Sepolto in una spiaggia, in una fossa comune. Alla morte, era soltanto trentanovenne, lo condussero il 18 luglio 1610, sotto un sole abbacinante a Porto Ercole, la febbre e un'infezione intestinale (la malaria?). Forse un antibiotico (o una combinazione di farmaci o il chinino) lo avrebbe salvato. Peccato che allora non esistessero medicine tanto raffinate od efficaci. È il quattrocentesimo anniversario della scomparsa di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (sebbene di nascita milanese), genio della pittura di tutti i tempi: L'indovina, Riposo durante la fuga in Egitto, I bari, Fanciullo con canestro di frutta, Cena in Emmaus, Bacco, Vocazione di San Matteo, Morte della Vergine, Madonna dei Pellegrini et alia. Una vita spericolata, la sua, costellata di successi e rovesci, denari, gioco e debiti, fughe, esilio e ritorni, risse e ferite, anche il carcere, persino un omicidio, soprattutto capolavori per i quali non aveva timore di usare quali modelle/i prostitute, annegati, uomini del popolo, se stesso. La luce di Caravaggio piove sul mondo e lo illumina fieramente accendendolo e riscattandolo da bruttezze e brutture; piove da dentro e illumina il mondo che da inferno muta in qualcosa che, se non è paradiso, è quanto di più vicino ad esso, almeno per la povera umanità che ne popola le strade: empatia, solidarietà, consapevolezza e comprensione. Bellezza senza limiti.
Nel quarto centenario della morte del Maestro fioccano le iniziative, fra cui, in quel di Milano, la mostra, a cura di Giovanni Cerri, “400 anni dopo, incontrando Caravaggio”. Che poi è, più precisamente, un trittico di esposizioni: Un fuoco solitario di Gaetano Orazio, sino al 3 aprile; Nero latino di Marina Falco, dal 14 aprile sino al 15 maggio; Geometrie di luci e ombre di Gabriele Poli, dal 19 maggio sino al 18 giugno. Sede è la Galleria “Gli Eroici Furori”, via Melzo 30 (tel. 02 37648381, cell. 347 8023868, sito Internet www.furori.it, e-mail silvia.agliotti@furori.it).
Gaetano Orazio, l'artista attualmente in mostra, è un pittore di assoluto talento, la sua cifra muovendo fra evocatività figurative e astrattismo, natura primigenia e inquietudini antiche e contemporanee, silenzi e fuochi dell'anima, un tormento-estasi e una pacificazione negli elementi primordiali del mondo fatti propri, interiorizzati nel profondo e rielaborati con totale originalità. Esegeta delle tecniche miste e delle sfumature, signore del riciclaggio dei materiali, poeta (anche in senso letterale) di alberi e animali – straordinarie le sue betulle, uccelli, salamandre, pesci e creature dell'acqua -, le due “Guardie del corpo” (o “Sentinelle”, 200 cm x 50 cm) esposte agli Eroici Furori rubano l'occhio con il non finito che cola, con il profilo d'ombra che cala nel cuore, disegnandone rive e anfratti, a suggerire... Sono Ustioni e Apparizioni le tele di Orazio, solitudini che si dispiegano, spiegazioni metaforiche, in-certezze, ritagli d'infinito: lasciano segni, il segno; simboli della condizione umana, esigenza del vero sempre e comunque, pur nel borderline che siamo nel tessuto straziato e infinito dell'universo.
«Confido nel tempo, nella sua spina dorsale, nel giaciglio di pietra e memoria che spetta a ognuno di noi», ha scritto Gaetano Orazio in Appunti dal torrente, meditazione che ben si attaglia alla sua produzione.
«Orazio semina lo studio di quadri, li impronta, li ascolta, li segue, li cura, li soccorre. Ci sono quadri che nascono e crescono in fretta, altri che necessitano di più lenta maturazione. Ma tutti richiedono attenzione, affetto, dialogo. Guardando qua e là, ecco le tracce di Caravaggio: già nei lavori di anni fa apparivano chiari echi del Merisi. Per citare, esempio emblematico, abbiamo scelto per questa mostra due opere significative appartenenti al ciclo del 1993 Heimweh, il dolore della casa, ispirate al sofferto messaggio di Primo Levi. Interni ombrosi, con primi piani che richiamano altari sacrificali che presuppongo azioni di vittime e carnefici», è uno stralcio da un'accurata analisi del curatore della mostra Giovanni Cerri, a sua volta valentissimo pittore.
Per concludere, ecco ciò che ha scritto, esemplarmente, Silvia Agliotti: «È dall'amorosa passione per la verità de Gli Eroici Furori, testo bruniano sull'amore come entusiasmo e passione, che prende il nome la nostra Galleria d'Arte. E così la proposta fatta ai tre artisti Gaetano Orazio, Marina Falco, Gabriele Poli, di dialogare con il Maestro Caravaggio, a quattrocento anni dalla sua morte, in un contesto urbano di una Milano del secondo millennio – recentemente scopertasi città natale del Merisi – ha il senso di ri-trovare una tradizione: ricollegarvisi. Ed è quasi come se avvenisse sotto lo sguardo del filosofo nolano. Alla luce tagliente e intrepida raffigurata dal Caravaggio si unisce la luce del fuoco vivo del rogo di Giordano Bruno. L'immaginaria luce risultante... è la nostra illuminazione, come ricerca e instancabile tensione a “voler vedere”, tendere una mano alla tradizione, stabilire un contatto con un elemento recessivo della nostra sedimentata memoria cellulare, andando verso l'autenticità delle cose».
Alberto Figliolia