La fiamma dell'amore di Fiamma per Luciano non si è mai spenta. Neppure dopo un matrimonio di pura cartapesta, una sorta di superficiale riparazione, neppure dopo un divorzio di sole carte, senza uno straccio d'incontro, neppure dopo un abbandono ventennale da parte del marito filibustiere. Fiamma (la bravissima e bellissima Laura Morante) attende: chi e che cosa forse non lo sa più nemmeno lei. Il marito, l'ex marito (un ottimo Christian De Sica, finalmente fuori dai cinepanettoni), è un mero e puro simbolo, un'ancora alla insignificanza esistenziale, ai propri fallimenti, alla scemina che è. Così tonta da muovere a tenerezza. Naturalmente, come detto, la Morante da grande attrice quale è rappresenta magnificamente questa moglie-mamma-single tradita nelle aspettative, vilipesa, nevrotica e sempre, incredibilmente, speranzosa. Due figli da mantenere e una cronica mancanza di denaro, un'amica hippy (una stralunata Sydne Rome: ben tornata!) con la quale forma un improbabile e sfigatissimo duo canoro dal repertorio di infimo livello, ha comunque una routine che il prode ex consorte d'improvviso sconvolge richiamando a sé il figlio più piccolo. La realtà è che l'immobiliarista farabuttone che Luciano Baietti è sta fallendo e tutte le sue magagne stanno venendo a galla. L'arresto è imminente. Perché allora, come ultima spiaggia, non intestare tutto al figlio lontano, il figlio più piccolo, facendogli balenare un ritorno affettivo? Un autentico inganno, una vera bastardata. Eppur (forse) qualcosa si muoverà, sino al finale “agrodolce”.
Il figlio più piccolo, che il Maestro Pupi Avati ha tratto da un suo romanzo pubblicato da Garzanti, è una commedia amara, che offre innumerevoli spunti: dall'analisi di quanto i rapporti familiari possano o siano costretti a vivere di equilibri delicati e, nel contempo, cinici e feroci, un'incomprensibile, sovente, alternanza situazionale che segna indelebilmente le vite con carichi non facilmente gestibili – non vuole tuttavia la pellicola addentrarsi nei campi minati dell'introspezione, preferendo lanciare cenni e lasciare tracce sparse delle talora inverosimili e inafferrabili dinamiche affettive ed emotive – agli ampi riferimenti al degrado etico che caratterizza il nostro Paese, le storte collusioni fra affari, politica e potere. Un groviglio nerastro, una pietosa arte d'arrangiarsi, così – ahinoi – tipicamente italiota.
Certo Pupi Avati non affonda sempre pesantemente i colpi; sa anche rimanere lieve, leggero, ma non superficiale (e senza mai rinunciare). Si ride, si sorride, ci s'indigna, c'è quasi il lieto fine. Invero tutto rimane uguale a se stesso. In fondo la peggiore condanna. Una fatica di Sisifo, inutile.
Ottimo il cast. Detto di Fiamma-Laura Morante (la nipote di Elsa – zia per parte di padre –, un numero infinito di fratelli nella sua vita, ha 53 anni di splendida artisticità e fulgore) e di Luciano Baietti-Christian De Sica, notevole è l'interpretazione di Luca Zingaretti nei panni del mancato frate e “raffinata” mente economica (qualcosa non quadra però, se il castello della holding implode e crolla sulle sue scatole vuote), consigliori del rampante imprenditore-finanziere, e una piacevole sorpresa si rivela Nicola Nocella nelle vesti di Baldo Baietti, il figlio più piccolo, il cui candore è pari soltanto alla sprovvedutezza ereditata, pari pari, dalla mamma.
Questa pellicola conclude la trilogia che Pupi Avati ha voluto centrare sulla figura paterna. Dopo il padre inadempiente de La cena per farli conoscere e Il papà di Giovanna, arriva... «il peggiore dei tre. Si rammenta di avere un figlio solo per biechi motivi di interesse, per salvarsi, addossandogli i suoi tanti problemi con la giustizia e con il fisco». Il pretesto del film deriva anche... «dalla convinzione di quanto il successo economico condizioni ormai in modo irreversibile qualsiasi ambito del nostro vivere, spazzando via tutto il resto. Ormai soprattutto nel settentrione del nostro Paese conti per quello che hai, quello che possiedi è la misura di quanto vali».
Interessante anche il seguente giudizio di Luca Zingaretti sul proprio ruolo: «È un'anima nera, un ambiguo e amorale commercialista-squalo, una specie di Jago che muove i fili di questa inquietante vicenda di ingordigia, di finanza folle e di soldi bruciati. È lui che scrive i discorsi, indica la strategia e inonda di consigli perfidi il suo cliente, l'immobiliarista De Sica sull'orlo del fallimento, convincendolo a intestare le sue proprietà con tutte le sue perdite al figlio minore che in pratica non ha mai conosciuto, un ragazzo mite e ingenuo cresciuto nel suo mito. Quella che viene rappresentata è una banda di persone senza scrupoli, credo che la cosa più grave ma anche più divertente sia che questa gente non è immorale ma semmai amorale, fa delle gran porcate con la finanza ma le compie con leggerezza, come se non fosse una cosa negativa, perché è cresciuta ed è stata allevata nel culto della furbizia e senza nessuna etica, senza riflettere mai adeguatamente sul male che può procurare agli altri».
Tipi e topoi, già detto, di certa italianità predominante. La strettissima attualità del resto conferma appieno.
Concludiamo con una curiosità - nel 1976 Christian De Sica aveva lavorato con Pupi Avati, un piccolo ruolo in Bordella – e con un anniversario/augurio – il quarantesimo anno di attività di Pupi Avati e, se non abbiamo contato male, il quarantunesimo suo ciak. Dagli horror degli esordi, Thomas e gli indemoniati e Balsamus l'uomo di Satana, da La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone a Il figlio più piccolo, felice è stata la vena creativa del cineasta emiliano. Lunga vita a una delle eccellenze della cinematografia italiana.
Alberto Figliolia