Qualche tempo fa ho proposto una domanda a Nadia Agustoni per one shot e lei, molto gentilmente e con fermezza, l'ha rifiutata. Non era una domanda scomoda, in sé, ma Nadia non la sentiva adatta. Non mi era ancora capitato, un rifiuto. (E non mi è ancora capitato, di nuovo...)
Così la domanda di questo lunedì non è per insistere nel tormento. Anzi...
È che mi piacciono le persone chiare, oneste. E le domande giuste.
– Perché parlare di sé, in poesia?
Ogni cosa dipende da come la si fa. E dalla consapevolezza che ci mettiamo. L’io è pericoloso, ma il “noi” lo è di più. Chi parla a nome di un “noi” di solito (sottolineo di solito) lavora di immaginazione, scrive di come pensa siano le cose, le persone. Non sempre certo, ma ho l’impressione che siamo spesso di fronte a lettori e a intellettuali che vogliono conferme a luoghi comuni e pregiudizi e parlano “interpretando”. Un io, che non sia mero esibizionismo, ma attenzione, diventa a mio parere uno strumento utile: un punto di osservazione. Uno sguardo che si mette in gioco e qualche volta riesce a diventare un “tu”. La poesia è sincera quando la parola ci costringe a lavorare sulla verità che contiene. La nostra verità e la verità delle parole lottano insieme. È quello che ne esce, è quello che da lì strappiamo a parlare, non noi, o quel che pensiamo noi. È qualcosa di più. La poesia più sincera tra quanto ho letto è, in questo senso, quella in cui il poeta è quel “tu” di cui parlavo prima e se si parla di poesia italiana, non di traduzioni, un buon esempio è la poesia di Cristina Annino. Nella silloge aggiunta alla recensione del “Magnificat” uscita su Nazione Indiana dal titolo “Poiché il poeta e la bestia hanno lo stesso destino”, hai un esempio di cosa io intendo per un “tu”. Un esempio alto. Non tutti arrivano a quei risultati, ma si può essere onesti con se stessi e dire che ci si serve dell’io come di uno strumento per dire un mondo, per raccontare cose difficili e per dire anche che si è ascoltato.
Un esempio di ascolto è in questa poesia, “indice” (per comodità la prendo da Taccuino nero):
indice
L’abito frusto e mai di pennuto festante
cammino all’indietro il passato
a fare un indice che si legga suppergiù
e tralasci pronunce che sono spine in bocca
ortica che fa bolle.
Quassù è la notte con pareti informi
che bucano il buio e le bruca un ciarpame
d’insetti moribondi con scaglie di corazze
sciupate e sembra l’estate crolli
a un nonnulla.
Ci precede il lutto dell’intonaco e ci intona
canzone di bombe che cadevano alla guerra
di gomma americana e ddt che ci dice,
sgemmando le parole la vecchia sarda,
ci salvò dai pidocchi.
Racconta un momento di lavoro a tarda sera, quasi notte. L’io che parla è restituito da immagini mentali e nella seconda strofa appare l’ambiente nella sua nudità. Ma gli insetti preparano quel “lutto dell’intonaco” che rimanda a un racconto della vecchia sarda (che ho realmente udito molti anni fa) e a una memoria, che questa donna aveva ereditato dalla sua famiglia d’origine, ricordo di guerra e bombe e ddt portato dagli americani e che spruzzato un po’ ovunque liberò diverse generazioni dai pidocchi. L’io appena presente, osserva, ascolta, restituisce un mondo. Qualcosa dice anche di sé, ma il fulcro è “racconto” d’altri. La domanda vera dovrebbe essere: quanto tradiamo di quel racconto scrivendone?
Nadia Agustoni (1964) ha pubblicato per Gazebo Edizioni i seguenti libri di poesia: Grammatica tempo (1994), Miss Blues e altre poesie (1995), Icara o dell’aria (1998), Poesia di corpi e di parole (2002), Quaderno di San Francisco (2004) e Dettato sulla geometria degli spazi (2006), Il libro degli Haiku bianchi (2007). Nel 2009 è uscito per “Le voci della luna” Taccuino nero.
Collabora a varie riviste (Leggendaria, Leggere Donna, A, L’area di Broca e altre) e a blog letterari (Nazione Indiana, Lpels, Donne in viaggio, Cultura gay, La Frusta letteraria). È redattrice di LPELS “la poesia e lo spirito”.
Sue poesie sono apparse nella rivista Poesia e in altre pubblicazioni.
Si è occupata (saggistica) di Etty Hillesum, Elizabeth Bishop, Kazimiers Brandys, Patrizia Cavalli, Gianna Manzini, Monique Wittig e altri.
Un suo scritto è nel libro: Aurelio Chessa, il viandante dell’utopia, Biblioteca Panizzi (2007).
Ha vissuto a lungo in Toscana e attualmente vive e lavora a Bergamo.
s.