni? Molto varie. Si può perdere l’impiego, venire stigmatizzati socialmente, essere allontanati da ogni posto di lavoro, dall’università o dai miglioramenti salariali. Una punizione è anche non poter uscire dal paese, perché ogni cubano per andare all’estero ha bisogno di un permesso da parte dello Stato. Tutti coloro che hanno dimostrato di non essere d’accordo con il governo sanno che possono essere oggetto di un rifiuto a viaggiare. I casi più estremi sono le oltre 200 persone che stanno scontando anni di prigione per un delitto di opinione o di coscienza.

 

Esistono mezzi di comunicazione che tentano di fare una sia pur minima opposizione?

A Cuba esiste un delitto nel codice penale che si chiama propaganda nemica. Chi stampa giornali con articoli e reportages per diffonderli in forme non autorizzate dallo Stato può essere giudicato sotto questa figura delittuosa e finire in prigione. Per questo il tema informativo è monopolio statale. Adesso, con le nuove tecnologie, tutto è cambiato. Non perché la volontà governativa sia diventata più flessibile, ma perché noi cittadini siamo diventati più coraggiosi. Con le memory card, i telefoni cellulari, le antenne paraboliche, che sono illegali ma la gente le tiene nascoste, e altri supporti informativi, circolano notizie, video, documenti e una serie di informazioni su di noi e su quel che accade nel mondo. E per contrastare tutto questo i censori ufficiali possono fare ben poco.

 

Il governo può controllare la televisione e la radio? Può controllare internet?

Televisione radio sono di proprietà statale. Viene trasmesso solo ciò che vuole il governo. Per internet fanno molti tentativi. Ci sono tante pagine bloccate, tra quelle il mio blog, e altri siti dedicati al tema di Cuba che vengono scritti dall’esilio. Ma gli internauti sono abili a saltare questi ostacoli e ad arrivare alle pagine proibite.

 

Negli ultimi tempi notiamo una certa effervescenza a Cuba. Abbiamo avuto la morte di un prigioniero di coscienza, le proteste delle Dame in Bianco, blog come il tuo… Cuba sta vivendo un momento speciale di proteste contro il regime, o è sempre stato così ma noi non ce ne rendevamo conto?

Senti, sono vere entrambe le cose. Adesso stiamo vivendo un periodo in cui si sta scoprendo il velo su una realtà che è stata sempre drammatica come adesso, ma l’opinione internazionale non ascoltava quel che gridavamo. Circolava una sorta di idealismo su ciò che era Cuba, l’isola dell’utopia, della speranza. E nessuno voleva rendersi conto della durezza della vita in questo luogo: del controllo estremo, della repressione e della censura. La morte di Orlando Zapata Tamayo - prigioniero dissidente - è servita da elemento di coesione nel dolore per l’opposizione dispersa. Anche se qui molta gente va avanti senza unirsi a partiti dissidenti per la paura, ti posso dire che i discorsi che si sentono per strada si avvicinano sempre di più alle piattaforme e alle domande fatte per anni dall’opposizione.

 

Chi forma l’opposizione a Cuba?

Diversi tipi di persone. Nell’opposizione ci sono tutti i tipi di colori politici e le tendenze più disparate. Dai liberali ai socialdemocratici, passando per i socialisti, gente diversa, con pluralità di opinioni. Il problema è che non vengono rispettati. Sono detenuti, minacciati, repressi, i loro partiti di opposizione sono pieni di infiltrati e la polizia politica ricorda continuamente che sono in una situazione di illegalità, non possono riunirsi, presentare documenti e non hanno il diritto di esprimersi pubblicamente. Nonostante tutto, questi dissidenti sono persone dotate di molta responsabilità civica e continuano a svolgere il loro compito.

 

Credi che sull’isola non ci sia più timore di protestare?

Certo. Credo che un ciclo di silenzio sia finito, lo vedo per strada. Dalle critiche alla qualità del pane, alle buche nei marciapiedi, sono passati a criticare con nome e cognome.

 

Perché non ti mettono in galera come è accaduto ad altre persone critiche nei confronti del governo cubano? Le tue osservazioni anticonformiste sono molto dirette.

Ogni giorno che riesco a mettere la testa sul mio guanciale sento che sono state 24 ore in più che mi hanno concesso per vivere fuori dalle sbarre, ma non credo che il fatto di non incarcerarmi sia una decisione definitiva. Domani stesso potrei essere in prigione. Penso che il megafono che mi ha concesso internet, la visibilità internazionale, la protezione che mi forniscono tutti i lettori che si avvicinano al mio blog, sono state il miglior scudo protettivo. Senza di esso non sarei potuta arrivare fino a questo punto. Ma non credo che mi garantisca un’immunità, né che mi permetta di correre tutto il tempo in avanti e di continuare a esprimermi. Io credo che nascosto da qualche parte, in qualche oscuro ufficio, si stia raccogliendo un ampio dossier per portarmi un giorno davanti a un tribunale.

 

La nostra speranza è che tutto questo non accada.

 

Gordiano Lupi


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