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Brevi note di Patrizia Garofalo su una lirica di Silvia Avallone tratta da “Il libro dei vent’anni”
Silvia Avallone
Silvia Avallone 
07 Marzo 2010
   

È proibito conoscere il folle, divino amore

che arde nella gola profonda dell’altoforno.

L’acciaio diventa fisicità dell’ardore, dove follia e passione ardono nel sacrificio che si deve alla dignità di uomini vicini al divino.

Impossibile da conoscere la passione che rende sacri. I lavoratori delle miniere, sacri e divini faber nell’etimologia della stessa parola. Maghi, artefici, creatori, artisti.

 

I guardiani sono orchi stanchi, ma devono ubbidire

al signore di tutti i metalli, e sono pochi i curiosi.

Dalle città vicine viene solo un grande silenzio.

Cambia l’ottica della visuale nella quale la circumstanzialità della fabbrica di uomini ferrosi è staccata dal silenzio urbano.

Nel silenzio, rifugio serale nelle case, lontano è il pensiero dei molti che non conoscono il divino e flagellante fuoco.

I guardiani e la città sono distanziati da un sapiente enjambement che sottolinea l’obbedienza come ricerca – dolorosa del fuoco eredità da custodire in memoria dei padri.

 

Si dice di minuscole mani e braccia incantate

che in danze primordiali e feroci

chiamano ad essere ciò che non era.

Scalpellano suoli abissali laggiù

si scuote il nucleo della terra.

L’Aleph esplicativa della verità nell’accezione biblica ebraica, è cercata da mani piccole e grandi, minuscole ed incantate nella spasmodica danza del fuoco fino a far risuonare il fondo della terra dove la verità risiede e si sacralizza a chi ne sia artifex.

 

Alcuni viandanti hanno narrato

la dolcissima isola di pianto.

Le gambe strappate al corpo

e brevi organismi in armonia

con gli astri.

Si narrano leggende, storie e dolori.

i corpi mutilati saranno , accolti dal divino,

trasformati in stelle ed astri e cielo e infinitezza e passione.

Vivranno le case accoglienti del cosmo

lontani dall’indifferente-silenzio degli uomini

 

Questa è la fabbrica dove si è deciso

che sì, la Storia doveva cominciare.

L’orchestra del tempo terrestre

si è messa in moto come un grande carro

di stelle e di armi. 

La storia inizia qui, anzi da lassù nel “grande carro di stelle e di armi” che riluce il fuoco divino dell’altoforno

nella gola, nel lavoro, nel dolore, nella morte.

 

La loro danza per la nostra danza

casuale e necessaria.

E necessaria

La bellezza dei gatti storpi nati sotto i capannoni

la bellezza degli occhi umani uccisi alla bellezza.

È necessaria per la casualità del nostro vivere che qualcuno ci faccia piovere dall’alto in forma di astri, l’orrore della terra che ha visto gatti storpi e”occhi umani uccisi alla bellezza” ma che sia stato talmente generoso da eternizzare, nelle stelle, le atrocità vissute.

 

«Se questa non è una prova di alto livello poetico, significa che la poesia non esiste», scrive Gordiano Lupi e non è certo possibile dargli torto.

 

Patrizia Garofalo


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