“Vuoi prima la notizia buona o quella cattiva?” è una domanda che, più o meno ironicamente, tutti abbiamo fatto almeno una volta nella vita. È la domanda che, senza traccia d’ironia, chi scrive vorrebbe poter porre ai lettori di questo sito, per scegliere da che parte iniziare il suo terzo aggiornamento sulla situazione cubana. (link agli altri due)
Le notizie, sia buone che cattive, in effetti sono parecchie. Guillermo Fariñas, dopo quarantadue giorni di sciopero della fame, è ancora vivo e cosciente, è ricoverato in ospedale, accetta l’alimentazione forzata e continua la sua protesta. Raúl Castro gli si rivolge dal palco del congresso dell’Unione Giovani Comunisti: menziona finalmente le sue richieste, ma solo per respingerle, e afferma di non essere disposto a cedere ai suoi “ricatti”, condannandolo così, di fatto, a morte. Poi richiama i giovani al sacrificio e alla resistenza contro l’imperialismo americano/europeo, colpevole – a suo dire – di istigare qualunque forma di dissidenza.
“El Coco”, come lo chiamano nel quartiere dove vive, replica accettando quella che definisce la “sfida” del presidente cubano: «Col discorso di Raúl Castro il regime si è tolto la maschera e ha mostrato il suo volto sanguinario.(…) Ha dichiarato che ha intenzione di lasciarmi morire. (…) Ora più che mai bisogna che continui lo sciopero della fame, poiché quella lanciata da Raúl è una sfida (…) Accettiamo la sua sfida e ci prepariamo a morire con tutta la nostra dignità».
Fariñas sa che gli hanno confezionato contro accuse quanto meno dubbie, è cosciente delle difficoltà e capisce a cosa va incontro, perché conosce il nemico dal di dentro. Nella sua vita ha combattuto nelle file del contingente militare cubano inviato in Angola, è stato decorato al valore, ha ricoperto cariche dirigenziali nella sanità pubblica, poi ha cominciato ad avere qualche dubbio, a denunciare il sistema corrotto di cui faceva parte suo malgrado. Non ha saputo o voluto tacere, ha scelto la dura strada della dissidenza e da allora la percorre con decisione, chiedendo e a volte ottenendo l’attenzione dei media internazionali sulle proprie battaglie. Attualmente la sua protesta ha un obiettivo più che mai concreto ed urgente: la liberazione di ventisei “prigionieri di coscienza” in gravi condizioni di salute.
“Gravi condizioni”, in un Paese dove la Croce Rossa Internazionale non può entrare a visitare le carceri, sono ad esempio quelle del prigioniero politico Ariel Sigler Amaya, arrestato nel 2003 e condannato a vent’anni di reclusione. Amaya non è e non è mai stato in sciopero della fame, ma dal momento in cui è entrato in prigione ha perso qualcosa come cinquanta chili. Era un robusto insegnante di pugilato, ora è un relitto umano devastato da malattie contratte durante la detenzione e mai curate, costretto su una sedia a rotelle, ma che con le pochissime forze rimaste afferma di voler continuare a vivere nonostante tutto.
È anche per lui che Zapata è morto, che Fariñas si dice disposto a morire, che Franklin Pelegrino, già in sciopero della fame, raccoglierà il testimone di Fariñas se e quando la sua protesta arriverà alle estreme conseguenze.
Da questi racconti, da queste notizie Cuba appare come l’antitesi perfetta del Paese che Brecht definiva “beato”, quello che non ha bisogno di eroi. Appare, in effetti, come una “fabbrica degli eroi”, un luogo in cui non c’è scelta se non tra la piena accettazione della Verità ufficiale e la concreta possibilità di diventare martiri del dubbio, tra la sopravvivenza e la condanna a morte. Un luogo in cui l’eroismo non è un’opzione tra le tante, ma è l’unica alternativa possibile alla sottomissione completa. Questo naturalmente non sminuisce il coraggio di coloro che morirebbero piuttosto che arrendersi al regime, ma dimostra fino in fondo l’assurdità di un sistema ormai arrugginito, un sistema che costringe all’eroismo chiunque non si adatti alla sua calma artificiale, mantenuto in moto soltanto da una spirale senza fine di violenze praticate e subite.
A Cuba, forse, una risposta di speranza a questo circolo vizioso esiste ed è rappresentata dalle Damas de Blanco, che finalmente, data anche la pressione internazionale, sono riuscite ad ottenere dal governo il permesso (non ufficiale) di manifestare in una piccola zona de L’Avana; tuttavia questo permesso contiene parecchie restrizioni significative. Tra queste, la riduzione a dieci del numero delle “Damas de Apoyo”, ovvero tutte quelle donne che, pur non avendo come le Damas de Blanco un congiunto detenuto per motivi politici, affiancano e “appoggiano” – appunto – le loro manifestazioni. Mentre il numero delle “signore in bianco” rimane stabile, quello delle “signore in appoggio” cresce spontaneamente sempre più e rappresenta una minaccia concreta per il regime, secondo le dichiarazioni della portavoce del movimento.
Pochi giorni fa un gruppo di cubani, appoggiato da un noto cantante colombiano, ha addirittura proposto la candidatura delle Damas de Blanco al premio Nobel per la Pace 2011: se questa proposta si concretizzasse, sarebbe certamente una buona notizia per Cuba e per il resto del mondo. Rimarrebbe da vedere come la prenderebbe Fidel Castro, ma sospettiamo che non abbraccerà mai una delle nonviolente signore con lo stesso trasporto con cui abbracciava un suo vecchio amico, anche lui insignito (quanto giustamente lo ha già giudicato la storia) del Nobel per la Pace.
Per quanto riguarda il Nobel 2010, invece, Yoani Sánchez si è aggiunta al gruppo di coloro che vogliono assegnare il prestigioso riconoscimento ad Internet, e proprio oggi parteciperà (virtualmente, via webcam) ad un incontro organizzato in suo onore a Milano dalla rivista Wired, che le dedica anche la copertina e un bel reportage.
In questi giorni così densi di avvenimenti drammatici per Cuba, chi vi assisterà potrà ascoltare una donna che, pur profondamente coraggiosa, non ha affatto la stoffa della martire. Ha piuttosto la tenacia, lo slancio idealista e il disincanto latino di una “manovale della libertà”, che pazientemente raccoglie i pezzi, mette insieme le differenze, ricorda i morti e cerca di salvare i vivi.
Non è probabile che la “fabbrica degli eroi” si fermi in tempi brevi; l’intransigenza di Stato si nutre del sangue degli eroi malgré soi che essa stessa crea, e può diventare, e forse è già diventata, un mostro difficilmente controllabile anche dal sistema che lo ha generato. Se vogliamo cominciare a smantellarla, però, il metodo più efficace sembra essere quello indicato da Yoani Sánchez: condivisione di informazioni, discussioni in buona fede, padronanza delle nuove tecnologie, amore per la libertà.
Cerchiamo di far sì che Internet se lo meriti, questo Nobel.
Marianna Mascioletti
(da libertiamo.it, 8 aprile 2010)
NdA: Pelegrino, secondo le ultime notizie, ha smesso il suo sciopero della fame; un gruppo di dissidenti ha scritto a Raúl Castro una lettera, approvata anche da Fariñas, contenente una “proposta ragionevole per mettere fine agli scioperi della fame”. Come si è detto più volte, la situazione è in continua evoluzione. Per quanto possibile, non la perderemo di vista.