Una terra magnifica, dove la spiritualità è ricca e non vana parola, e terribilmente sventurata. La Birmania giace da troppi anni ormai sotto il tallone di uno spietato regime. Il triste stato della nazione e della gente birmana è sempre stato coraggiosamente denunciato dal Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi - una donna soave, forte e capace di interpretare il sentimento collettivo -, che per questo è agli arresti domiciliari da lunghissimo tempo. L'oppressione che grava sul popolo birmano si è sviluppata anche nelle forme del massacro: come avvenne nel 1988, quando gli studenti erano scesi in piazza a manifestare e a richiedere libertà e il regime aveva prontamente “risposto” permettendo alla furia dell’esercito di scatenarsi senza freni. Si sparò allora, sulla folla ammazzando migliaia di persone. Tre anni fa è stata la volta della Rivoluzione Zafferano, così detta dal colore delle vesti dei monaci buddisti, discesi a loro volta in campo. Ma l'esito è sempre stato sangue, terrore e repressione.
Burma VJ – Cronache da un Paese blindato è il film che, proiettato in anteprima mercoledì 7 aprile allo Spazio Oberdan di viale Vittorio Veneto 2, a Milano, racconta questi ultimi tragici accadimenti attraverso le immagini dei videoreporter clandestini di Democratic Voice of Burma, attivisti e citizen journalists che con telecamere amatoriali, telefonini o strumenti tecnici di fortuna, e consci di rischiare la prigione, con relative torture, e la stessa vita, hanno permesso al mondo di apprendere della rivolta. Immagini dal vero. I nastri dei reporter (a due di loro è stato comminato l'ergastolo) sono stati portati fuori da Myanmar - questa è la denominazione ufficiale del Paese - e, giunti nelle mani del regista danese Anders Østergaard e del suo staff, si sono trasformati in un documentario, uno dei più forti degli ultimi anni, di denuncia dei diritti umani violati nella meravigliosa e triste Birmania-Burma-Myanmar.
Alberto Figliolia