Nel darvi l’arrivederci all’autunno prossimo (chi vorrà potrà venirmi a trovare ai Piani di Bobbio in Valsassina, da metà giugno a metà settembre), vorrei comunicarvi alcune cosette …per precisione.
Ve la ricordate la faccenda del mio formaggio dell’estate scorsa che era diventato rosso nella crosta…? Tra le cause, da noi considerate, per capire il perché, abbiamo dimenticato la più ovvia: i “Taleggi” sono stati immersi nella stessa salamoia dei “semigrassi” e dei “grassi”, che non vogliono la crosta rossa… E magari, pian piano, chissà che non scopriremo altre cause …ovvie. “A fa ‘l caseèr, s'ha mai finìi de ’mparà…”.
Ve la ricordate la “Clessidra”? Che era un recinto per capre da me “inventato” per meglio mungere le capre? Noi in alpe, due anni fa, l’abbiamo provata e abbiamo visto che ci sono alcune controindicazioni: la prima è che avendo gli angoli a 45° circa, alla mungitura, le capre e specialmente i capretti si infilano e si ammucchiano, quando si rincorrono per prenderli. La seconda è che, anche qui, specialmente negli angoli, i paletti di sostegno della rete, vanno rafforzarti con pali di legno, piuttosto robusti. Inoltre occorre passare del filo di ferro robusto e zincato, intorno al recinto, intorno alla “Clessidra”, insomma: uno in alto, uno a metà altezza della rete, e uno più in basso possibile, sennò i capretti ci si infilano sotto ed escono dal recinto. Il tutto, ovviamente collegato alla “Batteria” classica.
Ve la ricordate la “Nettabitt”? Quella macchinetta per pulire velocemente il formaggio…? Ne ho prodotte una decina di esemplari. Una è in visione e in prova presso la New Pharm di Piussogno (dove si comprano le medicine veterinarie, anche). Due mi sono state “reclamate”. Una perché troppo lenta la velocità a cui gira il “piatto”. E qui abbiamo rimediato col cambio della puleggia (aumentando la velocità, insomma) e il problema si è risolto. L’altra: mi è stato detto che non è un macchinario “pratico”; …e qui sono contento di andare a ritirarla e rimetterla sul mercato “di seconda mano”. Se qualcuno fosse interessato, si facci sentire.
Ve la ricordate la “Bittonovela”? Sembra stia andando a buon fine. Ma i “Gerulàt” hanno corso il rischio (non so se ve ne siete accorti…) di veder scomparire il nome del loro formaggio (Bitto). Dopo cento anni di storia (tante sono le Mostre del Bitto, oramai), non avrebbero più potuto nemmeno tenere la Sagra del Bitto (a Gerola...). A me, questa ipotetica scelta dell’Associazione Valli del Bitto di uscire dal Consorzio e cambiar nome al formaggio prodotto nella loro zona, chiamandolo “Valgerola” (…tant nün n'el vend l'istess…), era sembrata una grave decisione. Potremmo dire che anche Paolo Ciapparelli, pur non essendo un casaro, è tornato sul luogo dell’errore… Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? No, perché gli alpeggi che produrranno Bitto, diciamo a la manéra giüsta, secondo le norme contenute nel nuovo disciplinare aggiornato, non hanno approfittato dell’occasione per… accontentarmi. Infatti si sarebbe potuto diversificare (pro, a favore del, consumatore) il Bitto prodotto in questi alpeggi, apponendo sullo scalzo, una “testa di capra” stilizzata (come quella sul manifesto che pubblicizza la Mostra della Capra Orobica, che si tiene agli inizi di Maggio, appunto a Gerola -che poi è un bech-); …dandomi almeno una volta soddisfazione, appunto!
Alfredo Mazzoni
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